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Traduzione dallo spagnolo di Bartolommeo Gamba (1818)
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CAPITOLO XXXVIII.
Continua il singolare discorso di don Chisciotte sopra le armi e le lettere.
Fece don Chisciotte questo lungo ragionamento nel tempo che gli altri stavano cenando, dimenticandosi di mangiare pur un boccone, tuttochè Sancio gli avesse insinuato di cenare anch’egli, e che avrebbe poi trovato tempo per discorrerla a suo piacimento. Venne in tutti coloro che udito lo avevano nuova compassione, considerando che un uomo, il quale sembrava avere intendimento sì retto e sì giudizioso ragionare, lo perdesse poi sì disgraziatamente se trattavasi della sua sciagurata e folle cavalleria. Soggiunse il curato che aveva avuto molte buone ragioni in tutto ciò che aveva detto in favore delle armi, e ch’egli, quantunque uomo di lettere e dottore, acconsentiva all’opinione di lui. Terminarono di cenare, levarono le tovaglie, e mentre l’ostessa, sua figlia e Maritorna assettavano il camerone di don Chisciotte della Mancia, dove avevano stabilito che in quella notte si raccogliessero le donne sole, don Fernando pregò lo schiavo arrivato colà con Zoraide di racrontargli le sue avventure. Rispose lo schiavo che farebbe di buon grado ciò che gli si dimandava, benchè temesse di non riuscire così a dilettarli come forse s’immaginavano. Ne mostrarono gradimento il curato e tutti gli altri, che di nuovo gliene fecero istanza, ed egli vedendosi pregare da tanti disse che non dovevano usarsi preghiere dove si potea comandare. “Stiensi dunque; soggiunse, attente le signorie loro, e udranno una narrazione veritiera, senza alcuna di quelle menzogne che sogliono in tali racconti frammischiarsi con curioso e studiato artifizio„. Quindi sedettero tutti, e vedendo egli che ognuno taceva e aspettava quello che a dire si accingesse, con voce gradevole e riposata cominciò nel modo che segue il suo racconto.