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Questo testo fa parte della raccolta Versi di Giacomo Zanella


DUE VITE.

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    Chi di te più solingo e miserando,
Celibe antico che, a’ tuoi dì migliori
3Il santo nodo marital sdegnando,

    Bevesti al nappo di venali amori?
Chi di te più dolente? Il capo imbianca;
6Ma non doman le nevi i vecchi ardori.

    Furor vano di prede agita e stanca
Il morente lione. Ecco affannoso
9T’è ’l respiro; la vista ecco ti manca.

    Da ree memorie combattuto e roso
Sui profumati serici guanciali
12Hai querula la veglia, ansio il riposo.

    Divorasti la vita. Ora i tuoi mali
Narri a’ sedili del deserto tetto
15E l’alto cruccio in empi motti esali,


    Sol ne’ spasimi tuoi, senza l’affetto
D’una fida che accorra al tuo richiamo,
18Ombra spirante; e t’è già tomba il letto.

    Tale nel verno sovra nudo ramo
Per morire si posa, al dubbio lume
21Crepuscolare, augel vetusto e gramo;

    Trema alla brezza che raggela il fiume,
E meschiata di neve ad una ad una
24Le logore si porta ispide piume.

    Allegra intanto alla capanna bruna,
Laggiù nella vallèa, del pio villano
27La bella famigliuola si rauna.

    Dal dì che alla sua Lena ei diè la mano,
Cinquanta volte nel sudato campo
30Crescer mirò, nè sol pe’ figli, il grano.

    Splende il camino: al crepitante vampo
Del ginepro festeggiano la santa
33Notte in cui dal ciel venne il nostro scampo.

    Di lauro intorno un’odorata pianta
Di rosee poma onusta e di ghirlande
36Lo sciame de’ fanciulli esulta e canta.

    Innocenza le povere vivande
Di mêl cosparge; e fra i nepoti in festa
39L’avolo intenerito il suo cor spande.


    Poichè tanta ne’ suoi vita gli resta,
(Sia l’ultimo anno, o più fïate il crine
42Vegga ancor rinnovarsi alla foresta)

    Di sè contento, appiè delle colline
Su cui già biondo conducea la gregge,
45Placido attende de’ suoi giorni il fine.

    O natura, natura! Alla tua legge
Ben saggio è chi si arrende; e d’uno schermo
48Amoroso i caduchi anni protegge!

    A pio figlio appoggiando il fianco infermo
Or visita le mèssi alla campagna;
51Or la chiesuola villereccia e l’ermo

    Recinto, dove la morta compagna
Di sotto l’erba con sommessa voce
54A sè lo chiama e del tardar si lagna.

    Cede al pondo degli anni; e non gli nuoce
Se sculta in oro lapide fastosa
57Non ricopre il suo fral: sotto una croce,

    Che la Fede infiorò, meglio riposa.

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