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EDIPO RE
Tragedia di Sofocle
TRADOTTA DA FELICE BELLOTTI
da rappresentarsi
NEL
TEATRO OLIMPICO
la sera del 15 settembre 1847
VICENZA
stab. tipo-litogr. prov. di g. longo.
1847.
PERSONAGGI | ATTORI | |
EDIPO | Sig. | Modena Gustavo |
GIOCASTA | » | Caruso Rosalinda |
CREONTE | » | Pompei Tommaso |
TIRESIA | » | Braccini Luigi |
SACERDOTE | » | Forti Luigi |
NUNZIO | » | Rossi Ernesto |
UN CORINZIO | » | Vedova Massimo |
UN PASTORE | » | Colombino Napoleone |
EUMPOLDO | » | Ciaffei Francesco |
Con Coro
SCENA
Piazza avanti la reggia in Tebe.
EDIPO RE
EDIPO — UN SACERDOTE
Sacerdoti, garzoni e fanciulli seduti.
edipo
O figli, o prole del vetusto Cadmo,
A che mai qui sedete, in man recando
Supplici rami nelle bende avvolti?
E tutta intanto la città d’incensi,
5E di peani, e di sospiri è piena.
D’altri fuor che da voi ciò udire, o figli,
Mal m’appagando, a voi ne vengo io stesso,
Io quel fra tutti rinomato Edipo. —
Dillo, o vecchio, tu dunque, a cui s’aspetta
10Pria di questi parlar: qui che vi trasse?
Qual timor? qual desio? Tutto per voi,
Tutto io vo’ far. Crudo sarei se in petto
Non sentissi pietà di tal consesso.
sacerdote
O tu signor della mia patria Edipo,
15Vedi quali siam noi che all’are tue
Seggiam dinanzi: altri impotenti ancora
A volar lungi; e tardi per vecchiaja
Sacerdoti (io di Giove); e questo eletto
Stuol di garzoni. Su le piazze gli altri
20Stan co’ velati rami, e presso ai due
Templi di Palla, e dell’Ismenio nume
Al fatidico altar. Tutta (ben vedi)
In gran tempesta è la città, nè il capo
Alzar l'è dato dal gorgo profondo
25Di morte. In seno al fior nascente i germi
Del corrotto terren, de’ buoi le torme,
Anco nel ventre delle madri i figli,
Tutto perisce. Incalza, preme, piomba
Su la città la divampante dea,
30Crudelissima Peste; e già si vuota
Questa casa di Cadmo; il negro Dite
Di gemiti e di pianto tesoreggia. —
Non io, nè questi alle tue soglie innanzi
Stiam, come innanzi ad un iddio: ma il primo
35De’ mortali bensì negli ardui casi
Te reputando, e nel trattar co’ numi:
Te che a Tebe venuto, incontanente
Ne sciogliesti dal fio che alla funesta
Porgevam cantatrice. E consigliato
40Da noi, nè scorto in tanto affar non eri,
Tal che ogni uom crede, e va dicendo ogni uomo
Averne tu d’un dio coll’opra a vita.
Rilevati da morte. O sovra tutti
Sommo capo d’Edipo, or tutti umili
45Ti scongiuriam: deh se rimedio alcuno
Apprendesti da’ numi oppur da qualche
Mortal (chè darne anco buon frutto io veggo
Degli esperti i consigli), a noi l’arreca!
Su via, soccorri, ottimo re, solleva
50La giacente città. Pel favor prisco
Suo salvator te questa terra appella;
Ma rammentar l'alto principio tuo
Mal potrem noi, se dal tuo braccio eretti,
Nuovamente cademmo. Ah rassecura
55Questa città: con lieti auspicj a noi
Già lo stato rendevi; or deh non farti
Di te minor! Se dominar vuoi Tebe,
Ben più bello ti fia di popol piena
Dominarla che vuota. E rocche e navi,
60Se di genti van prive, un nulla sono.
edipo
Noto, o miseri figli, appien m’è noto
Di che fate preghiera. Egri giacete
Tutti, il so; ma fra voi pur un non havvi
Egro quanto son io. Ciascun di voi
65Sol del suo mal, non dell’altrui s’accora;
Ma l’alma mia per me, per voi, per tutta
La città si travaglia. Al sonno in preda
Quindi me non trovate: assai già pianto
Sparsi; già molte ho col pensier tentate
70Diverse vie. Solo rimedio alfine
Questo mi parve, e l’adoprai: Creonte
Di Meneceo figliuolo, a me cognato,
Al Delfico spedii tempio d’Apollo,
Onde saper che fare o dir degg’io
75Per salvar Tebe. E già mi turba il suo
Tardar: già scorso è del ritorno il tempo,
Nè giunge ancor. Ma poi che giunto ei fia
Un malvagio esser vo’ se appien del nume
Non compio i cenni.
sacerdote
Ecco, il dicesti all’uopo
80Additarmi vegg’io che vien Creonte.
edipo
Deh venga, o Febo, apportator di scampo.
Com’ei sereno è nell’aspetto!
sacerdote
E lieto
Sembra; se no, non ne venia di molta
Fronda di lauro inghirlandato il capo.
edipo
85Or di certo il saprem: presso è già tanto
Che udir ne puote.
CREONTE - EDIPO - IL SACERDOTE
co’ supplicanti.
edipo
O di Meneceo figlio
Congiunto mio, qual rechi a noi del nume
Oracolo?
creonte
Propizio. In lieti eventi
Volgeranno gli avversi, ove guidati
Sien rettamente.
edipo
90 E che vuoi dir? Nè tema
Da tali accenti, nè fidanza io traggo.
creonte
Se in presenza di questi udir tu brami,
Io parlerò; se quinci entrar....
edipo
No parla
Qui di tutti in presenza. Assai per questi
95Più che per me, dolor nell’alma io porto.
creonte
Dunque dirò ciò che dal nume appresi. —
Apertamente a noi comanda Apollo,
Non più in Tebe nudrir quel che v’annida
Maligno germe infettator, ma lungi
Di qua cacciarlo.
edipo
100 E di qual sorta è desso?
E che far dovrem noi?
creonte
Con bando o morte
Altra morte espiar: chè sparso sangue
È quel che Tebe in tal burrasca avvolge.
edipo
Di chi sparso fu il sangue?
creonte
In questa terra
105Lajo, o signor, tenea di re possanza
Pria che tu l’assumessi.
edipo
Udii nomarlo,
Mai non lo vidi.
creonte
Ucciso ei fu. Gli autori
Di quella strage or chiaramente Apollo
Punir ne impone.
edipo
Ove son essi? e dove
110Rintracciar l’orme della colpa antica?
creonte
In questo suol, dicea. Ciò che l’uom cerca,
Lieve è trovar; ciò ch’ei non cura, il fugge.
edipo
Ma Lajo in casa, o fuor ne’ campi cadde,
O in peregrina terra?
creonte
Uscì di Tebe
115(Com’ei ne disse) a consultar gli dei,
Nè mai più fe’ ritorno.
edipo
E allor nè messo
Alcun vi fu, nè del cammin compagno,
Che l’evento narrasse?
creonte
Uno fra tutti
Si salvò con la fuga, e dir ne seppe
Sola una cosa.
edipo
120 Ed è? — Molto un accento
Trar ne puote a scuoprir, se già di speme
Raggio traluce.
creonte
Egli narrò, che in via
Una man di ladroni a lui die’ morte.
edipo
Come a tanto d’ardir giungea tal gente,
S’altri di qua non l’assoldava?
creonte
125 E nacque
Di ciò sospetto. A vendicar l’estinto
Niuno surse però.
edipo
Così caduto
Il vostro re, di rintracciarne il fatto
Che v’impedia?
creonte
Badar ne fece a noi
130La buja Sfinge; e non curar del resto.
edipo
Tutto dal fonte io chiarirò; chè Febo
(E tu con lui) del morto re vendetta
Degnamente promove. Or, com’è dritto,
Me di Tebe vedrete, e insiem del nume
135La causa sostener. Nè in pro d’altrui
Più che in mio pro, dell’esecrando fatto
Perseguironne il reo: chè qual di Lajo
Fu l’uccisor, forse che me vorrebbe
Con quella stessa mano uccider anco;
140Sì che lui vendicando, a me proveggo. —
Su su; dai seggi or vi levate, o figli:
Via que’ supplici rami. A parlamento
Qui si raguni il popolo di Cadmo.
Tentar vo’ tutto. O tornerem felici
145Col favor di quel nume, o cadrem tutti.
sacerdote
Figli, sorgiamo. I nostri voti Edipo
Ne promette esaudir. — Febo, che tali
Mandò responsi, apportatore a noi
Di salute e di pace alfin deh venga!
coro
Strofe
150Voce sacra di Giove, or qual dall’are
Di Delfo insigne all’inclita
Tebe venisti! Io sento
Tutta, o Delio, o Peane, o Salutare,
L’alma in petto tremarmi a tal periglio,
155Te paventando. E quale
O presto o tardo a noi maturi evento?
Deh mel palesa, o figlio
Dell’aurea Speme, Oracolo immortale.
Antistrofe
Te Pallade, incremento almo di Giove,
160Primiera invoco, e Cintia
Che onorato possiede
Seggio nel foro, e su la terra move;
E te con elle, saettante Apollo.
Deh! se per voi finita
165La sciagura già fu, che a Tebe diede
Tal minaccioso un crollo,
Venite or anco ad arrecarne aita.
Quale, oh dei, mi circonda affanno e lutto!
Egro è il mio popol tutto,
170Nè tanto mal corregge
D’arte soccorso, o d’intelletto acume.
Frutto niegan le zolle, e al duol non regge
Più ne’ parti la donna. Come denso
Nugol d’augei, l’immenso
175Popolo ratto più che lampo miri
Scendere al lido dell’inferno nume;
E già carca è la terra orribilmente
D’illacrimata gente.
Spose, e madri canute
180Presso all’are qua e là pianto e sospiri,
Supplicando salute,
Spargono all’aura, ed un concorde senti
Echeggiar di peani e di lamenti. —
Aurea figlia di Giove, ah tu soccorso
185In tant’uopo ne invia;
E questo Marte struggitor, che nudo
Pur di brando e di scudo,
Mi rugghia intorno e mi divampa, il dorso
Fa che alla patria mia
190Volga fuggendo; e caccia il maledetto
D’Anfitrite nel letto,
O dell’onda profonda
Del Tracio mare alla deserta sponda.
Ciò che notte non compie, il dì novello
195Tutto consuma. — O tu che il mondo affreni
Con gl’igniti baleni,
Giove padre, su quello
Scaglia il fulmine tuo. Dall’aurea cocca,
Nume Liceo, tu scocca,
200Certo rimedio ai mali,
Gl’infallibili strali.
Vibri Cintia le faci,
Con che i gioghi Licei va discorrendo:
Ed Evio insiem che d’oro orna la chioma,
205E da Tebe si noma,
Fra lo stuol delle Menadi seguaci,
Teda ardente scotendo,
Insegua e strugga il rio
Fra gli dei tutti abbominato dio.
EDIPO - CORO
edipo
210Tu preghi; e ciò che preghi (ove miei detti
Accor ti piaccia, e porger mano all’opra)
Otterrai, spero, e da cotanti affanni
Sollievo avrai. Stranier son io di Lajo
All’udita vicenda, e poco ir oltre
215Potrei scevro d’indizj: onde, novello
Sendo di Tebe cittadino, a voi
Tutti, o Tebani, in questi accenti io parlo.—
Se alcun tra voi sa di qual mano estinto
Cadde il figlio di Labdaco, verace
220Tutto esponga, io ’l comando. Alcun non tema
Accusar se medesmo: altro soffrirne
Ei non dovrà, che andar di Tebe in bando.
Chè se d’altra contrada il reo pur fosse,
Non l’occulti chi ’l sa: chi a me lo noma,
225N’ottien mercede, e più la grazia mia.
Ma se tacer, se a’ miei comandi opporsi
Avvisasse talun, parlar temendo
O per l’amico, o per sè stesso, udite: —
Di questa terra, ond’ho possanza e trono,
230Non sia nessun ch’osi tal uomo accorre,
O seco favellar, nè porlo a parte
De’ sacri riti, nè spruzzar sovr’esso
L’onda lustral; ma lo respingan tutti
Da’ proprj lari: ei d’ogni danno è capo.
235Chiaro il disse l’oracolo. Del nume
Così le parti, e dell’estinto io prendo;
E il reo consacro, o (se più sono) i rei
Orribil vita a stracinar, da tutto
E da tutti divisa. E se in mia reggia,
240Conscio me, stassi il regicida occulto,
Io sovra me, sovra me stesso invoco
Ciò che agli altri imprecai — Tanto io v’impongo
Per quel nume, per me, per questa terra
Spietatamente oppressa. E nol chiedesse
245Anco un iddio, degno di voi non fora
Invendicata abbandonar la morte
Di quell’ottimo re. Dover sì giusto
Compier vo’ quindi, io che mi tengo il regno,
Cui prima ei tenne, ed ho comun con esso
250Talamo e sposa, e prole avrei comune,
Se lasciata ei n’avesse. A lui sul capo
La sventura piombò; ma per lui quasi
Altro mio padre, alla vendetta io sorgo:
Nè rimarrò che l’uccisor non trovi
255Del Labdacide sire, inclito germe
Di Polidoro, e del vetusto Cadmo,
E d’Agenore prisco. A chi ritroso
Sarammi in ciò, prego gli dei che biade
Non renda il suol, nè figli la consorte;
260E di questo si strugga, o di più rio
Morbo, se v’ha. Ma in pro di voi, Tebani,
A cui grato è il mio dir, venga adiutrice
Giustizia, e tutti arridan sempre i numi.
coro
Poi che orrende minacce a noi pronunzj,
265Dirotti, o re, ch’io non l’uccisi, e ch’io
L’uccisor non ne so. Parmi che a Febo
Promotor dell’inchiesta, anco nomarlo
Spettasse.
edipo
È ver; ma l’uom non puote a nulla
Sforzar gli dei.
coro
Ciò che opportuno io credo,
Se il concedi, or dirò.
edipo
270 Franco di’ pure
Tutto che sai.
coro
So che di Febo al paro
Tutto scerne Tiresia; onde certezza
Da lui trarne poria chi nel chiedesse.
edipo
Nè ciò lento indugiai. Creonte appena
275Il disse, e ratto io gli spedii due messi.
Ch’egli qui già non sia, stupor m’arreca.
coro
Vane son l'altre antiche voci.
edipo
E quali?
Narra. Librar tutto vogl’io.
coro
Che morto
Per man di alcuni passeggieri ei cadde.
edipo
280Io pur l’udii; ma testimon del fatto
Non v’ha nessuno.
coro
A tue minacce il reo
Si mostrerà, se di temenza in petto
Dramma pur serba.
edipo
Uom che d’oprar non teme
Nè parole pur teme.
coro
— Or ecco a noi
285Chi scoprirlo saprà. Guidar qui veggo
Il divino profeta, in cui sol uno
È fra tutti i mortali innato il vero.
TIRESIA condotto da un fanciullo.
EDIPO — CORO
edipo
Tiresia, o tu che tutte sai le cose
A sapersi concesse e le negate,
290E celesti e terrestri; or ben tu vedi,
Ancor che cieco, in qual morbo sommersa
È la città che te sol trova, o prence,
Proteggitore e salvator, te solo. —
Febo (se udito ancor non l’hai) rispose
295Alle nostre domande, unico un mezzo
Rimaner di salute: e fia, di Lajo
Rinvenir gli uccisori, e morte ad essi,
O bando impor. Tu la tua voce or dunque,
Per qual sia modo di profetic’arte,
300Non ci negar. Salva te stesso; salva
Questa città; salva me pure, e sia
Espiato l’estinto. Ecco siam tutti
Fra le tue braccia. Ognor che farlo è dato,
Giovare all’uom, l’opra è dell’uom più bella
tiresia
305Ahi! quant’è dura cosa esser veggente,
Quando pro non arreca. Io non vi posi
Pensier; se no, qua non volgea miei passi.
edipo
Ma che fu? che ti turba?
tiresia
Alle mie case
Deh mi rimanda. A te, se il fai, più lieve
310Fia portar la tua sorte, a me la mia.
edipo
Savio inver non favelli; e ingrata cosa
È per questa città, che pur t’e madre,
Del tuo senno fraudarla.
tiresia
Io tender veggo
I detti tuoi non a tuo pro; nè voglio
Che di me sia lo stesso.
coro
315 Ah per gli dei,
Ah non tacer; te ne preghiam noi tutti!
tiresia
Ignari tutti. Il mio saper non apro,
Per non far conti i mali vostri.
edipo
Or dunque
Celar ciò che t’è noto, e tradir noi,
E la città struggere hai fermo?
tiresia
320 Ho fermo
Non travagliar nè me, nè te. Che tenti?
Già parlar non m’ascolti.
edipo
O d’ogni tristo
Pessimo tu (che un cor di selce all’ira
Provocheresti), e tacerai tu sempre?
Sempre chiuso, ostinato?
tiresia
325 Il mio tu biasmi
Fiero proposto, e non conosci il tuo.
edipo
Oh! chi mai trattener poria lo sdegno
In udir questi sensi, onde or di Tebe
Gioco ti fai?
tiresia
Tutto avverrà, bench’io
Lo taccia.
edipo
330 E dirlo ti sarà pur forza.
tiresia
Più parola io non dico. Ira t’accenda
Quanto più vuoi feroce.
edipo
E d’ira acceso
Tacer non vo’ ciò ch’io mi sento in core. —
Sappi che te dell’alto tradimento
335Complice io tengo, e che prestato hai tutto,
Fuor che la man. Se cieco tu non fossi,
Tutta tua l’opra, e di te sol direi.
tiresia
Davver? — Tu dunque il tuo decreto osserva
Primo tu stesso, e d’oggi in poi nè meco
340Nè con altri parlar. Di questa terra
Solo sei tu la scellerata peste.
edipo
Tanto osi dire? e por ti speri in salvo?
tiresia
In salvo io sto; chè mi difende il vero.
edipo
Donde appreso l’hai tu? Dall’arte tua
Non già.
tiresia
345 Da te, che a favellar mi sforzi.
edipo
Replicarlo ti piaccia un’altra volta,
Ond’io meglio t’intenda.
tiresia
E non l’udisti?
Chè mi ritenti?
edipo
Io mal l'udii: su dunque
Ridillo.
tiresia
Ebben: quell'uccisor che cerchi,
Tu sei quello, il ridico.
edipo
350 E tu, superbo
No non andrai del replicato oltraggio.
tiresia
Altro dirti degg’io, che di più sdegno
Anco ti colmi?
edipo
A tuo piacer favella,
Poi che indarno favelli.
tiresia
A’ tuoi più cari
355Vivi d’infame compagnia congiunto,
Nè l'orror vedi, in che t’avvolgi.
edipo
E sempre
Lieto e baldo così parlar tu speri?
tiresia
Se pur sua forza ha veritade.
edipo
Ha forza,
Ma non per te: chè tu se’ cieco e d’occhi,
E d’orecchi, e di mente.
tiresia
360 Ahi sciagurato!
Rinfacci a me ciò che a te stesso in breve
Rinfaccieran costoro.
edipo
In notte buja
Tu ognor t’aggiri; onde non io, ned altri
Che vegga il Sol, ti vorrà nuocer mai.
tiresia
365Fatto non è ch’io per te cada. Apollo
Ha di ciò cura, e basta.
edipo
È di Creonte,
Oppur tua, questa trama?
tiresia
A te Creonte
Danno non è: tu stesso a te sei danno.
edipo
Oh ricchezze! oh possanza! oh di chi regna
370Splendida troppo e desïata sorte,
Quanta invidia è con voi! Per questo scettro,
Che non chiesto da me, spontaneo dono
Tebe in man mi ponea, per questo scettro,
Ecco, il già fido amico mio Creonte
375Tenebroso or m’insidia, e me dal soglio
Balzar tentando, un cotal mago intrude,
Frodolento impostor, nel vil guadagno
Veggente solo, e in sua scïenza cieco. —
Dimmi, su via, quale indovin tu sei?
380Quando il mostro fatal qua inferocìa,
Perchè da morte i cittadini tuoi
Non sottrar?... Ma che dico? Era l'enimma
Non a sciorsi da tutti, e di profeta
L’arte chiedea; nè di profeta l'arte
385Tu dagli augelli ovver da’ numi appresa
Ne dimostri aver mai. Ben io qua giunto,
Io quell’ignaro d’ogni cosa Edipo,
Quetai col senno il suo furor; col senno,
Non dagli augelli istrutto. Or quell’Edipo
390Sbandir vorresti, e por Creonte in trono,
Onde del trono ripararti all'ombra.
Ma l’iniquo attentato a chi l'ordia
Costerà pianto, e a te. Se d’anni carco
Tu non fossi così, di tua scïenza
395Fatto già un tristo esperimento avresti.
coro
Ira par che dettati a lui gli accenti,
E a te pur gli abbia, Edipo. Ah di contese
Mestier non è: ma d’indagar qual mezzo
Havvi del nume a compier meglio i cenni.
tiresia
400— Io, sebben re tu sei, conformi detti
Render ti voglio, e ben mi sta; chè servo
Non son di te, ma sì d’Apollo, e quindi
Nè di Creonte protettor m’è d’uopo. —
Cieco tu m’appellasti in suon di scherno;
405Ma tu veggente, i mali tuoi non vedi,
Ove alberghi, e con chi. Sai da chi nasci?
De’ genitori tuoi, l’un già sotterra,
Vivo ancor l’altro, esser nemico ignori:
Ma di tuo padre e della madre tua
410Te le orribili furie flagellando
Cacceranno di qua; te che or ben vedi,
Ed altro poscia non vedrai che tenebre.
Qual fia piaggia fra breve, o qual riposta
Parte del Citeron, che di tue grida
415Non ne risuoni, allor che visto avrai
A qual di nozze importuoso lido
Qua navigasti a piene vele? Ed altri
Altri mali non sai, che a te sul capo,
E a’ tuoi figli cadranno. Oltraggia pure
420Creonte e me. Non fia nessun che mai
Più di te travagliato a morte venga.
edipo
Io da costui tant’arroganza in pace
Soffrir dovrò? — Nè fuggi ancor? nè lungi
Ten vai di qui?
tiresia
Qui non sarei, se chiesto
Tu non m’avessi.
edipo
425 Io non sapea che stolta
Così fosse tua lingua: alle mie case
Quindi addur ti fec’io.
tiresia
Mia sorte è tale,
Che mi fa stolto a te sembrar, ma saggio
A chi vita ti diede.
edipo
A chi? — t’arresta.
Dimmi: a me chi die’ vita?
tiresia
430 E vita e morte
Ti darà questo giorno.
edipo
Oh! come tutti
Nel bujo avvolgi i detti tuoi.
tiresia
D’enimmi
Non sei tu forse interprete sublime?
edipo
Schernisci pur ciò che mi fea sì grande.
tiresia
Fatal ventura ella ti fu.
edipo
435 Se Tebe
Con ciò salvai, nulla men cale.
tiresia
— Io parto.
E tu, figlio, mi guida.
edipo
Or va. Presente,
Tutto scompigli tu: di qui rimosso,
Più non potrai tedio recarne.
tiresia
Io parto:
440Ma dir tutto vo’ pria ciò per ch’io venni,
Senza tremar di tua presenza. Morte
Già tu darmi non puoi. — Quell’uomo, io dico,
Onde già guari in traccia vai, di Lajo
Proclamando vendetta, e minacciando,
445Qui sta. Creduto egli è stranier: ma poscia
Natio Tebano apparirà: nè lieto
Però ne fia; chè di veggente, cieco,
D’opulento, mendico, andrà con verga
La via tentando in peregrina terra.
450De’ figli suoi padre e fratello insieme
Verrà svelato, e della propria madre
Figlio e marito, e di suo padre al letto
Consorte ed uccisor. — Ciò in mente volgi,
Colà dentro tornando; e se bugiarde
455Troverai mie parole, allor di’ pure
Ch’io mai non seppi di profetic’arte.
CORO
Strofe I
Chi fia mai, chi fia l'empio
Dalla Delfica rupe a noi segnato,
Che il più nefando scempio
460Con le man sanguinose ha consumato?
Mova tosto più rapido
Di corsier procelloso in fuga il piede:
Chè già di lampi e folgori
Armato Apollo il fiede;
465E non use a fallire
Seguonlo già le inesorate Dire.
Antistrofe I
Però che dalle cime
Balenò del Parnaso a noi comando,
Che dell’orrendo crime
470L’occulto autore andar ne fa cercando.
Certo solingo e pavido
Per antri e selve, come tauro, egli erra,
Declinando gli oracoli
Del mezzo della terra;
475Ma d’immortali tempre
Quelli volando intorno a lui van sempre.
Strofe II
Dell’augure la voce in cor mi desta
Una fiera tempesta;
Nè a dargli fede o la negar m’arrendo.
480Che risolver non so: dubbio del vero
Sta sospeso il pensiero,
Nullo argomento in tanto affar veggendo.
Nè mai lite o rancor tra Lajo e il figlio
Di Polibo s’udio,
485Onde meco fermar giusto consiglio,
Se contra Edipo, e la comun concetta
Di lui stima or degg’io
D’oscura morte procurar vendetta.
Antistrofe II
A Giove sol, solo ad Apollo ascose
490Non son le umane cose;
Ma che altr’uom più di me dote possegga
Di profetar, benchè più saggio ei sia,
Mal lo si crede; e pria
Che piena emerger veritade io vegga,
495All’orribile accusa io non assento.
L’alata donna aperto
Fe’ con lui di sua possa esperimento,
E a Tebe amico ei fu veduto, e saggio;
Però non fia che merto
500N’abbia da me di scellerato oltraggio.
CREONTE - CORO
creonte
Concittadini miei, d’obbrobriosa
Orrida colpa odo accusarmi Edipo:
Tollerarlo non posso. Ov’ei si creda
Di parole o di fatti offesa alcuna
505Soffrir da me, con questa taccia in fronte
Più non m’è grato i giorni miei protrarre.
D'empio in Tebe aver fama, empio da voi
E dagli amici udir nomarmi, lieve
Per me non è, ma insopportabil pena.
coro
510Ira forse all’insulto lo sospinse,
Più che interna credenza.
creonte
E donde apparve
Che i miei disegni secondando il vate,
Fole ordisse, e menzogne?
coro
Ei ciò dicea;
Donde, nol so.
creonte
Ma pur con fermo aspetto,
515Con fermo core proferia l’accusa?
coro
Nè questo io so; chè l’opre de’ potenti
Io non indago. — Ecco, egli stesso or esce.
EDIPO-CREONTE-CORO
edipo
E tu qui sei? Sì temeraria fronte
Hai pur, che alle mie soglie osi tornarne;
520Tu di mia vita insidiator palese,
Rapitor del mio regno? Or di’: vedesti
Segno in me di stoltezza, o d’alma vile,
Onde a tanto attentarti? Il tradimento
Speravi tu ch’io non avrei scoperto,
525O che respinto io non l’avrei? Demenza
Forse non è, senza favor d’amici
Nè di popolo ambir, quel che s’acquista
Col popol solo, o coi tesori, il regno?
creonte
Le mie risposte or odi, e poi tu stesso
Ne pronunzia sentenza.
edipo
530 Orator prode
Tu sei, ma tristo ascoltator son io;
Poi che tanto protervo ti scopersi
Di me nemico.
creonte
Odimi pria.
edipo
Non dirmi
Ch’empio non sei
Se pertinaccia scevra
535D’ogni ragion, credi virtù, mal pensi.
edipo
Uom congiunto di sangue se tu credi
Impunemente assassinar, mal pensi.
creonte
Giusto favelli in ciò. Ma in che t’offesi,
Insegnarmi ti piaccia.
edipo
E che? Non eri
540Tu consiglier perch’io gente inviassi
A quel sommo Profeta?
creonte
E ancor lo stesso
Darei consiglio.
edipo
Or di’: quanto già tempo
Scorse, che Lajo. . .
creonte
E che dir vuoi?
edipo
Soggiacque
Al mortal colpo?
creonte
Annoverar si ponno
Molti anni e molti.
edipo
545 E questo vate allora
Di tal arte sapea?
creonte
Saggio del pari,
E del pari onorato.
edipo
E non fe’ motto
Allor di me?
creonte
No; ch’io l’udissi, almeno.
edipo
Ma voi ricerca dell’estinto sire
Non feste?
creonte
Sì; ma nulla valse.
edipo
550 E questo
Gran saggio allor, ciò che or dicea, non disse?
Perchè?
creonte
Lo ignoro; e quanto ignoro, io taccio.
edipo
Ma tu certo saprai ciò che a te spetta,
E negar nol dovresti.
creonte
Ov’io lo sappia,
Nol niegherò. Che dir mi vuoi?
edipo
555 Che il vate,
Se pria con te non conveniva, ascritta
Non avrebbe di Lajo a me la morte.
creonte
Ciò ch’ei disse, tu il sai. — Chiederti anch’io
Altra cosa or vorrei.
edipo
Tutto pur chiedi.
560Mai non sarà che regicida io paja.
creonte
Di’: la sorella mia non è tua sposa?
edipo
Dubbio in ciò non ha loco.
creonte
Insiem con essa
Comun non hai regno e possanza?
edipo
E tutto
Quant’ella brama, ottien da me.
creonte
Tra voi
Terzo egual non son io?
edipo
565 Pessimo amico
Indi ne sei.
creonte
No, se vorrai tu stesso
Farne giusta ragione. E pensa pria,
Se regnar fra paure altri vorrebbe
Anzi che pari autorità godendo,
570Dormir placidi sonni? Io già non bramo
Più d’esser re che far di re le parti;
Nè il può bramar chi ha senno. Or tutto io tengo
Da te senza timor: se re foss’io,
Involontario adoperar pur anco
575Molte cose dovrei. Come più dolce
Può dunque il regno a me parer, di questa
Regal mia sorte d’ogni affanno sgombra?
Folle a tal non son io, di voler cosa
Che pro non rechi. A tutti caro io sono;
580M’onora ogni uomo; e chi da te desia
Grazie impetrar, me intercessor, le implora;
Certo mezzo all’intento. E vorrei teco
Io di stato cangiar? No; chi ben vede,
Tanto error non commette. Io mai non ebbi
585Desio di ciò, nè mai tentar con altri
Sì stolta opra vorrei. Vanne per prova
Tu stesso a Delfo ad avverar, se fido
I responsi del nume io ti recai:
Che se falso mi trovi, e congiurato
590Con quel vate a’ tuoi danni, a morte allora
Tu mi trarrai non col tuo voto solo,
Ma insiem col mio. Non m’accusar frattanto
Per vil sospetto. Equo non è nè i tristi
Buoni a caso estimar, nè tristi i buoni;
595Ma cacciar da sè lunge il buon amico,
Lo stesso è poi che via gittar la vita,
Tanto all’uom cara. Il ver saprai col tempo;
Chè il tempo sol mostra l’uom giusto: il rio
Anco solo in un dì conoscer puoi.
coro
600Ad uom che il piè di por si guardi in fallo,
Savio, o sire, ei parlò. Non è securo
Affrettato consiglio.
edipo
Allor che ratto
Segrete insidie altri m’appresta, ratto
Deliberar degg’io. Se lento io stommi,
605Compiuto è tosto il suo disegno, e nullo
Rimane il mio.
creonte
Ma che vuoi tu? di Tebe
Cacciarmi in bando?
edipo
A te dar morte io voglio;
Non bando, no.
creonte
Se proverai dappria
Qual commisi delitto.
edipo
E che? d'opporti
Ardisci?
creonte
610 Sì; poi che non ben provedi.
edipo
Ben proveggo per me.
creonte
Per me del pari
Ben proveder tu dei.
edipo
Troppo sei tristo.
creonte
Ma se t'inganni?
edipo
Ed ubbidir pur vuolsi
creonte
No, se mal imperando.....
edipo
Oh Tebe! oh Tebe!
creonte
615Non solo tu; mia parte ho in Tebe anch’io.
coro
Cessate, o prenci. Ecco opportuna io miro
Qui venirne Giocasta, a cui s’aspetta
Compor tanta querela.
GIOCASTA - EDIPO - CREONTE - CORO
giocasta
A che d’oltraggi
Suscitar lite, o sciagurati? Oppressa
620Questa terra così, non vergognate
Privati mali ir provocando? — Edipo,
Non rientri in tue stanze? e tu, Creonte,
Non torni a’ lari tuoi, pria che dal nulla
Sorga forse gran danno?
creonte
Un tristo, o suora,
625Di me governo il tuo consorte Edipo
Far si propone. O dalla patria terra
Esule ei vuolmi, o di sua man qua morto.
edipo
Nol niego, è ver; poi che tramar lo colsi
Con arte iniqua a’ giorni miei.
creonte
Morire
630Preda io possa alle furie, ove in me sia
Ombra pur di tal colpa.
giocasta
Ah credi, Edipo;
Per gli dei te ne prego. In lui rispetta
Il divin giuramento, e a me riguardo
Abbi, ed a questi che ti son presenti.
coro
635Meglio pensa, o signor: cedi buon grado;
Te ne scongiuro.
edipo
E in che vuoi tu ch’io ceda?
coro
Onor serbando a lui che pria fu saggio,
Ed or più grande in suo giurar s’è fatto.
edipo
Sai tu ben ciò che brami?
coro
Il so.
edipo
Palesi
Fa i sensi tuoi.
coro
640 Non condannar ti prego
A pena infame un tuo giurato amico,
Per oscuro sospetto.
edipo
Or, se ciò chiedi,
Sappi, il mio bando o il mio morir tu chiedi.
coro
No: pel primier di tutti quanti i numi,
645Per questo Sole io ’l giuro. Al cielo in ira,
In ira al mondo orribil morte io trovi,
Se tal nutro desio. Ma troppo, ahi lasso!
Mi strazia il cor la patria agonizzante,
Senza pur ch’altro male a tanti mali
Per voi s’aggiunga.
edipo
650 Ebben, libero ei vada;
Anco morire, o andar ne deggia io stesso
Pien d’infamia in esiglio. A’ tuoi m’arrendo,
Non a’ suoi preghi. Ovunque fia, costui
Abborrito sarà.
creonte
Rancor non poco
655Ben tu mostri cedendo. In petto l’ira
Calmata poi, te ne dorrà; che tali
Spirti a ragion sono a se stessi ognora
Insoffribile cruccio.
edipo
E non mi lasci?
Non parti?
creonte
Io parto, ingiustamente offeso
660Da te; ma sempre in pari onor fra questi.
EDIPO - GIOCASTA - CORO.
coro
Donna, or che tardi a ricondur Edipo
Alle sue stanze?
giocasta
Udir vo’ pria qual ebbe
Cagion tal lite.
coro
Un sospettar mal certo
Da parole nascea. Sai che non giusta
Causa anco irrita.
giocasta
665 E fu tra lor sospetto?
coro
Sì.
giocasta
Che si disse?
coro
Or meglio parmi, in tanto
Pubblico duolo, non ne far più motto.
edipo
Ma l’irato mio cor pacificando,
Vedi a che tu riesci?
coro
Io già tel dissi
670Non una volta, o re. Troppo insensato,
Te lasciando, sarei: te che a buon porto
Drizzasti un dì la mia patria diletta
In gran tempesta errante. Or deh, se il puoi,
Nuovo suo duce e salvator ten rendi!
giocasta
675Dimmi, o re per gli dei! la cagion dimmi,
Che in tant’ira t’accese.
edipo
Io la dirotti:
Che più di questi onor ti porto, o donna. —
Fu di Creonte un tradimento.
giocasta
In lui
Certa è la colpa?
edipo
Egli di Lajo appella
Me l’uccisore.
giocasta
680 È di ciò conscio ei stesso,
O d'altri il seppe?
edipo
Un ciurmator maligno
Intruso egli ha, che libertà s’arroga
Di scior la lingua a qual più voglia oltraggio.
giocasta
Tu però non badar. Miei detti invece
685Odi, e impara da me, che ne’ mortali
Non è scïenza di profetic’arte.
Prova in breve ten reco. — A Lajo venne
Tale oracolo un dì (da Febo stesso
Io non dirò, ma da’ ministri suoi):
690Esser fatto perir per man del figlio
Che a lui fra poco io partorir dovea.
Ed ecco invece una straniera gente
Là su un trivio l’uccide. E quel suo figlio
Giunto di vita al terzo dì non era,
695Ch’ambo i piedi ei gli avvinse, e fe’ slanciarlo
Su inaccessibil monte. Apollo quindi
Fatto non ha che l’uccisor del padre
Quei fosse, e Lajo dalla propria prole
Ciò che temea soffrisse. E tal parlava
700Il divin vaticinio; onde pensiero
Non te ne dar: che di leggieri il nume
Trovar saprà ciò che trovar gli cale.
edipo
Quanto, o donna, in udirti ondeggiar d’alma
E sommossa d’affetti!...
giocasta
Or qual ti turba
Novella cura?
edipo
705 Udir da te mi parve,
Che Lajo ucciso in un trivio cadea.
giocasta
Detto fu questo, e ancor si dice.
edipo
E dove
Tal caso avvenne?
giocasta
È Focide la terra,
Là ’ve la strada in due si parte, e l’una
A Delfo mena, a Daulia l’altra.
edipo
710 Il tempo?
giocasta
Giunse annunzio di ciò non molto pria
Che tu signor fossi di Tebe.
edipo
— Oh Giove,
A che mai mi serbasti!
giocasta
Onde siffatto
Terrore in te?
edipo
Nol domandar. — Ma Lajo,
715Dimmi, qual era alle sembianze, e quanta
L’etade allora?
giocasta
Di canizie appena
Spargea le chiome, alta persona, e poco
Da tue forme diverso.
edipo
Ah! ch’io pavento
Essermi dianzi alle feroci Erinni
Da me stesso devoto.
giocasta
720 E che favelli?
Tremar mi fai.
edipo
Forte ho nel cor temenza,
Che l'augure ben vegga. — Il ver più chiaro
Tu mostrerai, se un altro detto aggiungi.
giocasta
Io pavento parlar: pur quanto chiedi
Esporrò, se m’è noto.
edipo
725 Iva con pochi,
O molti avea, siccome re, seguaci?
giocasta
Cinque eran tutti, insiem l’araldo; e Lajo
Ne venia sovra un cocchio.
edipo
Ahi ahi! palese
È tutto già. — Ma queste cose a voi
Chi le narrava, o donna?
giocasta
730 Un di que’ servi;
Il sol rimaso.
edipo
E nella reggia or vive?
giocasta
No. Da quel dì che fe’ ritorno, e vide
Lajo non più, ma te signor di Tebe,
Ei la destra mi prese, e supplicommi,
735Che fuor ne’ campi a custodir la greggia
Io lo mandassi, onde suoi giorni trarre
Lungi da queste mura. Ed ei l’ottenne;
Che di grazie maggiori anco era degno.
edipo
Or come a noi far che tosto sen venga?
giocasta
Lieve sarà: ma perchè poi?
edipo
740 Già parmi
Troppo aver detto onde arguir perch’io
Veder lo voglia.
giocasta
Ebben, verrà; ma pria
Anch’io degna, o signor, d'udir mi tengo
Qual terror ti conturba.
edipo
E tu l'udrai.
745A chi poss’io meglio che a te narrarlo,
In siffatto frangente? - A me fu padre
Polibo di Corinto, e la Dorense
Merope, madre; e de’ primieri onori
Io là godea fin che tal caso avvenne,
750Di stupor sì, ma del pensier ch’io n’ebbi
Inver non degno. In pien convito un giorno
Fra il votar delle tazze ebbro cert’uno
Supposto figlio al genitor m’appella.
Di sdegno arsi io; ma pur quel giorno a forza
755L’ira contenni: il dì seguente, al padre
Ed alla madre il querelai. L’oltraggio
Spiacque loro altamente; e ciò nel petto
Mi blandiva il rancor: ma la ferita
Pur sempre mi pungea; chè troppo addentro
760Era trascorsa. Occultamente a Delfo
Quindi men vo; ma di risposte Apollo
Non degnò mie domande: altri ben altri
Mi schiuse atroci, orridi eventi: e ch’io
Mescolarmi alla madre, e produr quindi
765Dovea prole esecranda: e ch’io del padre,
Del proprio padre l’uccisor sarei.
Udito ciò dalla Corintia terra,
Divisando con gli astri il mio cammino,
Fuggii ver dove giammai non vedessi
770Avverarsi per me di sì gran colpe
I tremendi presagi; e venni errando
Là ’ve quel sire mi narrasti ucciso. —
Donna, il vero io ti dico. Al giunger mio
Su quel triplice calle, ecco un araldo,
775Ed uom qual pingi, in cocchio equestre assiso
Venirmi incontro. Il precursor del carro,
Ed esso il vecchio a forza dalla via
Mi sobbalza: io furente allor quel servo
Percoto: il vecchio che appressar mi vede
780Col pungente flagello un colpo libra,
E sul capo mi giunge: ma non pari
Ne paga il fio; chè subito percosso
Da questa man con forte verga, a terra
Da mezzo il cocchio riverso trabocca.
785Strage allor fo di tutti... — Ah! se di Lajo
E di quello stranier sol uno è il sangue,
Chi più di me infelice! ai numi in ira
Chi più di me! Me non poter nessuno
Nè forestier nè cittadino accorre:
790Meco nessuno favellar: da tutti
Respinto, espulso;... ed altri, altri ch’io stesso
Non mi strinse a tal pena! Io con mie mani
Del morto re contamino la sposa;
Con queste mani, ond’ei fu morto! Un empio
795Dunque non son! non tutto scellerato?
Ir via di qua, nè i genitori miei
Più riveder, nè la mia patria, o quivi
Maritarmi alla madre, e strage infame
Far del padre, di Polibo, che vita
800Diemmi, e mi crebbe! Or chi dicesse, un crudo
Demone a me tante sciagure imporre,
Non direbbe verace? — Ah ch’io nol miri
Sì orrendo giorno, o santi dei! Ch’io possa
Sparir dagli occhi de’ mortali, pria
805Che in me cader tanta bruttura io vegga!
coro
E noi tutti, o signor, ciò forte attrista.
Ma fin che udito quel pastor non abbi,
Speme accogli pur anco.
edipo
Unica speme
Ho in ciò riposta.
giocasta
E quando giunto ei fia,
Che speri tu!
edipo
810 Se a me l’evento ei narra
Qual tu dianzi il narrasti, io d’ogni affanno
Esco, ed ho pace.
giocasta
E che diss’io?
edipo
Dicesti
Lui riferir che giacque Lajo estinto
Da uno stuol di ladroni. Or se lo stesso
815A dir ritorna, io non l’uccisi: un solo
Pari a molti non è. Ma s’egli or noma
Sol uno il reo, certo è pur troppo allora,
Che in me l’opra ricade.
giocasta
Ei ciò narrava,
Nè disdirsi or poria, chè non io sola,
820Tutta Tebe l'udì. Ma se il già detto
Travolgesse egli pur, non però tale
Mostrar ne può quale avvenir dovea,
La caduta di Lajo; a cui già Febo
Morte per man del figlio mio predisse
825Or non l’uccise il misero; ch’ei stesso
Morì già pria del geniter gran tempo:
Ond’io più in avvenir pei vaticinj
Loco a timor non darò mai.
edipo
Ben pensi.
Ma pur qualcuno quel pastor n’invia:
Farlo tu dei.
giocasta
830 Tosto il farò. Frattanto
Rientriam nelle soglie e t’assecura
Che nulla oprare a mal tuo grado io posso.
CORO
Strofe I
A me la Parca arrida,
Sì ch’io sempre di fatti e di parole
835Santità serbi inviolata e pura,
A cui l’alte son guida
Leggi nel cielo ingenerate, e prole
D’Olimpo sol: chè da mortal natura
Vita in lor non procede,
840Nè addormentar mai le potrà l’obblio,
Però che innato siede
Possente in esse, e giovin sempre un dio.
Antistrofe I
De’ re madre è Insolenza;
Insolenza, che quando di misfatto
845E d’insanie superbe ha colmo il sacco,
Dall’eccelsa eminenza
Chi prima alzò fa rovinar d’un tratto
Là donde il piede a risalire è fiacco.
Deh! compia il nume a noi
850L’opra che scampo a ritrovar n’adduce.
Nè di tenerlo poi
Cesserem d’ogni passo auspice e duce.
Strofe II
Se di Giustizia impavido
V’ha chi lingua e costumi
855Spiega procaci, ed umile
Sdegna le sedi venerar de’ numi;
Morte il colga affannosa
Con esso lui che a mal guadagno intende,
E a non concessa cosa
860Stolto la destra e scellerato stende.
Chi più vorrà dall’animo
De’ rei desiri allontanar lo strale,
Se ciò s’onora? E cantici
E sacre danze celebrar che vale?
Antistrofe II
865Più non fia che il fatidico
Centro dell’orbe, o il tempio
D’Aba e d’Olimpia io visiti,
Se or non fulge del ver chiaro l’esempio.
Deh Giove onnipossente,
870Se re tu sei dell’universo intero,
A ciò l’alta tua mente,
E il tuo deh volgi interminato impero
Chè già di Lajo obbliansi
Le presagite un dì vicende, e rade
875L’are ad Apollo fumano:
Religion già già vacilla e cade.
GIOCASTA seguita da un'ancella e CORO
giocasta
Prenci di Tebe, io d’avviarmi or penso
Ai templi degli dei, queste recando
Supplici bende, e questi incensi. Edipo
880Spinge tropp’alto il suo dolor, di tutte
Paure in preda. Ei dagli antichi eventi,
Com’uom di senno, i nuovi eventi omai
Non argomenta, e tutto s’abbandona
A chi parla terrori. — Or, poi che nulla
885Pregar non vale o consigliar, con questi
Votivi doni all’ara tua qui presso
Vengo, o Febo Liceo, qualche soccorso
Ad implorar. Tutti atterriti stiamo,
Lui mirando così, come in tempesta
890Disanimato condottier di nave.
UN CORINTIO-GIOCASTA-CORO
corintio
Ospiti miei, saper poss’io la reggia
Ov’è d’Edipo? Anzi, se pur v’è noto,
Ditemi ov’egli or sia.
coro
La reggia è questa,
E dentro ei v’è. De’ figli suoi la madre
È costei che qui vedi.
corintio
895 — Ognor felice,
E tra felici ognor viva d’Edipo
L’egregia donna!
giocasta
E tu pur anco, in merto
Dell’augurio cortese — Or di’: che brami?
Ovver che rechi?
corintio
Un fausto annunzio io reco
Alla tua casa, al tuo consorte.
giocasta
900 E quale? —
Donde tu?
corintio
Da Corinto. A te fia grato
Quant’io dirotti: e come no? Ma forse
Anco insiem ten dorrà.
giocasta
Qual doppia forza
S’acchiude in ciò? che fia?
corintio
Gli abitatori
905Dell’Istma terra eleggeranno Edipo
A proprio re. Tale in Corinto è il grido.
giocasta
Ma che? Polibo antico ivi non serba
Di re possanza?
corintio
Ora non più; chè morte
Sel tien sotterra.
giocasta
Oh! che mi narri? estinto
Polibo?
corintio
910 Sì: morir vogl’io se il vero
A te non dico.
giocasta
— Ancella, or va: qui tosto
Di’ al re che venga — Oracoli de’ numi,
Or dove siete? Edipo un dì tremando
Fuggia da lui per non lo porre a morte;
915Ed ecco, intanto egli ne muor: non muore
Per man d’Edipo.
EDIPO - GIOCASTA - IL CORINTIO
CORO
edipo
O di Giocasta mia
Amatissimo capo, a che m’appelli
Fuor di mie stanze?
giocasta
Odi quest’uomo, e guata
I venerandi oracoli d’Apollo
Ove ne vanno.
edipo
920 E chi è costui? che narra?
giocasta
Vien di Corinto ad annunziar che morto
Polibo giace, il padre tuo.
edipo
Che dici,
Stranier? Tu stesso a me l’annunzio esponi.
corintio
Se ciò pria d’ogni cosa udir tu brami,
Sappi ch’egli cessò.
edipo
925 Per tradimento,
O per forza di morbo?
corintio
Antiche membra,
Basta lieve sospinta a porle in tomba.
edipo
Dunque un rio morbo ha l’infelice ucciso.
corintio
E gli anni molti.
edipo
— Oh! che più vale, o donna,
930Interrogar la Delfic’ara, o il grido
Esplorar degli augelli, al cui presagio
Esser del padre io l’uccisor dovea?
Scende ei sotterra, ed io qui stommi, e brando
Pur non toccai... Se forse nol consunse
935Desiderio di me; sol mezzo ond’io
Dargli morte poteva. Tutti frattanto
Seco i fallaci degli dei responsi
Trasse Polibo all’Orco.
giocasta
Ed io ciò forse
Non ti dissi dappria?
edipo
Tu mel dicesti:
Ma il terror m’aggirava.
giocasta
940 Or non più dunque,
Non dar più loco a tali affanni in core.
edipo
Ma della madre il talamo non deggio
Temer pur anco?
giocasta
E che temer dell’uomo
Che tutto schiavo è di fortuna, e certa
945Previdenza ha di nulla? Ottimo è trarre
Quant’altri può, senza pensier la vita. —
Sgombra il timor delle materne nozze.
Con la madre giacer credean già molti,
E sogno fu. Vive suoi dì felice
950Quegli, appo cui son queste cose un nulla.
edipo
Tutto bello il tuo dir, se più non fosse
La madre mia, ma de’ bei detti ad onta,
Fin ch’ella è in vita, paventar m’è forza.
giocasta
Pur del padre la tomba è a te gran luce.
edipo
Sì, ma di lei temer degg’io.
corintio
955 Qual donna
Tanta tema vi dà?
edipo
Merope, o vecchio,
Quella, di cui vivea Polibo al fianco.
corintio
Qual cosa è in lei che v’atterrisce?
edipo
Orrendo
Un divin vaticinio.
corintio
E dir mel puoi,
O saperlo non lice?
edipo
960 Odilo. — Appollo
A me predisse un dì, ch’io della madre
Giacer nel letto, e con mie mani il sangue
Versar dovea del padre mio. Corinto
Però lunge io lasciai, fausta la sorte
965Qua scorgendo, i miei passi. Eppur l’aspetto
Goder de’ cari genitori è dolce.
corintio
Per lei dunque esulasti?
edipo
E per non farmi
Uccisor di mio padre.
corintio
Or che più indugio
Poi che sincero amor ti porto, a sciorre
L’alma tua da tal cura?
edipo
970 Egual al merto
N’otterresti mercede.
corintio
In ver qua mossi,
Ritrovarti sperando, al tuo ritorno,
Ver me cortese.
edipo
Il mio paterno tetto
Non fia mai ch’io rivegga.
corintio
O figlio, espresso
975Mostri così di non saper che fai.
edipo
Come, o vecchio? perchè? dimmi.
corintio
Se fuggi
Di far per essi al nostro suol ritorno.
edipo
Troppo ho timor che veritiero Apollo
Colà mi sia.
corintio
Renderti reo paventi
Co’ genitori tuoi?
edipo
980 Questo, sì questo,
Sempre tremar mi fa.
corintio
Nè sai che a torto
Tremi di ciò?
edipo
Ma se di loro io nacqui,
Non temerne degg’io?
corintio
Nulla per sangue
Polibo a te non attenea.
edipo
Che parli?
Polibo me non procreò?
corintio
985 Quant’io,
E nulla più.
edipo
Com’esser può, che padre
Quegli a me sia qual chi non fu giammai?
corintio
Certo non io ti generai, nè quegli.
edipo
A che dunque suo figlio ei mi nomava?
corintio
Dalle mie mani ei t’ebbe in dono.
edipo
990 E tanto
Pure amar mi potea?
corintio
Di proprj figli
N’era causa il difetto.
edipo
E tu m’hai compro,
O di te nato mi donasti a lui?
corintio
Del Citeron su le selvose falde
Io ti rinvenni.
edipo
995 A ricercar que’ luoghi
Che ti mosse?
corintio
Gli armenti io là pascea.
edipo
Mercenario pastore?
corintio
Ei fui quel giorno
Conservator della tua vita, o figlio.
edipo
Quale stato era il mio?
corintio
Dir tel potranno
De’ tuoi piè le giunture.
edipo
1000 Oh qual rimembri
Sciagura antica!
corintio
Io ti disciolsi allora
Le traforate piante.
edipo
Un tal pur troppo
Vil contrassegno io riportai.
corintio
Nomato
Quindi Edipo tu fosti.
edipo
Or di’: la madre
1005Così trattommi, o il padre mio? rispondi.
corintio
Io nol so. Chi in mie mani allor ti pose,
Meglio il saprà.
edipo
Tu pur d’altrui m’avesti,
Nè trovato m’hai tu?
corintio
No: mi ti diede
Altro pastore.
edipo
E chi è costui? nomarlo
Sapresti?
corintio
1010 Egli un de’ servi esser dicea
Di Lajo.
edipo
Re di questa terra un tempo?
corintio
Sì; pastor di quel sire.
edipo
Ed or viv’egli,
Sì che vederlo io possa?
corintio
A voi del loco
Abitatori esser dovria ciò noto.
edipo
1015— Havvi tra voi che qui m’udite, alcuno
Che tal pastor conosca? o visto a caso
L’abbia ne’ campi, o per città? Parlate.
Di lui fa d’uopo.
coro
Altro ei non è, cred’io,
Dall’uom di villa che testè cercavi.—
1020Ma contezza miglior darti Giocasta
Potria di ciò.
edipo
Donna, colui che dianzi
Spedimmo a ricercar, sai s’egli è desso,
Di cui questi mi parla?
giocasta
E di chi parla?
Non gli badar; non riandar quant’egli
Favella a caso.
edipo
1025 Esser non può, che tali
Orme seguendo, io non riveli alfine
L’origin mia.
giocasta
Deh per gli dei! se punto
Ti cal di te, più non cercarne. Oppressa
Abbastanza son io.
edipo
Fa cor: quand’anco
1030Servo foss’io fin dalla terza madre,
Sfregio a te non ne viene.
giocasta
Io te ne prego:
Cedi; t’acqueta.
edipo
In piena luce pria
Tutte vo’ por siffatte cose.
giocasta
Io t’amo,
E il tuo meglio ti parlo.
edipo
Omai di troppo
Questo meglio mi grava.
giocasta
1035 Oh sventurato!
Deh voglia il ciel che tu giammai non giunga
A conoscer chi sei!
edipo
— Su via; qui tosto
Quel pastor m’adducete; e lei si lasci
Tutta bearsi di sua schiatta illustre.
giocasta
1040Infelice, infelice! il nome è questo,
Onde appellar sol ti poss’io per sempre.
EDIPO - CORO
coro
Edipo, a che sì di dolor compresa
La regina fuggì? Da quel represso
Suo favellar, che mal ne segua io temo.
edipo
1045Segua tutto che può: l’origin mia,
Umil foss’anco, io vo’ veder. Colei
Donna, e però d’ambiziosi sensi,
Vergogna avrà de’ bassi miei natali:
Ma vero figlio di fortuna io sono;
1050E pur ch’ella m’arrida, a vil tenuto
Mai non sarò. D’una tal madre io nacqui;
E i vissuti miei dì picciolo e grande
Mi feron già; nè per chiarir mia stirpe,
Da quel ch’io sono altro parer poss’io.
CORO
Strofe
1055Se il presago pensiero
A me ragiona il vero,
Tu, Citeron non più fra breve incerto
Di palesar sarai
Qual sia la genitrice,
1060E la patria d’Edipo, e la nudrice:
E del prestato a lui servigio in merto,
Da noi tu pure onor di danze avrai.
Deh! nostri voti accogliere
Piacciati, o Febo allenitor de’ guai.
Antistrofe
1065Chi a te, figlio, fu madre
Fra gl’immortali, e padre?
Forse vaga una ninfa a Pan, che in vetta
Delle balze errar suole,
O forse a Febo unita,
1070Che de’ campi si piace, a te die’ vita?
O il re Cillenio, o Bacco, a cui diletta
Star su i gran monti, raccoglieati prole
Di qualche Eliconiade,
Con cui spesso folleggia, e fa carole.
EDIPO - IL CORINTIO - CORO
edipo
1075Se argomentar poss’io d’uom che a’ miei sguardi
Non occorse finor, veder mi sembra
Il pastor cui cercammo. Ei nella molta
Età consuona, ed a quest’altro è pari;
E i domestici miei che gli son guida,
1080Riconosco. Ma tu meglio il dovresti
Raffigurar, ch’altra fiata forse
Veduto l’hai.
coro
Ben lo ravviso, è desso.
Fido, s’altri giammai pastor di Lajo
Egli fu sempre.
edipo
A te, Corintio, or chieggo,
Se questi è l’uom di cui favelli.
corintio
1085 È questi.
UN PASTORE - EDIPO - IL CORINTIO
CORO
edipo
Vecchio, t’appressa, e fiso in me, rispondi
Alle domande mie — Fosti tu servo
Di Lajo un dì?
pastore
Servo di lui, non compro,
Ma in sua casa cresciuto.
edipo
E qual incarco,
E qual era tua vita?
pastore
1090 Io fra gli armenti
Vissi il più de’ miei dì.
edipo
Di tua dimora
Qual più ch’altro fu il loco?
pastore
Il Citerone,
E que’ campi vicini.
edipo
Ivi quest’uomo
Visto non hai? Nol conoscesti a caso?
pastore
1095A qual opra attendea? Di chi favelli?
edipo
Di quest’uom qui presente. Ebben, non fosti
Seco mai?
pastore
Nol so dir; non mi ricorda.
corintio
Nè stupirne, o signor. Tornargli a mente
Io farò l’obbliato: e so che il tempo
1100Già rimembra, quand’io con un sol gregge,
Egli con due, sul Citeron compiemmo
Tre intere lune in compagnia, dal fine
Di primavera all’apparir d’Arturo.
Poi giunto il verno, io spinsi all’ovil mio
1105La greggia, ed esso a quel di Lajo — Il vero,
Oppur fole io ti narro!
pastore
Il ver tu narri,
Ma di gran tempo addietro.
corintio
Or di’: sovvienti,
Che un pargoletto allor mi desti, ond’io
Qual mia prole il crescessi?
pastore
Ebben, che giova
Ricordar ciò?
corintio
1110 Quel che era infante allora,
Ecco, egli è questi.
pastore
Oh mal ti colga! e quando
Tacerai tu?
edipo
Ma che? tu il biasmi, o vecchio?
Son da biasmar più che i suoi detti, i tuoi.
pastore
In che t’offendo, ottimo re?
edipo
Del figlio
1115Ricusando parlar, che ei ti rammenta.
pastore
Di quanto or dice ei nulla sa.
edipo
Tu nieghi
Parlar buon grado, e parlerai piangendo.
pastore
Deh per gli dei! non dar tormenti a questo
Misero vecchio.
edipo
— Olà: chi tosto al tergo
Gli ritorce le mani?
pastore
1120 Oh me infelice!
Ma perchè mai? che vuoi ch’io dica?
edipo
A lui
Desti tu quel fanciullo, ond’ei favella?
pastore
Sì — Deh foss’io morto in quel giorno!
edipo
Morte,
L’avrai, se appieno or non palesi il vero.
pastore
Più, se parlo, io l’avrò.
edipo
1125 Temporeggiando
Ir vorrebbe costui.
pastore
No: già ti dissi
Che io ’l diedi a lui.
edipo
Donde l’avesti? Tuo
Era egli, o d’altri?
pastore
Ei mio non era: io l’ebbi.
edipo
Da qual Tebano cittadin, da quale
Casa?
pastore
1130 . . . Signor, non ricercar più innanzi;
No, per gli dei!
edipo
Morto se’ tu, s’io deggio
Domandartelo ancora.
pastore
Ei della casa
Era di Lajo.
edipo
A lui congiunto, o servo?
pastore
Oimè! ch’io sono al tristo passo ancora
Di dir cose tremende.
edipo
1135 Ed io d’udirle;
Ma udirle è forza.
pastore
Ei detto era suo figlio.
Come ciò poi, meglio chiarir ten puote
Quella che donna tua là dentro alberga.
edipo
Tel die’ fosa’ ella?
pastore
Ella, o signor, mel diede.
edipo
Perchè?
pastore
Perch’io ne l’uccidessi.
edipo
1140 Iniqua!
La madre sua?
pastore
Sì, per timor d’orrendi
Responsi.
edipo
E quali?
pastore
A’ genitori suoi
Predetto ei venne apportator di morte.
edipo
Dunque a costui perchè tu darlo?
pastore
Io n’ebbi,
1145Signor, pietade; e il diedi a lui, che lungi
Seco il recasse alla natia sua terra.
Ahi! che a mali più grandi egli t’ha salvo.
Se quel desso tu sei, sappi che molto
Sventurato nascesti.
edipo
— Or ecco, tutto
1150Svelato è tutto interamente. — O luce,
Ultima volta è ch’io ti veggo: io nato
Di chi nascer fu colpa: io che marito
Mi feci a chi mai non dovea: che morte
Diedi a chi dar non la dovea giammai.
coro
1155Oh progenie mortale,
Com’io del nulla estimo
Tutta tua vita eguale!
Qual uom, qual uom felicità possiede,
Se non quanta in se crede?
1160E piomba allor che men l’aspetta all’imo
Sì che, misero Edipo, il tuo mirando,
Il diverso tuo fato,
Mortal! nessuno io nomerò beato.
Però che tu vibrando
1165Ad altissimo segno i dardi tuoi,
Il fior cogliesti d’ogni ben perfetto;
Allor che sterminando
L’ugnicurva fanciulla, in pro di noi
Ti se’ riparo incontro a morte eretto:
1170Onde mio re sei detto,
E tribuita a tua regal possanza
Venne somma onoranza.
Ma se il vero or si dice,
Chi di te più infelice?
1175E chi pari per guai,
E per mar di vicende a te fu mai?
Un porto sol te fu d’accor capace
Padre, figlio, marito. E sofferente
Come, deh, come in pace
1180Te il paterno finor letto sostenne?
Ma il tempo onniveggente
Non aspettato a ritrovar ti venne,
E a giudicar le sozze,
Incestuose nozze.
1185Deh! mai veduto io non t’avvessi, o figlio
Di Lajo: acerbo duolo
Tale or nell’alma io sento,
E spargo alto lamento.
Eppur già per te solo
1190Io respirai da orribile periglio,
E chiusi al sonno il ciglio.
UN NUNZIO - CORO.
nunzio
O di questa contrada incliti prenci,
Che udrete mai! che mai vedrete! o quanto
Ve ne dorrà, se ingenuo zelo in voi
1195Della casa di Labdaco rimane!
Poco, io penso, fia l’Istro, e poco il Fasi
Questa reggia a purgar. Voluti mali
Tosto in luce verranno; e assai più gravi
Piomban sull’alma i procurati affanni.
coro
1200Cose udimmo di già, cui nulla manca
Per ferie orrende. Or che v’aggiungi?
nunzio
Evento
A narrarsi brevissimo, e ad udirsi:
Morta è l’alma Giocasta.
coro
Oh sventurata!
Ma donde, e come?
nunzio
Ella da sè s’uccise;
1205Ma non è questo il più: l’orrenda scena
Era d’uopo mirar. Qual nella mente
Pur mi sta fisso, il fiero caso udrai. —
Poi che poc’anzi da furor sospinta
Ella sparve di qui, con ambe mani
1210Lacerando le chiome impetuosa
Al talamo avviossi; entro le porte
Dietro, si chiuse, il già gran tempo estinto
Lajo chiamo rammemorando il frutto
De’ prischi amplessi, ond’ei morire, ed essa
1215Alla prole di lui nefanda prole
Dar dovea poscia; e deplorò quel letto,
In cui marito da marito, e figli
Partoriva da figli. Indi che avvenga
Di lei non so; che furioso Edipo
1220Giunse sclamando, e di veder ne tolse
L’atto fatal. Volgemmo in lui gli sguardi:
Ei qua là raggirarsi, un ferro un ferro
A noi chiedendo, e domandando ov’era
La sua moglie non moglie, e madre insieme
1225Di lui non men che de’ suoi figli. Ed ecco
Un qualche iddio (che alcun di noi nol fece)
Glien mostra il loco; ond’ei gridando, e dritto
Come s’altri il guidasse a quelle porte
Corse; le urtò; le rovesciò dai cardini;
1230Balza dentro la stanza: e là dall’alto
Veggiamo avvinta a torto laccio il collo
Pender Giocasta. Il misero fremè
Cupamente a tal vista; e la discioglie
Tosto, e al suol la depone. Allor più fiero
1235Spettacolo seguì: ch’egli, divelte
Dalla vesta di lei le aurate fibbie,
Negli occhi a forza a se le diè, gridando:
"Che più così non mireran le orrende
Cose ch’ei fece, e ch’ei sofferse; e tolto
1240Lor fia sempre il veder quei che più dolce
Veder sarebbe, e necessario a lui."
Così sclamando, e alzando le palpebre,
Le ferite iterava, e giù diffuse
Gli rigavano il volto le pupille;
1245Nè stillava l’umor: negra una pioggia
Scorrea giù mista a grandine di sangue. —
Tal di malanni una serie funesta
D’ambo insiem si prorruppe, ed ambo insieme
Ravvolse poi. Felicità ben era
1250L’antica lor felicità; ma fatta
Oggi è infamia, tormento, pianto, morte;
E quanti ha nomi di sciagure insomma,
Nullo ad essi ne manca.
coro
Or l’infelice
Che fa?
nunzio
Le porte spalancar comanda,
1255Ed a Tebe mostrar colui che il padre
Assassinò; che della madre... Ah! troppo
Nefande cose ei grida, e proprie solo
D’uom che a sè stesso imponga esiglio, e sacro
Se ne vada alle Furie. Ei certo ha d’uopo
1260Di soccorso e di guida: atroce affanno,
Più che soffrir non lo si possa, è il suo.
A te pur mostrerassi. Ecco, le porte
Schiudonsi già. Spettacolo vedrai
Da por pietade a chi più l’odia in petto.
EDIPO - CORO
coro
1265Oh terribile vista! o più d’ogni altra,
Vista orrenda per me! Qual ti comprese
Disperato furor! Quale a tuoi mali
Demone acerbo altri, e più gravi, aggiunse?
Ahi sventurato! Io molte cose a dirti
1270Avrei; molte ad udirne; in te lo sguardo
Fissar vorrei, ma mirar non ti posso;
Tal tu m’ispiri un raccapriccio!
edipo
Ahi lasso!
Ahi lasso me! dove m’aggiro? dove
Or mia voce risuona? In qual mai stato
Mi trabalzasti, o sorte!
coro
1275 Orrido stato,
Qual nè mirar, nè udir si puote.
edipo
Oh nube
Di spaventoso, inesplicabil bujo,
Che immerso, indissolubile m’avvolgi!
Ahi come acuti, ahi come al cor mi vanno
1280Gli spasmi, oimè! delle ferite, e insieme
Di mie colpe il rimorso!
coro
A tal ridotto,
Meraviglia non è, se il cor ti fiede
Doppio dolore.
edipo
O mio diletto amico,
Fido ancor tu mi sei: tu di me cieco
1285Serbi cura pur anco. Ah! sconosciuto
No, non rimani a me: ben di tua voce
Io riconosco in fra quest’ombre il suono.
coro
Oh feroce coraggio! un sì rio scempio
Come mai di tue luci far potesti?
Qual dio ti spinse?
edipo
1290 Apollo, amici, Apollo
È delle angosce mie, de’ mali miei
Autor verace. Entro quest’occhi io stesso
Vibrato ho i colpi, io misero; ma quale,
Qual pro m’era il veder, se a me di grato
1295Nulla a veder più rimanea, più nulla?
coro
Vero parli pur troppo.
edipo
Or qual poss’io
Cosa udire o mirar, che mi diletti;
Qual pur anco bramar? Deh! tosto, amici,
Tosto lungi di qua me strascinate:
1300Me d’ogni mal capo esecrando, sacro
Tutto alle furie, e fra’ mortali tutti
Il più in ira agli dei.
coro
Te sventurato
Per sentimento e per vicende! Oh quanto
Non t’aver conosciuto io bramerei.
edipo
1305— Pera colui che su que’ gioghi erbosi
Dalla dura ritorta i piè mi sciolse,
E da morte salvommi: opra non grata!
Chè allor morendo, ai genitor sì grave
Non sarei divenuto, ed a me stesso.
coro
Ciò anch’io vorrei.
edipo
1310 Non uccisor del padre,
Non della madre mia n’andrei marito
Fra le genti nomato. Or ecco, io sono
Veracemente misero. D’iniqui
Figlio son io; procreator di figli
1315Da colei, donde nacqui: e se v’ha peggio,
Proprio è tutto d’Edipo
coro
Eppur laudarti
D’opra siffatta io non saprei. Meglio era
Non viver più, che trar cieco la vita.
edipo
No; che saggio pensiero in ciò non ebbi,
1320Non insegnarmi; e non consigli omai
Con quali occhi io potea, scendendo a Dite,
Mirare in fronte il padre mio, la mia
Misera madre, ad ambo i quali io feci
Cose che un laccio ad ammendarle è poco.
1325Forse dolce il veder m’era i miei figli,
Nati come son essi? Agli occhi miei
Non già; nè Tebe, e la sua rocca, e i santi
Simulacri de’ numi, ond’io fra tutti
Quanti ha Tebani in sì solenne modo
1330Da me sol mi privai, tutti eccitando
L’empio a cacciar; quel che da’ numi impuro
Svelato venne, e del sangue di Lajo.
Or che tal macchia in me trovai, potea
Questi oggetti mirar con franco sguardo?
1335Ah no. Se dell’udito anco la fronte
Modo vi fosse ad accecar, già chiuso
Questo misero corpo anco le avrei,
Per veder nulla, e nulla udir: chè dolce
È trarre i dì senza sentor di mali. —
1340Oh Citeron, perchè raccormi! o tosto
Perchè morte non darmi, ond’io giammai
L’origin mia non rivelassi al mondo!
Oh Polibo! Oh Corinto! oh già creduta
Mia paterna magion, qual di malanni
1345Sotto bella apparenza in me nudriste
Infinita sorgente! Or ecco, un empio,
D’empj figlio io mi trovo. — Oh trivio! o selva!
Oh cupa valle! oh terra, che già il sangue
Del padre mio per le mie man beveste,
1350Ancor di me vi rimembrate? Oh quali
Io commisi appo voi colpe nefande!
Quali poscia quà giunto! Oh nozze, oh nozze!
Me generaste, e il generato seme
Donde uscì ritornando, produceste
1355D’un sangue sol padre, fratelli e figli,
E mogli, e madri, e quanto al mondo insomma
V’ha di più reo. — Ma poi che dir non lice
Quel che far non è bello, ah per gli dei!
Via traetemi, tosto, o m’uccidete,
1360O gettatemi al mar, sì che vedermi
Più non possa persona. Orsù, degnatevi
Stender la mano a quest’uom miserando:
Nè timor vi trattenga. I mali miei
Nessuno, fuor ch’io, può sopportar; nessuno.
coroo
1365Ecco a giovarti di consiglio e d’opra
Opportuno Creonte, a cui di Tebe
Restò la cura in vece tua.
edipo
Me lasso!
Che mai dirgli dovrò? qual posso in lui
Speme locar, se, non ha guari, a lui
1370Onta recai d’ogni più iniquo oltraggio?
CREONTE con le due figlie di Edipo
EDIPO - CORO.
creonte
Non a schernir, nè a rinfacciarti, Edipo,
Vengo le offese tue. — Ma voi, che fate?
Se non vi tien degli uomini rispetto,
Santo rispetto dell’altrice lampa
1375Di questo Sole or vi rattenga almeno
Di sì aperto mostrar questo reo capo,
Cui nè terra, nè sacra onda, nè luce
Accoglier può. Dentro il guidate or dunque.
Chè veder de’ congiunti, e udirne i mali,
1380Sol de’ congiunti alla pietà s’aspetta.
edipo
Deh per gli dei, poi che d’error m’hai tolto,
Ottimo tu venir degnando a questo
Pessimo uomo, deh compi un sol mio voto!
Per ben di te, non per mio ben, tel chieggo
creonte
E che implori da me?
creonte
1385 Da questa terra
Lungi tosto mi balza ove nessuno
Più mi vegga, nè m’oda.
creonte
Ad appagarti
Presto, il sappi, io sarei: ma pria di tutto,
Che far si debba udir vogl’io dal nume.
edipo
1390Certa già di quel nume è la sentenza:
Esterminar me parricida infame.
creonte
Ciò disse allor; ma in cotant’uopo il meglio
Fia richieder consiglio.
creonte
Interrogarlo
Vorrete voi per uom tanto infelice?
creonte
E in lui tu pur fidar dovresti.
edipo
1395 — Or odi
Ciò ch’io t’ingiungo, e far ti prego. A quella
Che là dentro sì giace, ergi la tomba.
Pietoso ufficio al sangue tuo dovuto
Eseguirai così. Poi fra sue mura
1400Questa patria città fa che me vivo
Non tenga più. Lascia che i giorni io tragga
Su quel mio Citeron, cui padre e madre
A me vivente disegnâr sepolcro;
Sì ch’io possa morir dov’essi estinto
1405Voleanmi. So che nè malor, nè risco
Verun m’ha domo, e non da morte allora
Sottratto fui, che per serbarmi a qualche
Più terribile fin; ma non mi cale:
Nostra ventura ovunque va, sen vada. —
1410Tu poi, Creonte, de’ miei maschj figli
Non t’assumer pensier: uomini sono;
Quindi inopia di vitto in qual sia loco
Non soffriran giammai. Ma le infelici,
Le mie misere figlie, a cui la mensa
1415Mai senza me non s’apponeva, e sempre
Ogni mio cibo dividea con esse;
A te le raccomando. Ah! lascia ch’io
Con mie mani or le tocchi, e i nostri mali
Ne pianga insiem. Deh mel concedi, o prence,
1420O generoso! Nel toccarle, ancora
Di possederle mi parrà, siccome
Quando io vedea.... ma per gli dei, non odo
Non odo io forse pianger le mie figlie?
Creonte forse impietosito i miei
1425Qui m’avviò più cari pegni? Il vero
Diss’io?
creonte
Dicesti. Io son che a te le addussi,
Il desir tuo ben conoscendo.
edipo
Oh sempre
Ti sorridan gli eventi, e cura il cielo
Abbia di te più che di me non l’ebbe! —
1430Ove ove siete, o figlie mie? qui qui
Venite a queste fraterne mie mani,
Che trattâr qual vedete i fulgid’occhi
Del vostro genitor: di me, che nulla
Non sospettando e non veggendo, padre
1435A voi divenni ove concetto fui. —
Io nol vedrò; ma per voi piango, o figlie,
Pensando al resto dell’amara vita,
Che menar vi fia d’uopo. A qual n’andrete
Pubblico invito, a qual festiva pompa,
1440Donde a tutti spettacolo di pianto
Ritornar non dobbiate? E quando agli anni
Poi delle nozze aggiungerete, o figlie,
Chi vi sarà? Chi affronterà siffatte
Onte, che i vostri genitori e miei
1445Contaminaro incancellabilmente?
Qual vi manca ignominia? Il padre vostro
Die’ morte al padre suo: giacque con quella,
Ond’egli nacque; e della propria madre
Voi generò. Queste vergogne apporvi
1450Udrete; e a voi chi s’unirà? Nessuno,
Nessuno, o figlie, e vi sarà pur forza
Vergini e sole strascinar la vita;
O figliuol di Menéceo, che ad esse
Rimani unico padre or che morimmo
1455Ambo noi genitori, ah! non lasciarle
(Che congiunte ti sono) errar mendiche,
Destitute di sposo; e a me ne’ mali
Non pareggiarle. Abbi pietà di loro:
Guardale come pargolette sono;
1460Fuor che di te, prive di tutti. Ah prence,
Del favor tuo ne rassicura, in pegno
La tua destra porgendo. — O figlie mie,
Io vi potrei, se in voi ragion già fosse,
Dar di molti consigli: or questo voto
1465Da me prendete almeno: — Amica terra
Sempre v’accolga; e miglior vita a voi,
Che al vostro genitor conceda il fato!
creonte
Non più. Fin dove trascorri col pianto?
Rientra omai.
edipo
Benchè non grato cenno,
Ubbidirò.
creonte
1470 Bello a suo tempo è tutto.
edipo
Ma sai pria qual promessa io da te voglio?
creonte
Parla.
edipo
Di qua mandami tosto in bando.
creonte
Ciò s’attiene a quel nume.
edipo
Ai numi in ira
Più di tutti son io.
creonte
L’otterrai quindi.
edipo
Davver mel dici?
creonte
1475 Io proferir non amo
Ciò che in mente non chiudo.
edipo
Or ben, mi traggi
Via di qui.
creonte
Va: lascia le figlie.
edipo
Ah! queste
Non me le torre, ah no!
creonte
Non voler tutto
A tuo grado ottener. Quanto ottenesti,
1480A far beato il viver tuo non valse.
edipo
— Cittadini di Tebe, or quest’Edipo
Che il grand’emimma indovinò, che in sommo
Di possanza salito, invido mai
Non volse al ben de’ suoi soggetti il guardo;
1485Mirate in qual d’orribili vicende
Fiero vortice cadde. Al giorno estremo
Però guati il mortale; e mai felice
Non tenga l’uom, pria che d’affanni scevro
Tocco non abbia della vita il fine.