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elena
cantando.
Dando principio al grande lamento di grandi cordogli,
qual pianto gemerò, qual carme farò che risuoni,
con lagrime, con lutti, gemiti? Ahimè, ahimè!
Strofe I
Fanciulle alate, vergini
della terra figliuole,
deh, giungete, Sirene,
agli urli miei, la cétera
recando, o il libio flauto,
per suonare concordi alle mie lagrime,
i canti ai canti, le pene alle pene!
O funerei, funerei
cantori a me spedir voglia Persèfone,
a fare eco al mio pianto,
sí che da me, dai miei notturni talami
in onor dei defunti ella abbia un canto.
Entra nell’orchestra il coro, di fanciulle greche, e con aggraziate evoluzioni va a disporsi intorno all’altare di Diòniso.
coro
Antistrofe I
Presso all’onda cerulea
io stavo, e sulla ricciola
erba; e purpurei panni
asciugavo su calami
di canne, esposti agli aurei
raggi del sole; e senza lira un cantico,
un suono udii di lamentosi affanni,
che intonava fra i gemiti
la mia signora, pari ad una Nàiade
che per balze montane
fuggiasca, entro profondi antri di roccia,
grida, e plora le sue nozze con Pane.
elena
Strofe II
Ahimè ahimè!
Prede di remo barbarico,
fanciulle nate ne l’Ellade,
un nauta pervenne, un nauta,
degli Achivi, per me
foriere foriere di lagrime:
ché Troia sotto all’impeto
delle nemiche fiamme soccombé,
per me, di stragi origine,
pel nome mio, per la mia triste sorte;
e Leda in breve laccio,
pel dolor, per l’obbrobrio
mio, cercava la morte;
ed il mio sposo a lungo sopra il pelago
va errando e muore,
e Castore e il fratel suo, della patria
il duplice fulgore,
invisibili, invisibili
svanir dai piani ove il corsier scàlpita,
dalle palestre dove,
presso all’Eurota florido di calami,
fanno i garzon’ le prove.
coro
Antistrofe II
Ahimè ahimè!
Oh tuo destino di gemiti,
donna, o tuo fato di lagrime,
un vivere che non fu vivere
piombò, donna, su te,
quando a tua madre per l’ètere
Giove rifulse in nivee
piume di cigno, e a te la vita die’.
Quale fu poi la tua misera
vita, da qual fosti dei mali immune?
Spenta è tua madre misera,
né dei figliuoli gemini
di Giove, liete furon le fortune.
E piú non vedi il suolo di tua patria,
e in tutte le città
corre la fama che di Ietti barbari
te partecipe fa,
te veneranda; e sul pelago
lasciò la vita il tuo sposo, e tra i vortici;
né far potrai piú lieti
dei padri i lari, né d’Atena il tempio
dalle bronzee pareti1.
elena
Epodo
Ahi, ahi, quale uomo, di Frigia
nato, o su suolo ellenico,
il pin tagliò, per Ilio
di lagrime foriero? Indi il Priàmide,
la sua nave di morte
compaginata, in mare
spinse il remo barbarico
verso il mio focolare,
verso la mia bellezza infelicissima,
per avermi consorte.
E l’omicida frodolenta Cípride
con lui giunse, rovina
ai Danàidi recando ed ai Priàmidi:
che sorte, ahimè, tapina!
Ed Era, sopra gli aurei
troni di Giove sposa venerabile,
il figliuolo di Maia
pie’ veloce spedí; ché, mentre io petali
nel mio peplo cogliea freschi di rosa,
che recare volevo al tempio bronzeo
d’Atena, a questa mi rapí per l’ètere
terra calamitosa,
perché di guerra causa
contro i figli di Priamo io fossi a l’Ellade.
E di me trista fama or su le rive
del Simoenta vive.