< Ellade
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IV VI

Quando il fanciullo Amor lanciava strali
     Insidïoso nei profondi petti,
     Ardeano i cor de’ Numi e dei mortali,
     Le sue pene anelando, i suoi diletti.
Giove fuggiva da Giunon gelosa
     A talami terreni: si calava
     D’Endimïone la celeste sposa
     In su la terra, e in sen gli si posava.
Delle battaglie il Sire d’Afrodite
     S’ammollia di repente al dolce riso:
     Potè spetrare il core anche di Dite
     Persefone col suo leggiadro viso.
Ercole la sua clava un dì depose,
     E, schiavo amante di due luci belle,
     In veste femminil le membra ascose,
     Torse (e Amor rise) il fuso infra le ancelle.
L’invitto aveva Thànato scacciato,
     Che Alceste giovinetta minacciava,
     E quella, salva dall’acerbo fato,
     Nell’amor dello sposo si beava.
Scorrea sul mare stuolo rutilante
     D’eroi: Teti li vide, e amò Pelèo;
     Della beltà la Dea d’Anchise amante
     Sull’Ida fu, cotanto Amor potèo!

Guai se sdegnato Amore o la sua madre
     Avversi strali altrui vibrava in core!
     Di sè Narcisso ardea, Mirra del padre,
     E gemea Saffo in suono di dolore.

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