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Parlando di Torquato Tasso, hassene, secondo me, a parlare intorno a pregio di poesia, per la quale tutta Europa ha altamente di lui parlato, nè senza ragione; chè dire del sangue e della sua patria e di cose simili, non si racconterebbono lodi, onde egli andasse più su che gli altri; quantunque egli perciò sia stato riguardevole nel mondo, come ciascuno ben nato; ma di personaggio fatto si singolare dalle altre persone per sommo studio, sarebbe una fatica dire qualità nelle quali non è, salvo pari agli altri. Ora sembrami che il Tasso in fra i poeti volgari si rappresenti quale presentossi Virgilio fra’ suoi latini; conciossiachè Virgilio dottrinossi nelle scuole de’ filosofanti, e nel suo poema fu vago di far mostra della dottrina imparata; ed avvegnacchè più maniere di poesia egli trattasse, non pertanto vedesi ch’ei nacque alle grandi, e per celebrare pure gli eroi; e nel poema suo rivolgendosi verso la sublimità non fissò la mente ad alcuna condizione di favola, nè a porre minutamente sotto gli occhi a’ lettori con le parole le cose narrate si travagliò, ma sempre mai vola per l’alto, e verseggiando fa rimbombo, ed empie fortemente le orecchie con infinita soavità. Similmente Torquato non attaccossi alla singolarità della favola, nè minutamente fece la sua narrazione, ma intento a sollevare il verso toscano, tuona e colma l’uditore co’ versi suoi d’insuperabil dolcezza, e dove gli viene in acconcio, non schifa di mostrarsi ben dotto e domestico delle scuole; nè perchè in varie maniere egli poetasse, fu mai miglior poeta che faticandosi nella epopea. Possiamo similmente contare come Virgilio lasciò l’Eneida imperfetta per morte importuna, ed il Tasso non diede a suo grado fine alla Gerusalemme per accidente peggiore che morte: ambidui rimasero poco soddisfatti di loro scrittura, ma nondimeno i secoli corsi da poi hannola stimata se non senza paragone, tuttavia senza errore; e veramente specchiandosi in questi poeti, tutti i poeti, se fieno poeti, affisserannosi. Per tal maniera suo studio e natura fece il Tasso a Virgilio somigliante; ma per altra mostra che egli somigliante sia ad Omero. Non voglio cominciare da alto, e dire che uno si nacque molto poverello, come si sa, e l’altro sul cominciamento della vita vide al padre togliersi tutto il suo avere, onde, siccome ad Omero, a Torquato convenne sostenersi dell’altrui
cortese amorevolezza. Ben dirò, che Omero datosi a poetare rimase senza la luce degli occhi, e Torquato, poetando, vide abbarbagliarsi la luce dell’intelletto assai spesso. In oltre i poemi di Omero, dispersi e lacerati, ebbono a raccozzarsi e porsi insieme; e quello del Tasso trapassando per le altrui mani ed in molti modi mal concio, ebbe mestieri della diligenza altrui. Che più? Di Omero molte città vollero esser patria, ed il Tasso di più d’una può cittadino dirsi non falso; perciocchè in Napoli nacque, e di Bergamo trasse origine, ed in Ferrara menò più parte de’ giorni. Fu Omero assai per la Grecia peregrinando, ora per vaghezza ora per necessità, e Torquato per la Italia non poco per molte cagioni trascorse: e l’uno e l’altro finalmente di più grande splendore adornossi dopo vita, e più marivigliosi apparvero al mondo quando non più rimirando le sembianze del loro corpo, egli ebbe solamente a riguardare le opere de’ loro ingegni. Ora pare a me accidente da non tralasciarsi con maraviglia, che nel volgare poeta sieno le qualità tanto a numero, onde egli al Latino ed al Greco possa per varie cagioni paragonarsi. Ha voluto la natura far credere, che formando il Tasso, ella aveva dinanzi Omero e Virgilio, e volle sottilmente dare ad intendere per questa via, in quale stima egli debba tenersi dagli uomini, veggendolo rappresentare sulla scena dell’universo somigliante a due personaggi, i quali sono per tanti secoli trascorsi reputati ammirabili. Ha dunque la nostra Italia di che ben avventurata appellarsi, e dee con ogni sforzo onorare Torquato Tasso, ed onorarlo supremamente; perciocchè i sommi pregi onorare mezzanamente è far sembiante di averli in dispregio manifestamente.