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Ha ottantadue anni, ma è bello ancora.
Porta sul petto e sulle spalle una vera Via crucis di cavalierati, di commende e di gran cordoni ma cammina sempre diritto e con disinvolta agilità.
Ha tutti i suoi capelli, né si vergogna di averli bianchi, di una bianchezza argentina tanto bella che mi fa sempre pensare perché Dio non abbia dato ai giovani le chiome bianche, riservando ai vecchi il colore triste del lutto.
I suoi baffi e il suo pizzo son molto grigi, quasi bianchi come i capelli; ma impiantati bene, come arbusti vigorosi, ben nutriti e ben coltivati.
Della vecchiaia due sole magagne, l’orecchio un po’ duro e le mani un po’ tremule; come chi dicesse due nei in una bella faccia, due macchie nel sole.
Della sordità non si accorge, perché con lui cortesissimi sempre gli amici hanno la cortesia di alzare un po’ la voce; e al tremito venuto a poco a poco non ci bada, perché non gli impedisce né di scrivere, né di suonare il pianoforte.
Mangia con appetito, e digerisce tutto ciò che mangia; dorme tranquillamente; passeggia, e nelle feste di famiglia, quando non è al pianoforte, fa ancora qualche giro di valzer, scegliendo la signora più bella o la signorina più desiderata.
Nessuno al mondo è senza vizi e anche il mio commendatore ha i suoi: fuma dei Virginia e ne fuma troppi; beve dei cognacchini e ne beve troppi; ma quando io lo rimprovero, mi ride in faccia, dicendomi: ne ho sempre bevuto e vedete che non mi hanno fatto troppo male.
Ed io devo tacere e chinare il capo.
Questo bel vecchio è stato sempre bellissimo, attraversando la vita con tutte la varie bellezze della infanzia, dell’adolescenza, della giovinezza e dell’età matura ed ora ha le bellezze della vecchiaia: le più rare, non le ultime.
Alla bellezza ha sempre avuto compagni la grazia e lo spirito; per cui egli è molto piaciuto alle donne e queste, naturalmente, son sempre piaciute molto a lui. Da questo accordo perfetto nacque un’armonia di note deliziose, che come una dolce e cara musica del cuore ha accompagnato sempre il mio commendatore.
Ebbe rare fortune, ma non fu mai libertino. In amore guarò sempre in alto, serbandosi gentiluomo con tutte, né mai portando in piazza i propri amori. È questo il vero modo di non sciupar la salute e di non perder mai la stima di se stesso.
E così la simpatia delle belle signore lo ha accompagnato sempre, e anche oggi ho ragione di credere, che Eva non è del tutto morta per lui. Se in amore non è più un artista di cartello, è però sempre un buon dilettante.
Ha viaggiato molto, ha occupato alti posti nella vita consolare e nei negozi delle banche fortunatissimo; per cui poté farsi da sé un’eccellente posizione nella gerarchia del denaro.
E la adoperò per raccogliere con intelletto d’amore un vero museo di arti belle e di rare curiosità, che lascia aperto a tutti e di cui per tanti anni fu egli stesso espositore e cicerone.
Amantissimo della buona società, aprì le sue sale a lieti conviti e a feste splendidissime, raccogliendo il meglio e l’ottimo della città in cui si era stabilito.
Caritatevole e facile soccorritore d’ogni sventura, porse aiuti anche alla scienza: di qui le molte e alte onoreficienze, di cui fu sempre vago e che gli ornano il petto nei dì solenni.
Adora la musica, nella quale è qualcosa più di un dilettante; e non solo interpreta mirabilmente le armonie dei grandi maestri ma egli stesso compone e può godere di udir eseguite dalle sue mani armonie e melodie create da lui.
In tutte le questioni controverse della politica, della religione, della morale egli ha sempre saputo tenersi lontano dagli eccessi; fossero poi di fanatismi o di sprezzi, di rivoluzione o di reazione. Credo che quella preziosa e rara lampada del buon senso non gli sia mai caduta di mano per cui, mutando paesi e costumi e mutando tutte le cose intorno a lui, egli è sempre rimasto lo stesso gentiluomo, lo stesso galantuomo, lo stesso uomo felice.
Ma la sua felicità è ancor più singolare, perché ha saputo resistere alla sventura. Molti sono felici, non per merito proprio, ma per merito della fortuna, che ha soffiato sempre in poppa sulla loro navicella.
Il mio commendatore invece, proprio negli ultimi anni della sua vita, quando più si ha bisogno di onde tranquille e di cielo sereno, vide travolta la sua barca da una formidabile bufera. Gravi disastri bancari gli portarono via più di due terzi della propria fortuna: per lui abituato da più di mezzo secolo alla ricchezza era una vera miseria.
Chi sa quanti altri si sarebbero gettati nell’abisso, rinunziando alla vita, chi sa quanti naufraghi in tanta procella! Egli invece raccolse le vele, si guardò intorno, e con la calma che non dà che la forza, si privò del suo Museo, dell’amico suo di cinquant’anni, e si rassegnò ad una nuova e modesta posizione, senza maledire, senza imprecare, senza piangere.
Egli si mostrò grande davvero, perché il rimaner felici in certi casi della vita è virtù, è quasi eroismo.
Il mio commendatore aveva raccolto in sé troppi tesori morali, per poter soccombere al naufragio del denaro. Egli rimase felice anche senza il denaro, prova di grandissima superiorità, di una grande altezza morale.
A lui son rimasti la salute, il fido affetto di una bella e dolce compagna; a lui la stima degli amici, le dolcezze della musica, la lettura dei libri prediletti; a lui l’appetito fedele e il sonno tranquillo, l’agilità dei muscoli e l’allegria costante.
Perché non sarebbe egli ancora felice?
Ed egli lo è, dando a tutti un’alta e grande lezione nel l’arte di vivere; di viver felici a ottantadue anni, senza egoismo, senza bassezze e senza una grande fortuna.