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ORAZIONE1
DI GORGIA LEONTINO2
INTORNO
AL RAPIMENTO D’ELENA.
SIccome l’abbondar d’uomini di merito è cosa, che ad una Città conviene, la bellezza ad un corpo, all’anima la sapienza, la virtuosa condotta a un affare; così d’un’Orazione è tutto propria la verità. Nè alcuna di queste cose può aver ornamento, che non sia di tali prerogative fornita. Egli è però giusto, che un Uomo, una Donna, un’Orazione, una Città, un affare onorati sieno, se degni d’encomio, e se non degni, ripresi. Poich’egual mancamento, ed eguale ignoranza è il riprendere le lodevoli cose, e ’l lodar quelle, che meritano riprensione. Dovere pertanto d’un uomo è il parlare secondo la verità, e prendersela contra gli accusatori d’Elena, Donna, di cui e la testimonianza de’ Poeti, che n’ebber contezza, e la celebrità del suo nome, rapportando le stragi per lei avvenute, costante han lasciato a’ posteri la memoria. Io però voglio una certa difesa introducendo nel mio ragionamento, e far dall’accuse cessar chiunque ha di lei sinistro concetto, e i bugiardi riprensori indicare, e mostrando loro la verità liberargli dall’ignoranza, in cui vivono.
Che dunque e per natura, e per sangue abbia avuto la Donna, di cui favello, il primo vanto fra quanti, e quante mai furono al Mondo più singolari, non v’ha persona, che dubiti; essendo ben manifesto, che, avendo Leda per madre, conta per genitori Tindaro e Giove, ch’è quanto a dire un uom mortale, ed un Dio, il primo de’ quali in apparenza fu Padre, in realtà il secondo; Ed era quegli il più potente tra gli uomini, questi d’ogni cosa il Sovrano. Nata dunque da sì fatti personaggi, divina bellezza sortì, la qual ricevuta non lasciò punto, che rimanesse nascosta. Che anzi molte passioni d’amore in molti svegliò tanto potendo un sol corpo su varj corpi d’uomini a grandi pensieri avvezzati: de’ quali alcuni grandezza vantavano di ricchezze, altri la gloria d’un’antica nobiltà, altri l’eccellenza del proprio valore, ed altri il merito d’un’acquistata prudenza; tutti però in contesa per impulso d’amore, o per cupidigia d’un’invincibile gloria.
Io non dirò chi fosse, e per qual cagione, e in qual maniera gli amorosi suoi voti adempisse chi Elena prese. Poichè il narrare a chi sa quelle cose, che sa, acquista ben fede, ma non reca dilettazione. Passando dunque in silenzio sì fatte circostanze di tempo, al principio mi condurrò nel mio futuro ragionamento, e proporrò le ragioni, per cui conveniente cosa era, che si facesse la spedizione d’Elena a Troja. Imperciocchè o per voler della sorte, e per comandamento de’ Numi, e per necessità del destino operò ciò, che fece, o per forza rapita fu, o da discorsi convinta, o presa da amore. Se il primo si diede, degno è d’esserne accagionato chi ne diede cagione. Ch’egli è impossibile colla provvidenza degli Uomini impedire la provvidenza d’un Dio. Nè vuol natura, che un più perfetto dall’inferiore dipenda, ma che l’inferiore dal più perfetto sia governato, e condotto. Il Superiore adunque comanda, e l’inferiore è soggetto. Or Dio è più perfetto dell’uomo e nella forza, e nel sapere, e in altre prerogative. Dunque o la fortuna, o Dio3 s’incolpi, o nella sua disgrazia Elena si compatisca. Se fu per forza rapita, e fuor d’ogni legge necessitata, ed offesa; cosa è pur chiara, che quel medesimo, che la rapì, e che l’offese, l’ingiustizia commise. Poichè se rapita Ella, ed offesa disavventure sofferse, degno è certamente quel barbaro, che a così barbaro attentato s’accinse, d’esserne e dalla legge, e da’ discorsi, e in realtà gastigato: dalla legge co’ disonori, da’ discorsi coll’accuse, e in realtà dalle pene. E se necessitata Ella fu, e vedova della Patria rimase, ed orfana d’amici, come più non merita compatimento, che maldicenze? Poichè se il rapitore gravi cose tentò, Elena gravi cose sofferse, giusto è, che questa pietà ne tragga, e quell’altra malevolenza. Che se poi da tale eloquenza fu persuasa, che la sua mente ne restasse ingannata, non è pur difficile intorno a questo difenderla, e liberarla dall’accuse, che a lei si fanno. Ella è l’eloquenza un gran Principe, che in un picciolissimo, e assai vil corpo divinissime imprese fa eseguire. Ed ha tal forza di sottrarre alcun dalla tema, d’alleggerirgli il dolore, di cagionargli allegrezza, e d’accrescergli compassione. Il fatto adunque fu tale, quale io vi mostrerò. Ma fa d’uopo con ornamento agli Uditori narrar le cose. La Poesìa tutta io la giudico, e la chiamo un’Orazione fatta con metro, colla quale negli Uditori fa nascere ed un orrore cinto di tema, e una misericordia piena di lagrime, e amica delle doglianze. Nell’opere altrui, e nella fortuna, e disavventura degli altrui corpi le proprie passioni sente l’anima per mezzo di tai discorsi. Or dunque da uno ad un altro ragionamento passando, dico, che tai diletti nascono dall’eloquenza, che avendo in sè quanche cosa del divino, quando son d’allegrezza, e quando di rammarico apportatori. Ed all’oppenione dell’anima una certa portentosa forza è per natura attaccata, che molce, e persuade, e con incantesimo anche trasforma. Difficili però l’arti dell’incantesimo, e della magia si trovano, le quali non sono, che peccati dell’anima, ed inganni dell’oppenione. Ma quanti intorno a varie cose l’altrui intelletto convinto hanno, e tuttavia convincono, col tessere ne’ lo discorsi bugie! Poiché, se tutti di tutte le cose passate avessero memoria, e intorno alle presenti, e alle future accorgimento; non in diversa maniera, essendovi ragion eguale, che se cose fussero al dì d’oggi avvenute, potrebbero facilmente rimembrar le passate, le presenti comprendere, e indovinare il futuro; siccome fan molti, che intorno a molte cose somministrano all’anima un’opinione, e non ferma, coloro, che s’appoggiano ad essa, rimangono circondati da un’incostante, e non secura fortuna. or dunque qual ragion proibisce, ch’Elena similmente, allorchè giovane era, quasi per violenza rapita fosse? Tanta è l’arte del persudere, che tira d’accorso un animo non altramente disposto. Ciò è pur vero, che la necessità, siccome non ha delitto, così al contrario ha una medesima forza. Era tale il discorso da poter convincere: la convinse, ed obbligolla ad ubbidire non meno a’ detti, che a prestare a’ fatti il consenso. Dunque ingiustamente operò, chi la persuase, avendola violentata: ma quella, che dal discorso, facesse sull’anima quell’impressione, che volle, d’uopo è comprenderlo prima dal raziocinio di coloro, che delle cose van disputando, i quali un parer riprovato, e un altro avvaloratone, fanno apparir chiare agli occhi dell’immaginazione le cose oscure, e incredibili; in secondo luogo dalle forensi dispute, nelle quali una sola argomentazione prodotta dall’artifizio, e non dettata dalla verità, può molta turba di gente piegare, e convincere; in terzo luogo dalle filosofiche quistioni, nelle quali dimostrasi la velocità della mente, che forma di qualche opinione una credenza di leggieri mutabile. Il medesimo potere ha però un robusto ragionamento sulla natura dell’anima, che ha la composizione d’un veleno sulla formazione de’ corpi. impercioccè siccome alcuni veleni or fanno una cosa uscir di corpo, or un’altra, poichè talvolta levano il male, talvolta la vita, così tra’ discorso sovente quale ha cagionato dolore, e quale dilettazione, quale paura, e quale ardimento negli uditori, e molti altresì con una falsa persuasiva avvelenata hanno l’anima, e
- ↑ [p. 148 modifica]L’Abate dall’Aglio ha pensato di aggiungere alla sua traduzion di Coluto un capitolo in lode del Becco, a consolazione, com’egli scrive, di Menelao, marito d’Elena. Più dovrebbe soddisfare al pubblico, come cosa più convenevole, il pensier mio di trasportare le presenti Orazioni d’Argomento uniforme a quel di Coluto. Questa di Gorgia, qualunque merito ell’abbia, è certo rispettabile per la sua antichità. Originali d’una lingua sì benemerita, dappoichè nulla di nuovo sperar ne possiamo, io gli vedrei volentieri nella nostra recati.
- ↑ [p. 148 modifica]Fu Gorgia Leontino, famoso orator siciliano, di nome assai chiaro per tutta la Grecia. Spedito egli Ambasciatore in Atene, stordì, come narra Dionisio Alicarnasseo, gli Uditori tutti colla sua eloquenza. Tanto di se medesimo''presumeva, che, al dir di Filostrato, osò d'esporsi nel pubblico Teatro d'Atene a qualunque argomento, che gli venisse proposto. E gli Ateniesi l'ebbero poi in tanta estimazione, come dice Troilo Sofista nel proemio della sua Rettorica MS., che i giorni, in cui potevan sentirlo festivi chiamavano, e lucerne le di lui Orazioni. Fu a lui solo, al dir di Cicerone, che in Delfo s'alzò una statua non indorata, ma d'oro.
- ↑ Parla Gorgia delle scomunicate Deità de’ Gentili: onde si può a lui passare quest’argomentazione.
incontrano. Fu non pertanto la struttura delle di lui Orazioni non men sublime stimata, che quella di Tucidide. Con sì fatte prevenzioni sapranno i Giovani dove imitare si debba, e dove no. Vantaggiosa è per lui quella testimonianza di Cicerone III. de oratore, ove pretende, che o non mai vinto fu Gorgia da Socrate, o solo in questo, che meno fu eloquente, e facondo.
affascinata. Dunque se fur le parole, ch’Elena persuasero, non dicasi già, che ingiuste cose operasse, ma che piuttosto fosse infelice. Alla quarta ragione poi con quest’altro argomento rispondo. S’egli fu Amore, che tali avventure produsse, non difficilmente la taccia schiverà del reato, che si pretende da lei commesso. Imperciocchè non quella colpa incorriano, che da noi fu voluta, ma quella, che a noi il caso apparecchiò. In nuove maniere vien l’anima per mezzo della vita percossa. subitamente che bellicosi corpi, e guerriero ornamento vediamo d’un’armatura di bronzo, e di ferro, o sia per attaccare altrui, o per difender noi stessi, se ne spaventa la vista, e turba talmente l’anima, che molte volte certuni per un futuro pericolo, comechè non imminente, inorriditi sen fuggono. La verità della legge più fortemente è abbattuta dal timor d’una cosa, che la vita ci rappresenta, la cui sorpresa ne fa sprezzare l’onesto, che la medesima legge propone, e il bene che dall’equità ne deriva. alcuni per certo, formidabili cose vedendo, la lor presenza di spirito in un istante perdettero: tanto è pur vero, che la paura i lor pensieri avvilì, e disanimati gli rese. Molti altresì in gagliarde malattìe caderono, in gravi afflizioni, ed in pazzie incurabili: tanto impresse la vista nel loro intelletto le immagini degli oggetti veduti. Molte cose intanto si tacciano tra quelle, che metton paura, giacchè son simili alle già dianzi accennate: Certo i Pittori, poichè un sol corpo, ed una sola figura hanno a perfezion lavorata da molti colori, e corpi, la vista dilettano; ma la struttura de' simolacri, e la formazion delle immagini a misura, che rendono agli occhi gioconda visione, così pur fanno d'una cosa fuggire, e d'un'altra desiderare l'aspetto. Molti in somma sono coloro, ne' quali da molti oggetti s'eccita amore, e desiderio.
Qual maraviglia adunque, se l'occhio d'Elena dilettatosi del corpo di Paride1 un certo ardore, e veemenza d'affetto nel di lei animo cagionò? O egli è un Dio, che servesi del poter degli Dei; e come sarà capace un inferior di scacciarlo, ed un mortal di resistergli? O è questo un morbo degli uomini, e un'ignoranza dell'anima, e non come peccato dovrà riprendersi, ma riputarsi disgrazia. Sorpresela questa, sì la sorprese per insidie all'anima ordite, non già per deliberazion della mente; per necessità d'amare, non per disposizioni da lei meditate. Come mai dunque la riprensione d'Elena può giusta chiamarsi? la quale o presa fosse da amore, o da parole convinta, o per violenza rapita, o da divina necessità sforzata, ad ogni modo senza colpa rimase.
Io con parole ho levata a questa Donna l'infamia: in quella legge mi son fermato, che dal principio del mio ragionamento m’avea proposta: l’ingiustizia dell’accusa a lei fatta, e la sciocchezza dell’altrui opinione sforzato mi son di distruggere: ho in somma un’Orazione voluto scrivere, che ad Elena servisse d’Encomio, ed a me stesso d’un dilettevole trattenimento.
- ↑ Avea però detto di sopra, ch'ei non voleva altramente chiamar per nome il rapitore d'Elena.
Note