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EPISTOLA DI CATULLO
AD ORTALO
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Sebben me per dolor vigil consunto
Dalle Vergini dotte or discompagni
Malinconia; nè delle Muse io possa
Esprimer dalla mente i dolci parti,
5In tal burrasca di sciagure ondeggia!
Però che al mio fratel l’acqua che move
Torpidamente dal gorgo Leteo
Il piè pallido lava, e strugge grave
Sovra il lito Retéo l’Iliaca terra
10Lui rapito a miei sguardi ohimè! per sempre.
Ti parlerò più mai? T’udrò narrarmi
I tuoi fatti, o fratel? Te vedrò mai
O della vita mia più desïato?
Ben t’amerò: ben sempre io la tua morte
15Con doloroso verso andrò gemendo
Siccome all’ombra di frondosi rami
Geme del divorato Itilo i fati
Daulia cantando. ― Pur, fra tanto lutto
Questi, Ortalo, da me carmi tentati
20Del Battiade t’invio, perchè non forse
Le tue preghiere a errante aura fidate
Tu sospettassi, e dal cor mio sfuggite.
Talor pomo così, dono furtivo
Dell’amator, dal casto grembo sdrucciola
25Di verginella, cui (mentre in piè balza,
Della madre all’arrivo, e obblia meschina
Che riposto il tenea sotto la molle
Veste) giù casca, e ratto si devolve
Con lubrico decorso. A lei discorre
30Conscio rossore sul compunto viso.
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