< Epistole (Dante)
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Dante Alighieri - Epistole (XIV secolo)
Traduzione dal latino di Alessandro Torri (1842)
Prefazione dell'Editore
Inscrizione dedicatoria Note aggiunte

PREFAZIONE.


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I. In quella parte nobilissima della Biblioteca Vaticana, che porta il nome di Palatina, contenendo i pregevoli Codici di Heidelberga donati il 1622 da Massimiliano di Baviera a papa Gregorio XV, trovasi un antico manoscritto di ben conservata pergamena in foglio, di carattere italico, nelle cui prime pagine sono le dodici Egloghe del Petrarca corrette, com’è scritto in margine, da un Francesco da Montepulciano in Perugia il 20 Luglio 1394; appresso, di mano diversa, il trattato di Dante Allighieri1 sopra la Monarchia; ed in ultimo nove Epistole latine, cinque delle quali sono contrassegnate del nome di Dante medesimo, tre appariscono di Caterina contessa di Battifolle, ed una del capitano Alessandro da Bomena e del Consiglio e Comune de’ Bianchi. Queste Epistole appunto, egli è qualche tempo, il chiarissimo sig. Professore Carlo Witte di Breslavia annunziò ne’ Giornali di Germania come novellamente scoperte, sebbene elleno fossero già note alla Vaticana e registrate nell’Indice Palatino del numero 1729.

II. Due Giornali italiani2 riferirono di recente, in qual modo avventuroso sia venuta in mio possesso a Firenze nell’autunno del 1841 decorso una copia di queste preziose Lettere, e come io abbia potuto nei primi mesi dell’anno corrente raffrontarle coll’ accennato Codice in Roma stessa, ove trasferiimi espressamente per accertarmi della genuina loro lezione, onde pubblicarle il primo in Italia esattamente conformi a quel testo. Ometterò qui le particolarità esposte nella lettera mia divulgata negli anzidetti Giornali, e preceduta da troppo benevole parole dettate dall’amicizia, l’una e le altre riprodotte nel Manifesto d’associazione alla stampa presente in data del 1. del di questo mese; e solo dirò, che non mi parve di mandar tali Epistole, di somma importanza per la filologia e per la storia, del tutto ignude nel semplice dettato latino, ma vestite di fedel volgarizzamento, di chiose e d’argomenti che aggiungesser loro sufficiente chiarezza. Il qual volgarizzamento io debbo alle cure di persona amica, prestatasi ad eseguirlo per compiacere alle mie istanze, e che per la naturale sua riservatezza m’impose di non nominarla; ond’è che neppur mi si concede di parlare in verun modo del qual siasi suo lavoro, in cui peraltro si scorgerà essersi impiegata la più coscienziosa diligenza.

III. L’ottimo amico mio sig. Pietro Fraticelli, che spesso dovrò d’ora in poi ricordare, nella recente sua ristampa delle Lettere già note di Dante3 recò per esteso il Ragguaglio4 primamente pubblicato dal Professore alemanno di quelle tuttora inedite, e che per caso stranissimo gli andaron perdute mentre sfavasi preparando a darle in luce. L’indicato Ragguaglio viene da me riprodotto colla erudita prefazione dell’Editore fiorentino (Lett. B. C.), contenendo ambedue utilissime osservazioni concernenti all’Epistole stesse, agli altri minori dettati dell' Autore, ed alla di lui biografia; intorno alle quali però mi parve opportuno di aggiungere qualche singolare avvertenza e notizia, che riguarda più da vicino le mie cure.

IV. In questa riunione di disquisizioni era necessariamente inevitabile qualche ripetizione di cose già osservate o dette in varia forma: ma ben lungi dal doversi ciò ascrivere a difettosa superfluità, ne verrà invece ai lettori meglio chiarita con loro profitto e soddisfazione la materia; trattandosi per lo più d’avvenimenti di un epoca in cui la critica storica ha dovuto di molto esercitarsi, per trarne qualche lume che ne disnebbiasse la conoscenza.

V. La prima delle cinque Epistole col nome espresso di Dante, e prima pure nel Codice, cioè la famosa ad Arrigo di Lussemburgo, era già stata raccolta e stampata sola fra tutte sopra un altro Codice, con l’antico volgarizzamento creduto di Marsilio Ficino e poi col recente del sig. Fraticelli;5 ma per le molte e grandi varietà che incontransi col testo Vaticano (incirca cinquanta sono i luoghi rettificati o migliorati con esso), può riguardarsi come nuova; ed è per ciò che va posta fra le inedite. Riguardo alla quale ben s’avvide il prelodato moderno volgarizzatore, ch’era da cercarsi dove che fosse una lezione migliore della stampata; e in alcune correzioni che adottò, seguendo le sagaci congetture del Prof. Witte, parve quasi presentire le varianti Palatine. La versione, che noi pubblichiamo, doveva essere conforme alle più rette e genuine dizioni del nostro Codice.

VI. Circa le tre, aventi nel MS. il terzo, quarto e quinto luogo, e che portano il titolo della contessa di Battifolle, è d’uopo avvertire che Dante, errando per le terre di Toscana, fu ospitato da Caterina in Poppi, allora castello de’ conti Guidi nel Casentino, d’onde egli scrisse la surriferita Epistola ad Arrigo.6 Ora la contingenza del tempo e del luogo, e il dire del Boccaccio che la Contessa fece eziandio comporre al Poeta alcuni versi, ne inducono a credere ch’ella adoperasse altresì la penna di lui scrivendo alla Imperadrice. Che se ripugnar paresse il dettato alquanto umile, e nudo di quella fierezza ch’è la propria stampa di tutte le opere Dantesche, si può rispondere, aver l’Allighieri servito all’animo di Caterina inchinato a profonda venerazione nel cospetto della maestà cesarea, massime parlando a donna tutta pia e religiosa, quale si fu Margherita. Aggiungi, che la data della prima fra le tre si raffronta a quella dell’Epistola ad Arrigo — «Faustissimi cursus Henrici Caesaris ad Italiam anno primo» — ; e parecchie immagini e frasi, che per brevità si tralascia di ripetere, appartengono sicuramente allo stile di Dante. Per le quali ragioni doveano porsi fra le altre sue di virile e severo argomento.

VII. L’Epistola a Maroello Malaspina, settima nel Codice, per più rispetti interessantissima, mi porse il destro ad un tentativo di portar qualche nuovo schiarimento nella controversia lungamente dibattuta fra gli eruditi, quale sia cioè degl’individui di questa celebrata famiglia quegli, a cui Dante intese di dedicare il suo Purgatorio; e di stabilire a quale fra i tanti di essa aventi il nome di Maroello o Morello egli inviasse la lettera presente. E credo (se non mi sono illuso) di non aver fatto vana indagine, secondochè potrà desumersi dall’argomento alla medesima premesso e dalla nota che la sussegue.7

VIII. Niente di particolare ho qui motivo di aggiungere a quanto sarà esposto nell’argomento all’Epistola dall’Allighieri diretta ai nipoti del conte Alessandro da Romena, nel Codice la sesta, fuorchè convenire col sig. Fraticelli che debba datarsi del 1306, per le sagge riflessioni da lui addotte nella nota 7ma al citato Ragguaglio, anzichè del 1308, come opinava il Prof. Witte.

IX. Passeremo adesso a dire dell’Epistola al Cardinale di Prato, ch’è l’ottava del Codice. Ch’essa sia scritta dal nostro Autore, non ha luogo a dubitarne, sebbene non ne porti il nome; perocchè oltre il sapersi ch’egli era il principale consigliere de’ Bianchi, mentre si canduceano le pratiche per la pace, e nelle altre raunaie ch’indi seguirono; tanta eloquenza, tanta carità di patria v’è contro accesa, che l’esule fiorentino scorgesi quivi fuor d’ogni velo.

X. L’ultima poi nella serie del MS., quella ai Principi e Signori d’Italia, non conoseevasi nelf originale latino, ma solamente in un volgare antico di traduttore anonimo; ed è tutta sparsa di lacune che ne turbano il senso; taichè con grandissima difficoltà si riuscì finalmente a cavarne il netto, giovando in piccola parte l’aiuto del medesimo volgare. Il quale, sebbene stranamente scomposto e talvolta discorde dal significato del testo Palatino, lascia nondimeno apparire qualche traccia non inutile alla interpretazione di alcune parti mancanti, come si vedrà a suo luogo.

XI. E per toccare lo stile dell’Epistole in generale, tralasciando la miseria che verrà di mano in mano chiarita dalle spiegazioni poste in fronte a ciascuna delle medesime, o con apposite note, dirò quasi di volo, anche riguardo alle già dapprima pubblicate, che le forme latine non sono punto diverse da quelle che creare poteva il trecento, quanto aureo neW uso moderno, altrettanto ferreo nell’antico; non essendo punto meglio scritte le altre opere latine dello stesso Autore, le quali allo stile di queste in tutto si conformano; e che il fraseggiare vi è tutto scritturale e sopraccarico d’induzioni filosofiche e teologiche, se non in quanto v’apparisce ad ora ad ora qualche fior virgiliano conveniente al soggetto. Contuttoció queste cotali macchie non possono adombrare quel sole che raggiò il divino Poema. Sotto la ruvida corteccia esteriore corre un succo interno di pensieri, che produce bellissimi frutti di sapienza, e talvolta nelle stesse parole trasfondendosi le riempie di tal maestà e grandezza, che vince le ruggini del secolo, e cangia in oro il ferro; che si vede là dove il proscritto non meritevole inveisce con impeto d’eloquenza contra i Fiorentini nell’Epistola ai medesimi indiritta, nel MS., la seconda, che non per anco erasi da me fin qui citata: - «Quid vallo sepsisse, quid propugoaculis et piunis vos armasse juvabit, cum advolaverit aquila in auro terribilis, quae nunc Pireneu, nunc Gaucason, nunc Atlanta supervolans, militiae caeli magis confortata sufflamine, vasta maria quondam transvolando despexit?» — Parole piene di suono e di lume , che ne ricordano uno dei più bei passi della Divina Commedia ove si parla delle vittorie dell’aquila romana condotta dai Cesari in ogni parte del mondo. Le quali bellezze non voglio già impicciolire, riducendo a poche membra quel fortissimo corpo, che nelle seguenti pagine tutto intero si manifesta.

XII. Avvertirò soltanto i lettori, tener qui l’Epistole finaddesso inedite, un ordine diverso da quello che hanno nel Codice, essendomi paruto conveniente di seguitare colle già edite la successione esatta delle date per quelle che ne sono fornite, e la più probabile per le altre che mancano d’ogni nota cronologica, desumendola incirca dalle circostanze e dai fatti ivi esposti. Il qual ordine sembrami voluto dalla ragione in un epistolario, che si riferisce agli avvenimenti coevi all’Autore, od a cui ebbe parte, e che furon causa naturale o impellente delle sue azioni, ovvero influirono sopra i suoi sentimenti ne’suoi rapporti co’varii personaggi piii distinti e potenti del tempo suo. E dove non potei, nel contrasto delle opinioni e nella mancanza di documenti storici irrefragabili assegnare alle Lettere gli anni per assoluto in cui furono scritte, m’appigliai al partito di aggiungere presso a quelli presuntivamente indicali il segno interrogativo come soglion fare i naturalisti quando sono in dubbio se qualche pianta o minerale appartenga a specie da altri rinvenuta o descritta.

Già otto delle quattordici Epistole hanno la data sicura: e sebbene sulla XIII all’Amico fiorentino, da me assegnata al 1316 e prima di quella a Cangrande Scaligero, sia di parere diverso il ch. sig. conte Cesare Balbo, che la pospose a quest’ultima in ordine e in tempo;8 tuttavia per la profonda venerazione che professo al citato insigne personaggio, il quale cotanto illustra la patria e le lettere

italiane, vorrei che lo appagassero le ragioni mie e d’altri, che si vedranno allegate nell’argomento e nelle note, per giustificare il posto ch’essa tiene in questo volume. — Quanto pòi a quella diretta ai nipoti di Alessandro da Romena, ― n. II, 1306 -, a Maroello Malaspina ― n. III, 1307 -, a Cino da Pistoja ― n. IV, 1308 -, a Guido da Polenta ― n. XI, 1313 -, e in fine a Cangrande ― n. XIV, 1318 ―,9 ho fiducia di non essermi dilungato gran che dal vero nelle date rispettivathente attribuite, secondochè si vedrà notato ai luoghi loro, lasciando però alla sagacità dei lettori il valutare i motivi che mi determinarono.

Ma riguardo alla ortografia del MS., soverchiando d’ogni parte gli errori piovuti di penna al copiatore ignorante di latino, non potea sofferirsi di lasciarvi tante oscurità e goffaggini, e però si ridusse il testo al suo naturale colare.

XIII. Richiedendosi ormai di fare qualche cenno anche intorno alle Epistole per lo innanzi divulgate procurerò di circoscrivermi a breve discorso. Le due edizioni che se ne hanno la prima ― 1827 estremamente rara, perchè tiratine scarsissimi esemplari non venali, dovuta al sullodato Prof. Witte, benemerito senza fine della letteratura nostra pei diversi suoi scritti sulle opere di Dante;10 la seconda già più sopra citata dell’egregio sig. Fraticelli, nota, sono a un di presso consimili, salva qualche nuova illustrazione aggiunta da questo, e qualche discussione sopra punti controversi in cui non va d’accordo coll’alemanno filologo. Nella stampa presente nulla venne omesso di ciò che le mentovate edizioni contengono tranne le versioni della seconda che nella nostra son tutte nuove;11 e cosi v’ebbero luogo le prefazioni del Prof. Witte che nella fiorentina si desiderano, compresa la sua dedicatoria (Let. A) al Veneto Ateneo;12 oltre ad alcune mie annotazioni, ove sembravami che la materia esigesse qualche nuova avvertenza o spiegazione.

XIV. E facendomi a particolareggiare sopra ciascuna delle Lettere medesime, noterò che i due antichi volgarizzamenti di quelle ai Principi e Signori d’Italia, e ad Arrigo VII, già superiormente indicate ai §§. V e X, comechè monumento di buona lingua il primo, e compreso l’altro tra opere citate dagli Accademici della Crusca, reputai ben fatto di non tralasciarli; e quindi li riportai nell’Appendice ai N. I, II, non disgiunti però dalle chiose degli ultimi due già encomiati editori.

XV. Intorno alla prima dell’Epistole or ora accennate, non incresca al lettore ch’io lo richiami un istante a por mente, non sempre letterale essere il senso che vi sta espresso, presentando talora qualche allegorica allusione; il che a que’ tempi era costume di quasi tutti gli scrittori, e bene spesso del nostro Dante. In essa appariscono a maraviglia tutte in ristretto le dottrine politiche dell’Autore, a segno che la direi quasi un preliminare della sua Monarchia allora probabilmente ideata, e poco tempo dopo composta e data al pubblico. Io mi rimarrò contento all’avere qui fatto questo solo cenno, e l’altro espresso nell’argomento che la precede, lasciando ad ingegni più atti lo scrutinare se in quella s’intendesse ad altri significati diversi con immagini simboliche od arcani concepimenti in mistico linguaggio convenzionale13; i quali in ogni modo non saprebbesi a qual utile applicazione rivolgere per lo scopo mio, ch’è quello solamente di offrire le Minori Opere dell’Allighieri nella miglior possibile lezione, e giovate di opportuni letterarii sussidii, perchè insieme riunite sieno preparazione e avviamento alla intelligenza del grande Poema, in esse chiudendosi appunto i semi di quel divino lavoro14.

XVI. Quanto all’Epistole a Cino da Pistoja ed a Cangrande, delle cui versioni sono da più anni tenuto alla preziosa amicizia del ch. Prof. Melchior Mussirini, nulla ho da dire riguardo alla prima più di quello che mi cadde in acconcio di esporre nelle note ad essa apposte; ed avvertirò, che alla seconda occorsemi di fare, per consiglio del traduttore, alcune rettificazioni dietro non poche ottime varianti e corrette lezioni (sopra 60), che presenta un manoscritto della prima metà del secolo XVI ultimamente esaminatosi nell'Archivio Mediceo di Firenze, ed esistente in Codice miscellaneo di n. 1670 a pag. 145. Il quale MS. tratto evidentemente da più vetusto esemplare, come si evince dal modo di ortografizzare praticato in età precedente, fu con ogni accuratezza collazionato dal rispettabile mio amico Prof. Silvestro Centofanti, che gentilmente mi permise il libero uso dello spoglio da lui fattone.

XVII. Qui l'opportunità m’inviterebbe a render ragione del perchè questa Lettera, riguardata da altri come apocrifa, sia da me registrata fra le genuine dell’Allighieri: ma io non credo aver bisogno di giustificazione, se mi pongo con tutti coloro che, cominciando dal Boccaccio fino ai più recenti di lui biografi il conte Balbo15 e il Prof. Missirini 16, non dubitarono di ascriverla al nostro Autore; e sarebbemi paruto grave difetto l'omettere in questo libro, anche nel dubbio, uno scritto per se stesso di tanta importanza. Vero è che il Certaldese non lo cita, ed esplicitamente non ne parla; ma riportandone in italiano più passi quasi letteralmente tradotti nel proemio del suo Comento che ci resta alla Cantica dell’Inferno, mostra che gli era già noto; come lo era al suo contemporaneo comentatore Benvenuto da Imola ed a Jacopo della Lana, i quali pure tacitamente ne aveano fatto uso: nè diversamente da questi operò l'altro interprete Francesco di Bartolo da Buti, siccome apparirà da un estratto inedito della sua prefazione che pubblicherò in nota all'Epistola di cui si tratta 17. XYIII. Ma prima di lasciare il soggetto della medesima, mi sieno permesse alcune riflessioni riguardo all’impugnarne l'autenticità e contendere sulla data. Chi mai potrebbe affermare, che in tanta distanza di tempi non possano esservi circostanze a noi sconosciute? Basterebbe una anche sola a render probabile ciò, che ignorandola riesce improbabile. I possibili, nessun lo negherà, sono infiniti. Le prove infatti che si volessero, p. e., trarre dalle tre Cantiche del Poema, tornano incerte, perchè un poeta muta e rimuta il suo lavoro; e dove pure si giungesse a stabilire con qualche verosimiglianza il tempo, in che tale o tal'altra parte del Poema fu scritta, non si potrà mai fissare il momento delle correzioni, mutazioni, sostituzioni che l'Autore, secondo il vario succedere degli avvenimenti, non di rado, contrarii alle sue vedute, alle sue speranze, dee necessariamente avervi introdotte 18.

XIX. Consimili avvertenze mi convien fare circa la contrastata legittimità dell’Epistola diretta a Guido Novello da Polenta, la

radito era stato dedicato a Federigo III re di Sicilia; ma forse non ben persuaso di questa voce, riferi pur i’ altra della dedica fattane a messer Cane delia Scala; senza però dare molto peso ne ali’ una né all’altra delle due opinioni, giacche non curossi d’investigarne la vera. Che poi non potesse aver Dante intitolato al Principe siciliano la terza delle tue Cantiche, lo ha già dimostrato con luminose ragioni l’onorevolmente citato amico mio Prof. Centofanti fin dal 4 832 neW Antologia di Firenze {Fate, R.^ i&, pog» 56), ove sono riportate le non poche veementi invettive dal ghibellino Poeta inserite in quella Cantica medesima contro Federigo; il quale non ^vria dovuto riguardare che come amara satira la pretesa ìtidiuawwiii Ma rfspetto all’averla consacrata allo Scaligero, si è fatto a combattere questo parere, generalmente ammesso dai critici moderni, il eh. dot. Filippo cav. De •Scolari, cai mi legano cari vincoli amichevoli e di patria, in una erudita Dissertazione gentilmente da lui cedutami, e che tuttora inedita sarà da me posta alla luce in altra già divisata occasione, appartenendo al pubblico il darne giudizio. quale da alcuni scrittori si reputa inventata da quel bizzarro cervello d’Antonfrancesco Doni, che a Dante si piacque attribuirla. Ma, per lo stesso motivo che accennai di sopra, §. XIII^ di trovarsi cioè in volumi d’altri scritti registrati fra’ testi di lingua, non era in mia facoltà d’eliminarla, molto più avendo l'appoggio d' altri due distinti letterati, quali si furono V Ab. Michele Colombo e il Consigliere Ferdinando Arrivabene 19. Questi anzi mi porsero adito a toglier di mezzo e troncare affatto una disputa sulla data a stampa della Lettera stessa, che accolta in diverse edizioni, alcuni eredetterla segnata d’anno differente; il che per verità non sussiste, come dimostrerassi in apposita mia annotazione 20.

XX. Parlando di quella ai Cardinali italiani, dirò soltanto che nel tradurla mi sono più specialmente attenuto al senso, che alla lettera del testo, mirando alla possibile brevità. Non debbo per altro tacere, che prese equivoco il celebre Foscolo nel confonderla coll’altra anteriore in tempo ai Principi e Signori d’Italia, supponendola diretta pur anche ai Cardinali, come appare dalla intitolatone postale in fine al volume II della Commedia di Dante da lui illustrata 21.

XXI. Rispetto poi all'Epistola che V esule illustre diresse all' amico e parente fiorentino, m' era doveroso il dar posto al volgarizzamento fattone dall’esimio Storico «Della Italiana Letteratura nella seconda metà del secolo XYIII» 22), «7 Barone Camillo Ugoni, che la pubblicò già ne’ Saggi sopra il Petrarca dettati in inglese dal Foscolo, e da lui rivolti elegantemente in nostra, lingua 23); il quale avuta cognizione delle varianti del testo latino posteriormente dato in luce dal Prof. Witte, volle modificare il proprio scritto, e farmene dono per tratto di quella cortese benevolenza, onde gli piace da molti anni onorarmi. Il primo, che rendette pubblica questa Lettera con una propria traduzione, si fu il mio dotto concittadino Giah Jacopo can. march, de’ Dionisi nel V d^suoi Aneddoti 24); del quale tanto più di buon grado riporterò a suo luogo le note appostevi e in quel volume, e nella ristampa che poi ne fece nella «Preparazione istortca e critica alla nuova edizione di Dante Allighieri t 25), quantochè li sigg. Witte e Fraticelli mostrarono di tenerle in conto, mettendole a profitto. Esse sono al tempo stesso un comento ai generosi sentimenti quivi espressi dall’Autore. — Credo poi che tutti avran letto volentieri la versione assai commendevole che il Conte Balbo ne diede nelV egregio già citato suo lavoro della Vita di Dante 26). XX11. A tutte queste Epistole terrà dietro uria Dissertazione di tema fisico, direi quasi tradizionalmente ’ cognita appena a pochi bibliografi, comechè da qualcheduno di essi soltanto veduta^ e sconosciuta generalmente per V estrema ^ua rarità, non essendo stata impressa che una volta in Venezia nel 1508. Ed io posso accertare, che inutili erano state fin qui le mie ricerche, lungo tempo praticate o personalmente o per mezzo d’amici, in pressoché tutte le pubbliche e nelle principali private biblioteche d’Italia, onde verificare se vi esistesse, smarritasi probabilmente la copia che possedeva già la lUarucelliana di Firenze, secondo il Pelli 27). La citata Dissertazione ) Brescia, 1820-22, voi. Ili, in 42.<* pag. 202, nota 74, in cni dice che vide ) Lugano, 4824 ìu 8.** questo libretto, e ne riporta la data. Ora ) Verona, 4790, pag. ’176. però non esiste più nel Codice citato, per ) Ivi f 4S06, voi. I, pag. 71. quanto mi accerta l’amico sig. Fraticelli, ) Vedi nota 8) di sopra. che si recò ripetute volte a quella Bibliote) Memorie per la fila di Dante, eco, ca^ senza averlo mai potuto rinveoire. Pagina:Epistole di Dante Allighieri.djvu/20 Pagina:Epistole di Dante Allighieri.djvu/21 Pagina:Epistole di Dante Allighieri.djvu/22 Pagina:Epistole di Dante Allighieri.djvu/23 Pagina:Epistole di Dante Allighieri.djvu/24

  1. Del perchè io scriva sempre Allighieri con doppia ll, vedansi le ragioni nella nota n.°1 in fine a questo preambolo; ne mi si apponga a contraddizione, se nel citare o nel riferire gli scritti altrui mi attengo allo stampato diverso dall’uso mio, non volendo io fare violenza all’opinione dei viventi, i quali forse potrebbero ricredersi da per sè; e già ho fiducia che presto o tardi verranno tutti in un solo avviso.
  2. La Gazzetta privilegiata di Milano n.°195 del giorno 14 Luglio decorso, ed il Giornale Fiorentino del Commercio ecc. n.° 31 del 13 Agosto seguente.
  3. Dantis Alighierii Epistolae quae exstant, cum disquisitionibus atque italica interpretatione Petri Fraticelli. Florentiae 1810 in 18°
  4. Ivi, pag. 165 a 198.
  5. Ed. cit., pag. 213 a 249.
  6. La data di questo luogo toglie di mezzo tutti i dubbii e le congetture dei precedenti editori della lettera ad Arrigo VII, ov’è in fine la vaga indicazione sotto la fonte d’Arno. Vedi ivi la nota u) sul proposito.
  7. Nel testo di questa Epistola, poco dopo il principio, L’Arno è denominato Sarno, giusta l’uso antico, e come l’Autore stesso scrive nel Lib. II, c. 6 della Volgare Eloquenza - «quanquam Sarnum biberimus ante dentes» -; e così pare nella Lettera VI ai Fiorentini, e nella prima delle sue Egloghe a Giovanni del Virgilio, secondochè vedremo a suo luogo. Quanto alla data da me appostavi, vedi anche Purgat. c. VIII, v. 133-134.
  8. Vita di Dante, Torino, 1839 in 12°, vol. II, cap. XIV, pag. 278.
  9. Vedi la nota n.° I in fine a quest’ultima Epistola riguardo al primo rifugio del ramingo Poeta presso la famiglia Scaligera di Verona. Qui osserverò solo, relativamente a Cangrande, che Dante vedutolo prima giovinetto di 10 a 12 anni presso il fratello primogenito Bartolommeo suo tutore, dee averlo poi conosciuto adulto in Toscana, e forse a Pisa quando, era al seguito di Arrigo VII nel tempo delle fazioni diverse contra Firenze e la parte guelfa. Che poi non lo abbia riveduto nuovamente in Verona assai prima del 1319, può farsene induzione, riflettendo, che avanti dedicargli la Cantica del Paradiso dovean esser corsi pochi mesi dacché trovavasi alla corte di quel Principe, onde cominciando a ricevere nel suo particolare contrassegni di favore potersi dire novello nella grazia di lui, e mostrarglisi riconoscente e desideroso di essere consideralo come amico suo, nell’atto che usando con esso di questo titolo gli offeriva quel nobilissimo lavoro. Anzi dice il Foscolo (Discorso sul testo del Poema. Londra, 1842, vol. I, pag. 180) «ch’è da credere, che la dedicatoria sia stata dettata nel corso del 1318, poco innanzi al dicembre dell’elezione di Cane al principato della federazione de’Ghibellini». Vedi in calce alla Prefazione la nota n.°II.
  10. Eccone il titolo: Dantis Aligherii Epistolae quae exstant eum notis Caroli Witte, Athenaei Veneti, et Academiarum Hyperboreo ― Romanae, Florimontanae, quae Fibone Valentia, Sepultorum, quae Volaterris floret, eto. Socii. — Patavii, sub signo Minervae, MDCCCXXVII. (Vratislaviae, apud Edit.)» — in 8° pagg. 108.
  11. Invece di ripetere le pregevoli traduzioni del sig. Fraticelli già diffuse in due stampe successive, una del 1840 accennata di sopra, §. III, e nella relativa nota 3), l’altra dell’anno dopo la quale forma parte del vol. VI delle Opere di Dante impresse per Luigi Ciardetti fino dal 1830 (Firenze, vol. V, in 8.°), ho voluto dare l’inedito volgarizzamento delle Lettere già conosciute che da lungo tempo io tenea preparato, cioè da quando annunziai la prima volta il divisamento di questa mia edizione. Le cui tracce ho motivo di compiacermi, che in parte sieno state da altri lodevolmente seguite. — Probabilmente alcuni dotti mi avrebbero dispensato dall’aggiungere le traduzioni; ma oltreché parecchi, quantunque non ignari del latino, ne abbandonarono più o meno l’esercizio, ed i giovani che non vi sono per anco versati abbastanza, possono trarre dalle medesime profitto e diletto; io penso che ad un editore coscienzioso non dee sfuggire di vista, essere il ministero della stampa diretto al comodo ed all’utile dei più.
  12. Io non omisi per integrità di riprodurne la dedica dopo questa mia introduzione, anche per esservi riferiti alcuni frammenti d’Epistole, veri o falsi che siano, già dal Filelfo pubblicati sotto il nome dell’Allighieri. (Vedi docum. Let, A). Alle prefazioni latine dei Prof. Witte vennero aggiunti i proemi i volgari del sig Fraticelli, i quali sono succosi com pendii o ben intese anipliazioni di quelle, per giovare ai meno esperti nella detta lingua, non senza l’aggiunta di particolari opportune osservazioni.
  13. In un mio scritto preliminare alla Vita Nuova (1836), pubblicato già dal Giornale Pisano de’ Letterati 1839, n.º 105, esposi ciò che fin d’allora io pensava delle idee del ch. sig. Gabriele Rossetti nell’interpretare quello, che disse Dante di Beatrice nella citata sua operetta giovanile, e poi nelle Rime, nel Convito e nel Poema. Ora il prelodato filologo si occupa a ridurre in tre «Ragionamenti critici» tutto il suo sistema di dottrine intorno a questo particolare sparse nel Comento alla Cantica dell’Inferno (Londra 1826, vol. 2. in 8.º); nelle «Disquisizioni sullo spirito antipapale che produsse la Riforma, e sulla segreta influenza ch’esercitò nella letteratura d’Europa e specialmente d’Italia, come risulta da molti suoi classici, massime di Dante, Petrarca e Boccaccio» (ivi, 1832 in 8.º); e nel «Mistero dell’amor platonico del medio evo derivato da’ misteri antichi» (ivi 1840, vol. 5 in 8.º). A me quindi non è conceduto per adesso aggiunger altro, fino a tanto che non sia venuta in luce l’intera opera sua, della quale potei leggere soltanto la prima parte finora venuta in luce (ivi 1842, in 12.º) col titolo «La Beatrice di Dante», rimanendo ammirato alla vasta e varia sua erudizione, all’arguto ragionare, alla faconda e lucida esposizione de’ suoi pensamenti.
  14. In fatti non altro io mi proposi, lasciando da parte ogni filosofica speculazione *), che di rappresentare in una sola edizione tutto quello che di meglio nelle precedenti si contiene, o che raccolsi per altri ajuti, onde gli studiosi non fossero costretti a procurarsi una moltiplicità di volumi, alcuni de’ quali assai rari e difficili a rinvenirsi, ove fosse loro occorso di consultarli per notizie o riscontri, e per conoscere ciò che da altri si fosse pensato e scritto intorno alle Prose e alle Rime del nostro Autore, e ad illustrazione di questo o quel luogo di dubbio o controverso significato.
    *) È noto che altri ricco di dottrina è già entrato in questo campo, coqliendovi eletta messe, della quale il pubblico desidera vivamente d'esser fatto partecipe. Vedi «Un preludio al corso di lezioni su Dante Alighieri» (di Silvestro Centofanti). Firenze, coi tipi della Galileiana, 1838 in 8.º
  15. Vita di Dante, Torino 1839, in 12° vol., cap. 13, pag. 61.
  16. Vita di Dante, Firenze, 1840, in 4° P. II, cap. 35, pag. 50.
  17. Il Boccaccio nella sua Vita di Dante sul fine del capitolo intitolato - Perchè la Commedia sia stata scritta in italiano - seguendo l'altrui dire, accennò che il
  18. Addurrò qui un esempio, il quale comechè recente e incalzante giustifica ciò, che venni or ora esponendo. Napoleone accettò la dedica della traduzione de' Comentarii di Giulio Cesare eseguita dal ch. Barone Camillo Ugoni di Brescia fino dal 1811. La data dell'edizione era anteriore; poi distrutta quella prima stampa, vi fu posta la data del 1812: ma la pubblicazione non ebbe luogo che nel 1818, con data quindi molto anteriore, poichè si tenne a lungo giacente quella edizione. Se uno trovasse casualmente, quando che sia, qualche copia di quella prima dedica, che in fatti fu scritta e riscritta, e dicesse ch'era la dedica della citata traduzione (dedica effettivamente divisata), non direbbe altro che il vero. Ma quante obbiezioni di date, di rimutazioni politiche, di morte non gli si potrebbero fare, apparentemente concludenti? E pur non ostante quegli direbbe sempre il vero. Infinite sono le contingenze nell'avvenire, e le circostanze del passato sono quasi altrettante. Qui la parità cade a capello sopra due dediche, sulle vicissitudini dei Mecenati alternativamente vittoriosi e sconfitti, e sopra il picciol fondamento che si può fare intorno a date sì remote prima della stampa, quando anche date recentissime potrebbero condurre in errore.
  19. Secolo di Dante, Contento storico, nel voi. Ili, P.’ I della Divina Comedia edizione d’Udine ( Fratelli Mattiuzù, 1827, lÀh, Jf^, eap. ^, pag. 754 a 762 ). E U «tessa opera riprodotta in compendio a Firenze {Ricordi e C 4830, voL2’*,pag, 297 a 305 ), aggiuntevi a compenso delle molte cose falcidiate alcune note storiche tratte dal Discorso di Ugo Foscolo sul testo del Poema dì Dante stampato a Lugano ( Cannelli e C, 4827 in 4 2.»)
  20. Vedi la noU o) all’Epistola XI. A proposito della quale narra l’Arrivabene ( Op’cit., pag. 757 ) sulla testimonianza di Giulio Negri ( Storia degli Scrittori Fiorentini^ Ferrara 4732 ), che essa era contenuta in un Codice della Riccardiana di Firenze, n.** 2058; e fattolo attentamente esaminare, videsi bensì descritta nell’Indice che lo precede, ma dentro non si è rinve* nuta. Chi sa che quella non sia passata nelle mani dello stesso dilettante di miss. rariy il quale s’innamorò anche della Dissertazione di Dante ch’esisteva alla Marucelliana, e di dove ugualmente sparì? Vedi qui appresso la nota 27).
  21. Londra, 4842, pag. 373. V intitolazione è questa: ce Epistola di Dante ai Principi e Cardinali dopo la morte di Clemente F, affinchè elegessero Papa ita^ liano. Volgarizzamento dal latino d’auto^ re antico e di data incertissima», L’abbaglio mostrasi evidente.
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