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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833
ER MONNO1
Vedi mai nove o ddiesci2 cór palosso
Attorno a un ber3 cocommero de tasta,
Che inzinamente4 che cce sii rimasta
’na fetta da spartì, ttajja ch’è rrosso?5
Accusì er Monno: è ttanto granne e ggrosso,
E a nnove o ddièsci Ré mmanco j’abbasta.
Oggnuno vò er zu’ spicchio, e ppoi contrasta
Lo spicchio der compaggno e jje dà addosso.
E llèvete6 li scrupoli dar naso
Che nnoi c’entramo per un cazzo:7 noi
Semo monnezza8 che nnasscémo a ccaso.
Ar piuppiù ciacconcedeno9 er ristoro
De quarche sseme che jje casca, eppoi
N’arivonno10 la mmànnola11 pe’ llòro.
10 settembre 1833
- ↑ Il mondo.
- ↑ Nove o ddieci: sottintendi “persone.„
- ↑ Bel.
- ↑ Insino.
- ↑ Taglia, ch’è rosso: dicesi anche nelle circostanze di una determinazione ferma di spacciare alcun chè.
- ↑ Levati.
- ↑ Che noi mai ci entrassimo per nulla.
- ↑ Siamo immondezza.
- ↑ Ci concedono.
- ↑ Ne rivogliono.
- ↑ Mandorla.
Note
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