Questo testo è incompleto.
Audace fortuna ggiubba tibbidosque de pelle Che disgrazzia!
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847

ER CONTRATEMPO

     Ecco cqui er bene come incominciò
Co la cuggnata de Chicchirichì.
Fascemio a ggatta-sceca cór zizzi,1
A ccasa de la sgrinfia de Ciosciò.

     Toccava er giro a llei: me s’appoggiò
Co cquer tibbi de culo a ssede cqui.
Nun zerv’antro: de sbarzo se svejjò
Mi’ fratelluccio che stava a ddormì.

     Sentenno quer lavoro sott’a ssé,
Lei s’intese le carne a ffriccicà,
E arzò la testa pe’ ffà un po’ ccescé.2

     Io me diede a ccapì cch’ero io llà:
Allora, a cquer c’ha cconfessato a me,
Lei fesce3 in core: «Je la vojjo dà».

11 ottobre 1830

  1. Giuoco di compagnia. Una persona bendata va in giro assidendosi, or qua or là, sulle ginocchia di questo o di quello. Profferisce col solo sibilo dei denti quelle due sillabe zizi, e ad una eguale risposta di colui o di colei su cui siede, deve indovinare chi sia. Se indovina, passa la sua benda a chi si fece conoscere, altrimenti segue il suo giro.
  2. Far cecé: traguardare da uno spiraglio.
  3. Disse.

Note

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