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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832
ER CORONARO
Ma cche tte vai freganno1 vemmarie
E ppaternostri pe’ infilà ccorone!
Passò cquer temp’Enea der re ddidone:
Oggi è ttempo d’uprì fforni e osterie.
Da quanno ch’è vvienuto Napujjone
Uffizzioli, rosari e llettanie
Le donne l’hanno mess’in d’un cantone
E nun penzeno ppiù cc’a cciafrerie.2
Fiori, occhiali, smanijji, orloggi, anelli,
Pennenti, farpalà, ppettini, veli,
Fittuccie, e ccappelloni com’ombrelli.
Senza statte a ccontà3 ttutti li peli,
Che ssò de li paini poverelli
Che mmoveno a ppietà li sette sceli.
10 gennaio 1832
- ↑ Qui nel senso di “fare„.
- ↑ Bagatelle.
- ↑ Contare per “numerare„; poichè per “narrare„ dicesi dai Romaneschi solamente raccontare.
Note
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