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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1846
ER GUAZZAROLO SBIANCATO
Quant’ar dì1 cch’io me sposo sta regazza,
Sor piripicchio2 mio, la fate franca!
Vacca o vvitella poi, bbiocca o ppollanca,
Questo a mmé nun me smove una pennazza.3
Ma rrara o nnò ccom’una mosca bbianca,
Vienghi de bbona o de cattiva razza,
Si ccredessivo4 mmai dàmme la guazza,5
Bello mio, me ve ggioco a ssottocianca.6
Pe’ ccojjonella7 tanto, io ve soverchio;
E, ppe’ rregola vostra, io nun ciappizzo8
Co cchi ccerca marito pe’ ccuperchio.
Già la pascenza me sta in pizz’in pizzo:9
E, un carcio che vve do, vv’allargo er cerchio
E vve spiano la punta ar cuderizzo.10
22 aprile 1846
- ↑ Quanto al dire.
- ↑ Omiciattolo.
- ↑ Peli delle palpebre.
- ↑ Se credeste.
- ↑ Darmi la guazza. Vedi la nota 1a.
- ↑ A sottogamba.
- ↑ Derisione.
- ↑ Non ci appizzo: non inclino, non mi espongo, ecc.
- ↑ La pazienza è per fuggirmi.
- ↑ All’osso sagro.
Note
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