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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833
ER PARLÀ BBUFFO
“Coso, hai cosato er coso ch’er Zor Coso
Cosò jjerzera in quela cosa tonna!.„1
Eh a sto sciangotto2 tuo tanto curioso
Ma cchi ddiavolo vòi che tt’arisponna?3
Io sce vorebbe vede4 la Madonna
O cquarche Ssanto ppiù mmiracoloso,
Si ppotessi sbrojjà sta bbaraonna5
De sciarle che mme fai senza riposo.
Coso, cosa, cosato!... Ma, Vvincenza,
Come protenni6 poi che cchi tte sente
Nun te ridi sur muso? abbi pascenza!
Come te perzuadi che la ggente
T’abbi da intenne!7 Cuant’a mmé, in cusscenza,
Nun capisco davero un accidente.8
Roma, 3 febbraio 1833
- ↑ Il coso, la cosa, il cosare sono belli e comodi vocaboli, che cavano assai bene d’impaccio chi ha difetto di termini: e nel discorso romano fanno una continua ed eccellente figura.
- ↑ Borbottio.
- ↑ Ti risponda.
- ↑ Ci vorrei vedere.
- ↑ Baraonda equivale a “caos, confusione.„
- ↑ Pretendi.
- ↑ Intendere.
- ↑ Nulla affatto.
Note
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