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Er mariggnano Er parlà ciovìle de piú
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1831

ER SERVITOR-DE-PIAZZA CIOVÌLE.1


     Lei sappi, si vvò véderle,2 che cquelle
Indóve el vostro Cane-còlso3 abbaglia,4
Tutte cuperte di stole5 de paglia,
Suono6 le stufe delle Capandelle.7

     Eh! sti abbagni da noi vanno a le stelle!
Gente o di garbo, o nnobbile, o bbirbaglia,
Bardassarìa,8 omminità, o vecchiaglia,
Vonno tutti mettérce la sua pelle.

     Chi ha ccallo..., dico caldo, di staggione,
O un caldo a un piede, o acqualche occhiopullino,9
Capa10 o la capandella o el capandone.11

     La meno folla spendano un carlino12
Per quelle chiuse: ma le ppiù pperzone
A lo sbaraglio13 impiegheno un lustrino.14

Roma, 20 ottobre 1831


Note

  1. Civile.
  2. [v. qui sotto e da piedi al sonetto seguente le Analogie.]
  3. Còrso.
  4. Abbaia.
  5. [Store: stoie.]
  6. Sono.
  7. Capannelle: bagni nel Tevere.
  8. Ragazzaglia.
  9. [O qualche ecc. L’occhio pollino è un callo con centro nero come occhio di pollo. A. Firenze si chiama “occhio di pernice;„ e manca ai vocabolari, compreso il Rigutini-Fanfani.]
  10. [Sceglie.]
  11. [Per ripararsi dal sole, o pert non farsi pestare i calli.]
  12. [Sette baiocchi e mezzo; circa quaranta centesimi de' nostri.]
  13. [All'aperto e mescolate insieme come si sia.]
  14. Moneta d’argento da cinque baiocchi: un grosso.

ANALOGIE

Se non si dice Non si può dire
prendérle, ma: prènderle vedérle, ma: véderle
porzo, ma: polso còrso, ma: còlso
raja, ma: raglia abbaja, ma: abbaglia
véderci, ma: vedérci métterci, ma: mettérci
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