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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
ER TORTO E LA RAGGIONE
Aibbò,1 nun zò2 le ssciabbole e le spade
Che ddistingueno er torto e la raggione.
Te l’inzeggnerò io quello c’accade,
Fijjo, in ner liticà ttra ddu’ perzone.
Chi nun ha ttorto, pò pparé un leone,
Ma ppuro in de l’urlà ccerca le strade
De vienì ar dunque, e, mmó cco un paragone
Mó cco un antro,3 de fàtte perzuade.4
Quer c’ha ttorto però strilla ppiù fforte:
Tajja a mmità5 er discorzo e scappa via,
E in de lo scappà vvia sbatte le porte.
In quanto all’arme poi, sò una pazzia
Per rrimette6 ar crapiccio7 de la sorte
Tanto la verità cche la bbuscìa.8
17 marzo 1834
- ↑ Oibò.
- ↑ Sono.
- ↑ Altro.
- ↑ Di farti persuadere: di persuaderti.
- ↑ Taglia a metà.
- ↑ Per rimettere.
- ↑ Al capriccio.
- ↑ Bugia.
Note
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