< Ermanno Raeli
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II IV

III.


Fu il contrario che avvenne.

Ermanno Raeli aveva lasciato Parigi e si era recato in Germania. Gli premeva di vivere per qualche tempo in mezzo ad un popolo col quale si sentiva legato per origine e per educazione, di sentir parlare la lingua di sua madre, di attingere direttamente alle sorgenti di quella filosofia di cui il suo spirito si era nutrito. Aveva già compilato un programma di studii e di ricerche, si faceva anticipatamente una festa di innalzarsi alle più ardue cime della meditazione, di vivere ancora più esclusivamente nel mondo delle idee, quando questa realtà lo avvinse con le sue più salde catene.

Fu a Vienna, uno di quei giorni «che il fondo inesplorato della coscienza ribolle sordamente, e come la terra freme per tutti i germi che vi stanno sepolti e tendono all’aria ed alla luce, così un oscuro lavorìo di crescenza si compie nel nostro essere.» Al concerto di Strauss, mentre il suo cuore si gonfiava «di rancori, di rimpianti, di aspirazioni indefiniti al ritmo incalzante d’un walzer che pareva un inno di tripudio universale,» egli incontrò colei che chiamò col simbolico nome di Sfinge... Ahimè, quanto poco enimmatica era la creatura nella quale egli s’era imbattuto, e come bisognava essere inesperti della vita per trovare un sapor di mistero là dove non era che una troppo ovvia verità!..

I giovani avvezzi a pensare con la propria testa ed a foggiarsi delle idee sopra ogni cosa prima ancora di conoscere nulla, sanno quel particolar genere di smarrimento che si prova dinanzi ai fatti in aperto contrasto con le persuasioni stimate più salde. Uno smarrimento di questo genere, ma intenso fino all’angoscia, fu quello provato da Ermanno dinanzi a quella donna che prima gli sorrise.

Le sue scettiche disposizioni dell’animo erano effetto di teorie, di concetti nominali, piuttosto che dell’esperienza; egli credeva morto il suo cuore, quand’esso invece non aveva ancora palpitato. L’iniziamento alle relazioni dei sessi nelle condizioni di disgusto in cui era avvenuto, gli aveva procurato una grande sfiducia; ma era stato il bisogno di una mancata correzione sentimentale che glie ne aveva fatto esagerare le proporzioni. Il giorno che egli fu messo in presenza di una seduzione come quella della signora Woiwosky, il suo sconforto si disperse. Non che egli non avesse resistito; ma la sua resistenza era dipesa soltanto dalla propria naturale irresolutezza, dalla tendenza a troppo considerare, dal contrasto perenne tra il pensiero e l’azione.

Il primo, l’istintivo sentimento che la donna gl’incuteva era una specie di vaga paura: egli si sentiva dinanzi ad un essere diverso, sconosciuto e per ciò stesso formidabile. L’apprensione era così forte, che egli non osava fissarne l’oggetto; ma a questo contribuiva ancora il suo particolare bisogno di rifugio nella contemplazione ideale. Egli non guardava le donne accanto alle quali si trovava talvolta; ne riceveva un’impressione d’assieme che elaborava nel profondo della mente, spendendovi intorno tutte le ricchezze dell’imaginazione. L’impressione del reale era per lui un punto d’appoggio per dar la scalata ai fantastici mondi; quando ne ridiscendeva, si sentiva oppresso come fuori dell’atmosfera necessaria al mantenimento della vita. Tutte le donne erano per questo belle in qualche modo ai suoi occhi, poichè tutte gli davano la spinta ad una raffigurazione perfetta; tutte erano indegne perchè nessuna poteva rispondere completamente alla perfezione intravista. Quando incontrò la Woiwosky, si produsse il consueto fenomeno. Egli non osò guardarla, apprese del suo fascino appena quel tanto bastevole ad una idealizzazione suprema, si saturò di seduzione pensata; ma quando l’operazione inversa stava per prodursi, qualcosa di nuovo sopravvenne a produrre un risultato diverso.

Fra quei due, le parti si erano presto completamente invertite: la donna aveva anticipato il compimento dell'aspirazione che, timido, ombroso, indeciso, Ermanno non confessava nettamente neanche a sè stesso. Egli aveva come la sorda coscienza dei pericoli a cui andava incontro, della menomazione che avrebbe subita scendendo delle vette di quella sua solitudine. Ma la seduzione era irresistibile; il bisogno d'affetto, la sete dell'amore si erano in lui subitamente sviluppati e fatti impellenti; e ad un tratto egli si era abbandonato a quella dolcezza nuova, rifacendosi delle sue titubanze e delle sue esitazioni con quell’impeto che era da prevedersi.

Quando si ricordano i pensieri, i sentimenti, i concetti che si avevano un tempo e si paragonano ai nuovi che la diversa realtàconseguita suggerisce, par d’essere un tutt’altro individuo, tanto il passato è inconciliabile col presente. La rivoluzione operatasi nella sua esistenza aveva dato ad Ermanno Raeli questo sentimento, in fondo attristante, anche quando la mutazione avviene o si crede che avvenga in meglio. Dove egli aveva visto tutto nero, la luce più gioconda irraggiava; dove egli aveva di tutto disperato, la speranza, qualche cosa di più, la realità, gli sorrideva. Aveva creduto che i suoi giorni sarebbero scorsi fra gli studii più severi e difficili, e il mondo lo travolgeva nel turbine delle sue più potenti distrazioni. Aveva negato l’amore... e vi credeva? Oh, se credeva alle estasi divine del sentimento! Non viveva che di queste...

Il pericolo di simili reazioni interiori è che esse si compiono proporzionalmente all’azione iniziale, talchè ad un eccesso risponde un eccesso, senza che sia mai possibile una graduazione conveniente. Se Ermanno Raeli non fosse stato così profondamente scettico, non sarebbe divenuto così ciecamente fiducioso; se si fosse fatto un più equo giudizio delle cose e della vita, non avrebbe offerto il tesoro della sua verginità sentimentale alla prima donna incontrata per via.

La signora Woiwosky ne era degna? Ogni donna che accorda liberamente sè stessa all’amore d’un uomo è degna di quest’amore; la quistione che rimane aperta è di sapere che cosa l’uomo s’aspetta da lei. Non più giovanissima, vissuta in un ambiente dove i freni morali sono molto rallentati, avendo avuta per unica legge il suo proprio piacere, la signora Woiwosky non poteva dare ad Ermanno Raeli ciò che egli se ne riprometteva. Nel primo momento, come sempre, era stata la simpatia fisica che l’aveva vinta. Ordinariamente, la ignoranza del carattere reale della persona verso cui ci sentiamo spinti, è corretta dall’imaginazione che ce lo presenta quale lo desideriamo e che ci espone più tardi, dinanzi alla rivelazione di quello che è nel fatto, meglio a disinganni che a compiacenze. Per la signora Woiwosky, cotesto miraggio anticipato, che la realtà non avrebbe smentito, non era a temere — od a sperare; — e se ella fu meravigliata quando il carattere di Ermanno le si manifestò, la sua meraviglia fu del genere di quelle che si provano dinanzi alle cose strane e curiose. Quel giovane in cui ella aveva apprezzato il fascino personale, lo strano miscuglio di forza e di delicatezza, si trovava nello stesso tempo in anima delle più squisitamente sensibili. Era molto più che lei non domandasse!...

Preso dalle dolcezze della nuova vita, Ermanno aveva finito naturalmente per rimpiangere il tempo in cui non le aveva cercate; per ciò stesso, dinanzi alla felicità presente, egli non aveva l’agio di considerare come fosse venuta; tremava piuttosto che se ne andasse, e quasi le negava fede, tanto essa gli pareva grande, in questa condizione dell’animo, la facilità con cui la donna gli si era data non aveva il senso inquietante che avrebbe potuto avere per altri; diventava un titolo di più alla sua gratitudine. Tutto era per lui una ragione d’amarla, ed egli aveva delle incantevoli invenzioni di sentimento, una squisitezza di pensieri, una poesia d’espressione dinanzi alle quali l’altra, avvezza ad un mondo molto diverso, restava stupefatta, ma che sulle prime era disposta ad apprezzare in ragione stessa della loro rarità, benchè senza troppo capirle.

Da ambe le parti, l’equivoco fu delizioso; ma durò poco. Al completo abbandono dell’essere suo, Ermanno si veniva accorgendo che non era risposto con eguale effusione; che quella donna stretta al suo fianco era molto lontana da lui, più lontana che se migliaia di miglia li separassero... Come da un orlo indifeso, egli scorgeva un abisso spaventevole; ma la stessa enormità del pericolo gli procurava una specie di sicurezza. Sentiva che il disinganno gli sarebbe stato fatale, che aggiunto alle amarezze sofferte avrebbe avuto un’influenza decisiva su tutta la sua vita; e preso da una paura crescente dinanzi ai sintomi sempre più inquietanti che l’altra, già stanca di rappresentare una parte non sentita, non riesciva più a nascondere, cercava di persuadersi di aver visto male, di essersi ingannato, di diventar troppo esigente, di mancare d’esperienza... Se il fanciullo che chiude gli occhi dinanzi al pericolo crede di sottrarvisi, egli è che il pericolo in tanto esiste per lui in quanto ne ha la coscienza; con l’abolirne la percezione egli stima di averlo realmente abolito. Per le nature in cui l’imaginazione ha uno sviluppo esuberante, un simile fenomeno si riproduce frequentemente anche nell’età in cui la ragione potrebbe intervenire a far sentir la sua voce; ed Ermanno, che non poteva più illudersi, si sorprendeva talvolta a negar fede a ciò che avveniva.

Erano, sul principio, dei malintesi, futili in apparenza, a proposito di incidenti volgari: una parola interpretata in vario senso, un diverso modo di vedere, ma che intanto rivelavano la radicale impossibilità di una comprensione reciproca. Ciò nondimeno, Ermanno non poteva decidersi a rassegnarsi; e con l’inconfessato convincimento della inutilità dei suoi sforzi, cercava di leggere in fondo al cuore di quella Sfinge, nella lusinga di trovare qualche cosa a cui aggrapparsi. A misura che egli si faceva più insistente, la stanchezza della donna cresceva. Con una maggiore esperienza della vita, ella vedeva che era impossibile durarla, aspettava che egli stesso se ne sarebbe persuaso proponendole di separarsi con una buona stretta di mano, da persone di spirito. Dinanzi alla strana ostinazione di Ermanno, ella fu anche tentata di prendere l’iniziativa della separazione, dichiarandogli lealmente di voler riacquistare la propria libertà; un istintivo sentimento di rispetto per l’intuita superiorità di quell’anima la arrestò. Allora, i malintesi divennero più grandi, scoppiarono più frequenti, fin quando un giorno Ermanno Raeli vide compiersi una cosa abbominevole, che spense come un turbine l’ultima sua illusione. Quella donna che aveva appartenuto a lui, a cui egli aveva creduto come alla stessa Fede, si era data ad altri; semplicemente, freddamente, per capriccio, come gettava via dei guanti ancora freschi pei nuovi, ella lo aveva abbandonato per un altro... La súbita rivelazione di questa mostruosità diede una scossa terribile al suo spirito. Non crederla, era impossibile; ribellarvisi, era inutile: il fatto esisteva, brutale, violento. Tutte le dolcezze, tutte le promesse, quell’intima, quella lunga comunione: tutto era finito. Ogni legame era sciolto. Fra loro, dopo quello che erano stati l’uno per l’altro, nulla esisteva più di comune; essi erano ridiventati due estranei, come prima, più di prima... Un momento, egli fu tentato di andarsene da lei, di supplicarla, di scongiurarla, di riprenderla fra le sue braccia, di evocare gl’istanti volati, di rivelarle l’abisso che gli aveva scavato dinanzi, di fargliene misurare la profondità, di domandarle in ginocchio di stendergli una mano, di non farlo perdere, di non indurlo a negare, a bestemmiare la fede, l’amore... L’amore? E ad un tratto la mal repressa ribellione scoppiava dentro di lui. Era dunque quello l’amore? Quale disgusto!... In alto e in basso della scala sociale, brutalmente confessata o ipocritamente nascosta, venduta o concessa, non esisteva che la sodisfazione degl’istinti!... Egli non era stato amato, ma non aveva amato neppure. Riconosceva adesso la sua illusione, l’inganno in cui era caduto, il chimerico inseguimento di qualche cosa che era soltanto dentro di lui, nella sua imaginazione, e che mai, mai, avrebbe potuto afferrare...

Una crise violenta scoppiò nella sua coscienza. Come reazione voluta, accarezzata, con una sfrenata compiacenza, sostenuta dal fondo d’energia che era nella sua natura e che prendeva una rivincita, egli si buttò a capo fitto in una vita di pazzi piaceri e di amori malsani; trovò una specie di furibonda voluttà nel profanare, nel deridere, nel macchiare di fango i suoi assurdi ideali. Di quella crise fu per morire. Nondimeno, guarì; ma il suo sguardo serbò per sempre l’attonita immobilità di chi ha visto spalancargli la terra dinanzi; e una ruga precoce, indelebile traccia della tempesta, solcò la sua fronte.



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