< Eros (Verga)
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Cap. XIII
XII XIV

XIII.


— Come va che non s’è più visto, marchese Alberti? udì esclamare dietro di sè.

Si voltò, e vide la contessa Armandi a cavallo, che si era fermata sulla via, a due passi da lui. La contessa stava bene in sella, l’amazzone disegnava elegantemente il suo bel corpo, il velo azzurro le svolazzava sul viso, come la baciasse, la cavalla, col freno tutto bianco di spuma, allungava il collo e scuoteva la bella testolina colla grazia di una gazzella addomesticata.

— Bisogna proprio incontrarlo per via! disse l’Armandi stendendogli la mano all’altezza del suo ginocchio. Fortuna che viene a cercare i dolci tramonti, e i bei punti di vista!... Farebbe anche dei versi, marchese?

Il sorriso di lei era così gaio, che il giovane se lo sentiva quasi comunicare, e rispose:

— Non ho questo vizio, contessa.

— È innamorato dunque?

— Anch’ella ci viene senza far dei versi, nè essere innamorata...

— Come lo sa? domandò con un sorriso che lo scombussolò del tutto.

— Ma...

— Non posso essere innamorata di mio marito.... o della mia Zelia, aggiunse con quel risolino mordente e leggiadro, guardandolo ardita e civettuola, e giocando col pomo del frustino fra i crini della cavalla.

— Però, riprese, ella che non ha nè marito, nè Zelia, amerà la bionda, o la bruna. — Quale delle due?

Il giovane arrossì, volle negare, e rimase imbarazzato. La contessa stava a guardarlo col gomito sul ginocchio, la guancia sulla palma, e una provocante ironia negli occhi.

E dopo averlo ascoltato così fra ironica e motteggiatrice soggiunse con una gran serietà:

— È vero! Ella è troppo giovane per amare la bruna, e non amerà la bionda che per un quarto d’ora. Ella non ama che la sua giovinezza — e la donna allo stato di nebulosa. — Addio. Quando avrà bisogno di un buon consiglio venga a trovarmi; così m’avrò la sua visita che aspetto da un pezzo.

E spronò Zelia, senza dare il tempo ad Alberto di balbettare le scuse che gli si leggevano in volto. Poi arrestò di botto lo slancio della cavalla, e rizzandosi sulla staffa con piglio grazioso ed ardito, si voltò indietro, e gli disse da lontano:

— Oh! non sono in collera... e per prova!... — Sul ciglione della via spuntava una margherita tardiva; ella la recise di un colpo di frusta — ed in prova le lascio un ricordo: consulti l’oracolo, marchese.

E sparì come un lampo.


— Hai visto la contessa Armandi? domandò a tavola Gemmati.

— Sì.

— Cosa t’ha detto? aggiunse Adele.

Alberto s’imbrogliò nel racconto di una storiella metà vera e metà inventata, si confuse e si fece anche un po’ rosso. Lo zio Forlani tossì due o tre volte, e Velleda gli rivolse una rapida occhiata.

— Che bella signora! disse per cambiar discorso.


Il giorno dopo, quando Alberti stava per andare alla villa Armandi, incontrò per caso la signorina Manfredini presso il cancello.

— Va dalla contessa? gli domandò.

— Sì.

— Ci tien proprio a far cotesta visita?

— Ma... tenerci...

— Se non ci tiene non ne faccia nulla per oggi. Il tempo è bello; andremo alla Sassosa in carrozza con l’Adele.

E per la prima volta chinò gli occhi dinanzi allo sguardo di lui.

— Sì!... diss’egli, sì!

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