< Eros (Verga)
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Cap. XIV
XIII XV

XIV.


Adele accettò l’invito tutta giuliva. Era tanto tempo che il cugino sembrava le tenesse il broncio! Ma in quella comparve il babbo, con un viso più scuro del solito, e chiamò la figliuola nella sua camera sotto pretesto di farle un discorso serio.

Alberti ascoltava assai distratto i discorsi che teneva Velleda, la quale era assai più calma e più padrona di sè. Adele ritornò poco dopo, pallida, tutta sossopra, e col viso ancora bagnato di lagrime.

— Cos’è stato? domandò piano il cugino.

Ella lo guardò cogli occhi lagrimosi, il petto le si gonfiò, e scoppiò a piangere.

— Nulla! nulla! rispondeva ostinatamente a tutte le interrogazioni di lui che si sentiva trafiggere il cuore da quel pianto.

Dopo circa una mezz’ora ritornò lo zio. Era serio in viso, ma con quell’aria di burbero benefico che gli andava a meraviglia. Egli fu amabilissimo con Velleda, e accarezzò il nipote sulla spalla.

— Il tuo bajo mi sembra un po’ malato, gli disse. Vuoi venire a vederlo?

Alberto sentì in nube che il suo bajo stava assai maglio di come egli non si sentisse in quel momento; pure seguì lo zio, di cui il viso andava rannuvolandosi a misura che si allontanavano dal pergolato dove avevano lasciato le ragazze. Arrivati nel viale rimpetto alla scuderia, ch’era dall’altro lato della villa, ei si fermò su due piedi, dominando il nipote da tutta la maestà della sua corpulenta statura e del suo sguardo da zio.

— Alberto, tu sei il figliuolo della mia cara Cecilia! incominciò solennemente.

— Zio mio...

— E sei anche un ottimo ragazzo... non ho difficoltà di dirlo.

— Oh, zio mio...

— Io ti voglio e ti vorrò sempre del bene, da secondo padre che ti sono. Tu puoi vedere come ti ho accolto in casa, e come...

— Grazie, zio mio!...

— Ma che lavoro mi fai in ricambio?

Alberto si fece di bracia.

— M’hai stregata quella povera bambina! Di’....

Il nipote, con tutti i colori dell’iride sul viso, teneva gli occhi fitti a terra, come se avesse voluto sprofondarvisi. Lo zio tacque maestosamente, aspettando risposta per alcuni secondi; indi riprese in aria paterna:

— M’accorgo dal tuo imbarazzo che capisci d’esserti condotto assai male, e che ne sei pentito!...

E mise una seconda pausa; ma la risposta che aspettava non venne.

— Me ne sono accorto soltanto oggi; troppo tardi! Ma avrei potuto diffidare di te, del sangue mio, del mio secondo figlio, che per tale ti ho?...

Alberto non fiatava, ma andava ruminando come diavolo lo zio se ne fosse accorto proprio adesso che egli non pensava quasi più alla cugina, e ricordavasi dello starnuto che avea udito quella prima volta che avea parlato con Adele dalla finestra, e che a torto allora avea affibbiato allo zio. Costui vedendo che il nipote non si risolveva a parlare, e rimaneva impalato quasi fosse stato di sasso, riprese:

Mea culpa! mio danno! i cocci li pagherò io! io che son stato troppo cieco, fiducioso come... come un galantuomo... Quella povera figliuola passerà qualche grosso guaio... ma pazienza!

— La sposerò! rispose Alberto pallido come un cencio.

— Figliuol mio! esclamò il signor Forlani abbracciandolo teneramente. Non ho mai dubitato di te!

Ritornarono sotto il pergolato, non curandosi altro del bajo che mangiava tranquillamente la sua avena. Velleda, senza alzare gli occhi dal lavoro, li saettò di uno sguardo che avrebbe fatto onore ad un diplomatico. Adele chinò maggiormente il capo, ed impallidì.

— Figliuola mia, le disse il babbo in tuono di circostanza: tuo cugino Alberto mi ha domandato la tua mano.

Adele lasciò cadersi il lavoro di mano, e si fece bianca. Velleda si alzò come per lo scattare di una molla, corse a lei in furia, l’abbracciò e la baciò a più riprese, poi si volse ad Alberti, gli sorrise graziosamente, e gli stese la mano.

— Che Iddio vi benedica, figliuoli miei! finì il signor Forlani abbracciando i due giovani nel tempo stesso.


— O come il babbo se n’è accorto adesso? esclamò ingenuamente Adele allorchè rimasero soli.

La felicità della poveretta era così grande che sembrava irradiarsi anche sugli altri. C’era tanto affetto, tanta gratitudine, tanto abbandono, tanta espansione nella sua gioia che Alberto credette un istante il suo amore si fosse galvanizzato.


Gemmati avea fatto una corsa sino a Pistoia, ritornando alla sera trovò tutti in festa, e come seppe di che si trattava abbracciò Alberto, e gli disse con quel suo fare calmo e schietto:

— Bene, amico mio!

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