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XV.
Alberti fu insolitamente mattiniero, Tornando dalla sua passeggiata, udì suonare il piano, ed entrò nel salotto.
Trovò Velleda al pianoforte; com’egli apparve sull’uscio le ultime note sembrarono trasalire.
— Oh! il signor Alberto!
E gli stese la mano con calma perfetta.
Ei s’assise accanto a lei, e stette ad ascoltare.
— Non lo sa? diss’ella dopo alcuni istanti, e senza smetter di suonare, aspetto la mamma, oggi.
— Oh! L’avremo per qualche tempo con noi?
— Per un giorno. È venuta a prendermi.
— Va via?
— Sì.
— Quando?
— Domani.
— Così presto!
— È più di un mese che son qui.
Alberto tacque, ed ella continuò a suonare.
— Che pezzo è cotesto? domandò infine.
— Uno studio di Listz. Le piace?
— Sì... molto...
Ei si alzò, e si mise a guardare i quadri appesi alle pareti. Poi tornò a sedersi al medesimo posto, e dopo alcuni istanti di silenzio le disse:
— Ci rivedremo?
— Ma... sì...
Egli non disse più nulla; anche il pianoforte si tacque. Rimasero zitti, immobili, senza guardarsi. Ad un tratto si udirono dei passi vicino all’uscio.
— Lasciatemi! esclamò Velleda bruscamente dandogli per la prima volta del voi.
Entrò Gemmati, serio, freddo, scambiò due o tre parole colla contessina, poi prese Alberti pel braccio, e lo condusse fuori con un pretesto.
Dopo alcune centinaia di passi, Gemmati alzò gli occhi in viso al suo amico per la prima volta e gli disse:
— Son venuto a cercarti per dirti una cosa:
— Domani vado via.
Alberto parve un istante colpito da quell’improvviso annuncio; ma ad un tratto avvampò in viso e rispose masticando un sorriso:
— Accompagni la contessina Manfredini?
— Vado solo: rispose freddamente Gemmati; partirò stasera.
— Oh fai pure il tuo comodo!
Gemmati dopo una lieve pausa, riprese:
— Dunque l’hai fatta?
— Cosa?
— La viltà!
— Luigi! gridò Alberto.
— Non andare in collera, perchè con essa mi dài ragione: vedi, io che non ho torto non andrò in collera: se gridi, griderò più alto di te quello che la tua coscienza ti dice sotto voce: se tenti di picchiarmi, picchierò più forte. Partirò stasera, perchè non voglio stare a vedere certe scene; tu mi fai rabbia, e quella povera bambina mi fa pietà; le mie parole non son giovate a nulla; almeno non vedrò coi miei occhi... Se avrai la forza di essere quello che sei stato sempre, un galantuomo, verrò ad abbracciarti e a domandarti scusa... Se no... non ci rivedremo più; addio!