< Eros (Verga)
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Cap. XVI
XV XVII

XVI.


Verso sera giunse la contessa Manfredini. Era una bella signora che si era fermata ai quarant’anni, bionda come la figliuola, colle labbra sottili, il sorriso affabile, e quel gentile accento toscano che sembra una carezza della parola. Si sarebbe detta lana donna tutta miele dai capelli alla bocca; era discreta, indulgente, riservata, semplice e spiritosa, all’occorrenza e quando voleva poteva assumere certe arie matronali che bisognava vedere! Fu talmente gentile e affettuosa con Adele da far ingelosire Velleda, se Velleda non fosse stata buona come la mamma; trovò due o tre parole da fare andare in solluchero Alberti, e fu così graziosa col signor Forlani, che costui, per rispondere di galanteria alla sua maniera, avrebbe voluto farle bere di tutti i fiaschi della sua cantina. Dopo il pranzo le ragazze si misero al piano, il signor Forlani preparò i famosi scacchi, e il vento cominciò a gemere al di fuori.

— Ci faccia sentire qualche cosa! disse Alberto a Velleda con voce lievemente commossa.

Ella parve esitare.

— Sii buona, via! aggiunse Adele.

— È l’ultima volta che ci vediamo; rispose finalmente rivolgendosi ad Alberto; non le posso ricusar nulla.

— L’ultima volta? esclamò Adele.

— Ho detto per ischerzo, sai!

E si mise accanto al piano, scelse la sua musica, e Adele si dispose ad accompagnarla.

Cantava con una mano appoggiata al pianoforte; la luce delle candele, difesa dalle ventole, giocava coi delicati chiaroscuri del suo viso; nella sua voce c’erano vibrazioni che facevano trasalire, che gli ascoltatori sentivano scorrere nelle loro fibre; i giocatori avevano lasciato gli scacchi: Adele stessa di tanto in tanto alzava gli occhi verso di lei, con un sentimento d’ammirazione. Tutt’a un tratto Velleda lanciò uno sguardo rapido e fiammeggiante come stoccata ad Alberto che ascoltava, cogli occhi fissi su di lei, pallido e turbato.

— Come hai cantato stasera! le disse Adele abbracciandola.

Ella sorrise sbadatamente.

— Fammi dare del fior d’arancio, mi sento un poco agitata.

Adele andò ella stessa.

Velleda rimase al cembalo, e vedeva Alberti senza guardarlo. Ei le si avvicinò, come affascinato, barcollando, e le si mise accanto — ella sembrò non accorgersene.

— Vorrei parlarvi! disse finalmente lo sciagurato con voce sorda.

La contessina chiuse il libro tranquillamente, levò su di lui gli occhi sereni:

— Sto ad ascoltarvi.

— Vorrei parlarvi da solo, stanotte, in giardino! ripetè Alberti coll’ostinazione quasi minacciosa di uno che stia per ismarrire la ragione.

— È matto? diss'ella freddamente.

Le labbra del giovane si fecero smorte, e tremarono due o tre volte senza poter proferire parola: — Sì, credo d’esser matto davvero!

— Ma io non lo sono, signore!

Alberto guardò Velleda in tal modo che ella, in un salotto pieno di gente, ebbe paura.

— Sarete cagione di qualche disgrazia!

— Io?

— Voi! rispose con fermezza, guardandola fiso.

— Ma sa quel che mi propone, signore? disse la giovinetta con fierezza.

— Ho bisogno di parlarvi, stanotte! insistè Alberto con spaventosa tenacità.

Adele entrava in quel momento da un uscio accanto al piano, e udì quelle parole come se un demone gliele avesse incise nel cuore coll’artiglio. Ella si appoggiò all’uscio prima d’entrare; ma nella più debole fanciulla ci son miracolose energie, ed ebbe la forza di mostrarsi calma allorchè sollevò la tenda. Alberto insisteva collo sguardo senza avvedersi di lei.

Velleda indovinò un po’ d’imbarazzo nel contegno scambievole. — Sai che cosa gli dicevo? le disse all’orecchio, che son gelosa!

I due fidanzati trasalirono in modo diverso.

— Gelosa di me? balbettò la povera fanciulla.

— No, ma di lui. Ei mi ruberà il tuo cuore.

Alberto chinò gli occhi e arrossì.

La contessina incominciò a discorrere di mille cose, spiritosa e disinvolta come sempre, e la conversazione si fece generale, spiegò e raccolse le ondeggianti sue reti di parole che avevano significati diversi pei diversi attori di quella scena. Adele, coll’anima straziata dall’angoscia osservava il cugino che sembrava intento ad un discorso interiore. A un tratto, guardando alla sfuggita Velleda con cert’occhi da spiritato, ei scappò a dire fuor di proposito: — Ebbene? un ebbene che avrebbe stuonato orribilmente nella conversazione generale, se in quel momento tutti non fossero stati distratti da una discussione abbastanza calorosa. Adele fu eroica per forza d’animo, Velleda mostrò una sorprendente presenza di spirito: prese la musica del Ballo in Maschera sbadatamente, cominciò a scorrerne le pagine, e canticchiò — Io là sarò... alle tre. — Si alzò, si mise al piano, come invogliatasi repentinamente, e cominciò a suonare la stretta. — Grazie! le disse Alberto cogli occhi. Adele sentì che le si spezzava qualcosa dentro il petto.

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