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XLII.
Il matrimonio fu celebrato in ottobre. Alberti si prestò a quelle pratiche che esigevano gli usi e le convenienze con perfetta compiacenza. In questa occasione molti suoi conoscenti che non sapevano più nulla di lui, lo rividero. Ei piegava il capo con una tinta di galanteria a tutto quello che Adele trovava necessario, o semplicemente conveniente — fossero anche stati dei pregiudizi; — la schiettezza delle convinzioni di lei glieli rendevano rispettabili, ci credesse o no. Adele, al contrario, mettevaci il giulivo entusiasmo della felicità, un tal riverbero del suo affetto vergine e schietto; amava il cugino francamente, senza reticenze, senza dubbî, a cuore aperto, abbandonandogli con spensierata generosità tutti i tesori che per lui avea accumulato in segreto nel suo animo. Alberti fece tutto quello che fanno gli altri, colla medesima semplicità, senza esitare: andò in chiesa, serio e rispettoso, almeno al vedere, e allorchè Adele gli mise la mano nella sua, e udì che si univa a lui per sempre con un fil di voce, e la vide dolcemente commossa, anche quell’uomo si turbò alquanto e con lieve tremito strinse nella sua quella mano che tremava.
Dopo la cerimonia religiosa partirono per Belmonte.
Il marchese avea preso un coupè riservato sino a Pistoja, e allorchè furono in vagone, e Adele si fu assisa, chiuse i vetri dalla parte dov’era lei, tirò le tendine, le mise il plaid sotto i piedi, le rese con delicatezza paterna tutte quelle piccole cure, poi le si assise di faccia, le prese le mani, e le disse dolcemente, sorridendo con certa solennità:
— Vi saluto, marchesa Alberti.
Era commossa anche lei, ed un po’ turbata; guardava fuori lo sportello pudibonda del suo imbarazzo, e si lasciava stringere le mani con un abbandono affettuoso. Aveva un bel vestito grigio, ornato di azzurro, dei lunghi guanti di Svezia, ed il suo viso delicato sembrava più pallido attraverso il velo celeste. Pareva che Alberto non potesse saziarsi di contemplare quella donna leggiadra che ormai gli apparteneva — ella, senza vederlo, sentiva quello sguardo, e ne era tutta penetrata. Ad un certo punto, sempre col viso allo sportello, posò una mano su quelle di lui.
— Non vi faccio paura? Le chiese Alberto dolcemente.
Ella raccolse le sue vesti, andò a sedere a fianco di lui, e senza rispondergli direttamente si misero a discorrere di mille argomenti comuni, senza importanza, che per loro avevano significati reconditi, e racchiudevano non so quali misteriose attrattive. Ei parlava poco, e l’ascoltava intento, con una certa avidità, come se stesse analizzando minutamente, con affetto, gli avvolgimenti di quelle trecce, l’alitare di quel velo, le balze di quel vestito, le trine di quei polsini, i rossori improvvisi e irragionevoli che salivano al viso di lei, e che egli sentivasi dolcemente scorrere nelle vene. Ad un tratto:
— Vorrei tornare ai miei vent’anni! disse quell’uomo strano collo sguardo fiso nel vuoto.
La locomotiva fermavasi sbuffante.
— Diggià! esclamò ella.
— No, siamo a Prato.
— Oh!... lasciami vedere!
E si misero l’uno accanto all’altra presso allo sportello a guardar la campagna — ei con un sentimento che non avea provato da lungo tempo. Tutto ciò che vedevasi era verde ed azzurro; Adele, colle mani appoggiate alla manopola, gli diceva sommessamente qualche parola insignificante, come se stesse a parlargli di un gran segreto; il nastro del suo cappellino svolazzava di tanto in tanto sul viso ad Alberto; sembrava che i polmoni di lui si dilatassero avidamente, onde abbeverarsi di tutte quelle vergini sensazioni che gli erano quasi sconosciute. — Non vi faccio paura.... proprio? domandò quasi timidamente e con voce sorda. Adele cercò di nascosto la mano di lui, e la strinse a lungo, mentre il conduttore verificava i biglietti: anche quella specie di furto che vi era in tanta schiettezza faceva una potente impressione su di Alberto. Ei le prese le mani, serio serio, e guardandola negli occhi:
— Adele mia, quel prete m’ha stregato.
Adele s’era fatta seria anch’essa.
— Stregato o no, son contento, e non saprei spiegarti il sentimento che mi lega a te. Non è solo amore il mio; sembrami che tu faccia parte di me, della mia casa, del mio nome. Tu sei la continuazione di mia madre, e mi è dolce chiamarti col suo nome. Ho amato in tutti i modi, ma non ho provato mai nulla di ciò che provo adesso. Sembra che noi ci apparteniamo per qualche cosa che è in noi e al di fuori di noi — il mondo, la legge, gli uomini, Dio, che so?... Se mai avessi a dubitare di quel che sento adesso, vorrei morire.
A poco a poco le era caduto ai piedi, e parlava con tale accento di calma e salda convinzione, che le lagrime spuntarono nell’orbita di Adele. Ella piegossi dolcemente verso di lui, gli cinse il collo delle sue braccia, e reclinò mollemente il capo sul capo di Alberto.