< Eros (Verga)
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Cap. XLIII
XLII XLIV

XLIII.


I due sposi andarono a nascondere la loro felicità a Belmonte — quella di lui però era un po’ chiusa, esitante, ombrosa, e avea sempre una tinta di melanconia; quella di Adele era franca ed espansiva.

Alberto non avea più rivisto quei luoghi da oltre vent’anni, e ciascun ricordo, ciascuna novella impressione che passava su quell’anima esulcerata, malgrado il grande imperio ch’egli aveva su sè stesso, lo faceva trasalire, Adele se ne avvedeva, e si sentiva più strettamente, più intimamente legata a lui appunto per tutto quel bene ch’ella facevagli. Erano sempre insieme, in carrozza, a cavallo, o a passeggiare pei dintorni. Alberti, quell’uomo tormentato dalla febbre del movimento, perseguitato dalla noia dappertutto, aveva passato delle lunghe ore deliziose, guardando accanto a lei la pioggia che sgocciolava sui vetri, o la fiamma che crepitava nel camino: ogni piccola cosa avea una fisonomia nuova, serena, festosa; le occupazioni più comuni avevano un’attrattiva delicata. Egli era andato con lei a rintracciare a passo a passo i luoghi che racchiudevano i ricordi della loro prima giovinezza: quel banco dove avevano provato il primo imbarazzo stando seduti accanto, quella ringhiera appoggiati alla quale avevano litigato e avevano fatto pace per la prima volta, quell’albero dal quale egli avea côlto i primi fiori per lei — e dicevano: — Ti rammenti? A volte questi ti rammenti racchiudevano un dolce rimprovero di certe cattiverie passate, ed erano i più saporiti, i più dolci, li cercavano apposta, come per far risaltare colle ombre il raggio festoso che splendeva su di loro — ridevano e si abbracciavano. Se qualche cosa avea cambiato aspetto, se l’albero era caduto, se il banco era zoppicante, se il giardiniere avea disposto altrimenti l’aiuola, erano delle vere perdite, e dicevano: — Era più bello allora, n’è vero?

Con una nobile franchezza, e come se il fallo non valesse il pentimento, Alberto aveva mostrato all’Adele quel viale dove avea parlato l’ultima volta con Velleda; e le avea messo la mano nella mano e gli occhi negli occhi. Adele avea chinato il capo cercando di riderne, impallidendo, arrossendo, e non gli avea dette quante volte si fosse fermata piangendo in quel medesimo viale.

— Come tutto ciò è lontano! diceva Alberto.

Ella, dopo lunghe esitazioni, gli avea fatto vedere tutti i ricordi di lui che avea conservato religiosamente: il bottone del guanto che gli avea rimesso la sera che erano andati a villa Armandi, il fiore disseccato ch’ei avea lasciato cadersi dall’occhiello, la corteccia d’albero ch’egli avea staccato col temperino, il foglio spiegazzato su cui s’erano divertiti a schizzare degli sgorbi e delle caricature, seduti al medesimo tavolo, sotto la medesima lucerna, mentre la pioggia scrosciava allegramente sui vetri. Egli, che avea buttato dalla finestra al vento di cento città, o sulla cenere di cento caminetti, le lettere d’eterno amore di donne che aveano messo in giuoco la loro vita e quella di lui per un capriccio, non arrivava a comprendere del tutto la tenacità di quel sentimento che rendeva preziosi quegli oggetti insignificanti. — Tra di loro due che s’amavano tanto, ch’erano così intimamente legati, c’era sempre un abisso che egli non osava confessare a sè stesso, e che ella non voleva vedere, e per non vederlo chiudeva gli occhi.

L’ottica delle loro idee era immensamente diversa: il cuore della donna, giovane, fresco, ricco, era lieto d’amare, s’attaccava alla felicità, ci credeva senza esitazioni, ci si abbandonava con fiducia. Alberto non possedeva più nè cotesta fede, nè cotesto entusiasmo, nè cotesta serenità; la vita che avea menato avea alterato profondamente il suo modo di vedere e di giudicare; avea osservato e studiato le passioni in sè e negli altri, ma non le avea mai combattute, e, disgraziatamente per lui, non le avea visto combattere: il sentimento del giusto e del dovere restava perciò una formola astratta, poco meno di un’illusione.

In tali disposizioni d’animo, e alla sua età, l’amore era perciò una debolezza; e l’amore istesso rendeva il suo scetticismo un’infermità piuttosto che una corazza.

Sentiva rigermogliare dentro di sè quei sentimenti sui quali avea messo i piedi, ma che nondimeno avevano turbato la serenità epicurea dei suoi piaceri, ora che li trovava freschi e rigogliosi nella donna a cui sentiva il bisogno d’identificarsi; però al vedere cotesti sentimenti così diversi in sè e in lei nello sviluppo e negli effetti, in sentirli agitarsi penosamente nel suo animo, piuttosto che rinvigorirsi, ne provava un grande sconforto, un dubbio più amaro. La fede d’Adele — quella che per lui era la cecità — rivelavasi così salda ed intera, che trovavasi costretto ad ammirarla, ad invidiarla quasi, senza poterla dividere. Istintivamente sentivasi inferiore a lei di tutta quella triste scienza del mondo o del male, che aveva acquistato.

Fosse pudore, timidezza, o alterigia, c’era sempre in lui qualcosa di chiuso, anche nei momenti in cui abbandonavale il capo sui ginocchi come un fanciullo. Adele, al contrario possedeva l’ingenua curiosità di chi non ha nulla da nascondere, e gli faceva delle domande cui egli rispondeva evasivamente, sorridendole come ad una bambina, o abbuiandosi alquanto.

Quella serenità un po’ nebulosa, quella specie di mistero che intravedevasi in fondo ai sentimenti più espansivi di lui, era un’altra attrattiva per l’innocenza di Adele — pericolosa attrattiva. Ella indovinava nell’uomo amato delle ferite che era lieta di sanare, delle ritrose debolezze che lusingavano gl’istinti materni e protettrici della donna; l’altera riserbatezza con cui il marito celavale agli occhi di lei, davagli un carattere di dignità e di forza, un che di superiore a mo’ di Lucifero. Cento curiose domande, che le erano venute sulle labbra, erano spirate dinanzi al sorriso calmo, velato, e impenetrabile di quell’uomo.

— Che cosa vuoi saperne tu, bambina mia? le diceva egli.

Ed ella che aveva la pretesa di non essere più una bambina, gli faceva il broncio proprio da bimba.

Anche Alberto aveva le sue curiosità, curiosità malsane, curiosità avide, interessate, vitali, adesso che Adele era tutta per lui: sentiva il bisogno di apprendere come si sviluppassero le passioni in mezzo a tanto candore, qual forma assumessero, e quanta importanza ci avessero.

— E tu, le aveva domandato sorridendo a fior di labbra, non hai amato altri?

Ella, che gli teneva ancora il broncio, rispose col dispettuccio dei 16 anni:

— Sì, ho amato Gemmati.

— Proprio? domandò Alberto ridendo.

Erano appoggiati a quella tale balaustrata un dolce o tiepido giorno di novembre, le foglie ingiallite si correvano dietro pei viali, il torrente rigonfio s’era fatto brontolone, e le nuvolette facevano capolino sulle cime degli Appennini, proprio come allora. Ella gli cinse il collo col braccio, e rispose:

— No, gli ho voluto bene soltanto.

— Cosa vuol dire voler bene soltanto?

— Vuol dire stare a discorrere volentieri con quel tale di ciò che più ci preme o ci addolora, e trovare un gran sollievo nel sentirci stringere la mano quando si ha il cuor grosso.

— La sa, signora mia, che cotesto io lo chiamo amore bell’e buono?

— Davvero?... o come va dunque che pensassi in quel momento ad un altro... ch’era anche un gran cattivacelo?

Ei se la strinse al seno, forte forte. — Adele si era fatta dolcemente melanconica.

— Quante volte siamo stati qui, come adesso... che brutti giorni!... Cos’hai?

— Nulla!

— ... Se sapessi che nobile cuore! e com’è degno della tua amicizia! Quando gli dissi che t’amavo sempre... e che a sposarci bisognava non pensarci più, non esitò, non fece un’osservazione, non disse una parola; chinò il capo, e allorchè partì avea le lagrime agli occhi senza che se ne avvedesse... anch’io che avevo tanto sofferto, e che sentivo come egli dovesse soffrire, avevo gli occhi umidi... Ma che hai, ti dico?... Hai torto, vedi!

— Lo so. Ma non me ne parlare mai più, Adele!

Ella chinò il capo, si fece rossa, e poi sorridendogli fra maliziosa e giuliva:

— Preferiresti che facessi come te?

— Come faccio, io?

— Ma... Io non ho nulla a nasconderti... Invece se tu mi narrassi la metà di quello che non mi vuoi dire!...

— Non è la stessa cosa, Adele mia; disse Alberto secco secco.

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