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XLVI.
Alberto rimase tutto sconvolto, col capo vertiginoso, con degli ardori improvvisi che gli scorrevano per le vene, ed evitò gli sguardi della moglie quand’ella saltò dalla barca appoggiandosi alla mano di lui.
Il marchese avea ordinato il suo cavallo per le tre e mezzo. Verso quell’ora Adele, dopo essersi abbigliata, usciva per andare al concerto, e incontrò il marito nel salotto — la camera e lo spogliatoio della marchesa erano separati dalle stanze del marito da quel salotto. — Alberto leggeva o fingeva di leggere.
— Oh, non sei andato? gli disse.
— No, vengo con te. Vuoi?
— Volentieri. Non ti annoierai però?
— Tutt’altro.
Al concerto c’era tutto il mondo elegante, all’infuori della principessa Metelliani. Marito e moglie erano rientrati in casa verso le sei, quando si udì nel corridoio che separava il loro appartamento da quello dei Metelliani il fruscio dell’amazzone della principessa che ritornava dalla sua passeggiata.
A pranzo Alberti fu un po’ distratto, e faceva degli sforzi visibili per non lasciar scorgere la sua preoccupazione; quando fu l’ora d’andare al ballo pregò la moglie che lo dispensasse d’accompagnarla.
— Perchè non vieni?
— Sono stanco, ho qualche lettera da scrivere, e del resto sai che non mi ci diverto molto.
— Ci rinunzierei anch’io, se non mi fossi impegnata ad andare colla Lina.
— No, vai, divertiti pure, anche un poco per me.
La marchesa partì; un quarto d’ora dopo si udì anche la carrozza della Metelliani che andava. Allora Alberti respirò liberamente.
Passò nel suo stanzino da studio e si mise a leggere per ingannare il tempo aspettando la moglie, ed anche per distrarsi alquanto. — A misura che andava calmandosi quello stato d’agitazione in cui era stato tutto il giorno dopo la prima vertigine, attraverso le idee che andavagli suscitando la lettura, ritornava con una strana intermittenza il pensiero che lo preoccupava dippiù. In certi momenti chiudeva gli occhi, e scorgeva Velleda come l’avea vista il mattino.
Tutt’a un tratto udì un passo rapido e leggiero nel salotto, l’uscio fu aperto bruscamente, ed entrò la principessa.
Era in abito da ballo, avvolta in una leggiera mantellina, abbagliante per bellezza.
— Vostra moglie vi ha proibito di venire? domandò ella con un sardonico sorriso.
Alberto la guardava ancora sorpreso, senza rispondere.
— Vi siete pentito? dite!
— Sì.
— Alla buon’ora!
La principessa non osservava che Alberti s’era bensì levato in piedi, ma non l’invitava a sedere; andò risolutamente verso la poltrona ch’egli aveva lasciato, e vi si adagiò da padrona.
— Perchè non siete venuto neppure al ballo? temevate d’incontrarmi?
E siccome egli non rispondeva, soggiunse:
— Avete fatto una bella cosa, marchese Alberti! Dopo un istante di lotta penosa ei disse risolutamente:
— Io vi ho perdonato — perdonatemi!
— Ah! m’avete perdonato? — Che cosa, di grazia?
— Lo sconvolgimento che avete gettato nella mia mente, il turbamento che m’avete fatto provare accanto a mia moglie... il rossore che son costretto a subire dinanzi a voi. Tutto ciò non vi pare abbastanza?
— No! esclamò dessa con accento indefinibile. C’è qualcosa di più... o di peggio, come volete.... che io mi sia gettata alla vostra testa, che voi ne abbiate forse riso con vostra moglie, e che io sia qui!.... Cosa vi sembra di cotesto, marchese?
Ei guardava stupefatto quella formidabile bellezza, fremente di corruccio e di civetteria dispettosa — di cui le braccia nude spiccavano a loro insaputa sul bruno velluto della poltrona.
— Cosa credete che possa fare una donna in tali condizioni?
Alberto chinò gli occhi dinanzi a quegli occhi sfolgoranti.
— Per fortuna che sono una donna di spirito — avete detto — e anche voi.... e non ho bisogno di domandarvi se siete certo che il vostro amor proprio non v’abbia giocato un brutto tiro. — Addio, signore; giacchè volete il mio perdono, ve lo do con tutt’e due le mani. Non dite nulla a vostra moglie. Che cosa penserebbe se sapesse che sono stata qui, proprio qui, dopo la mezzanotte, io, la vostra antica amante?.... poichè ci siamo amati, non è così? — Ma davvero! — avrebbe torto — davvero!
S’era rizzata in tutta la bellezza della sua elegante persona, ironica, provocante, motteggevole colle spalle marmoree, il seno superbo, la veste sinuosa, come cosa animata anch’essa e seduttrice, e stava per andarsene. — Ei, che non avea detto più una parola, le prese con impeto una mano, poi l’altra. Ella, afferrata da quella stretta, gittò indietro tutta la sua persona fremente.
La principessa aprì l’uscio con un colpo secco e nervoso; gettò ad Alberto una stretta di mano senza voltarsi ed attraversò il salotto rapidamente. Alberto, ritornando dall’accompagnarla ancora confuso e sossopra, vide del lume in camera della moglie. Rimase un istante ritto in mezzo al salotto, turbato, sorpreso, esitante, poscia picchiò timidamente all’uscio ch’era soltanto socchiuso. Trovò Adele dinanzi allo specchio, in atto di disfarsi i capelli senza l’aiuto della cameriera, pallida, turbata anch’essa; udendo entrare Alberto si volse trasalendo.
— Sei tornata.... diggià!.... diss’egli evitando di guardarla.
Chinò gli occhi anche lei.
— Sì, rispose dolcemente.
— Da quanto?....
— Da poco.... da mezz’ora....
Egli fece qualche passo per la camera.
— Volete che partiamo domani? domandò poscia.
Ella chinò il capo. Il marchese uscì.