< Eutifrone
Questo testo è completo.
Platone - Eutifrone (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
Capitolo XX
Capitolo XIX

SOCRATE Dunque s’ha a veder da capo che è il santo, che insino a tanto che non l’avrò imparato, io ti starò ai panni. Ma non mi sprezzare: mettici stavolta tutta l’attenzione e mi di’ proprio il vero; che se è al mondo uomo dotto, sei tu; e come Proteo non convien ti lasci scappare, insino a che tu non parli. Se tu non conoscessi chiaro che è il santo e l’empio, per un oprante non piglieresti ad accusar reo di morte quel vecchio di tuo padre: ma avresti paura dello scoppio dell’ira degl’Iddii, al dubbio non fosse la tua una cosa scellerata, e saresti arrossito in faccia agli uomini. Ecco perché io son sicuro che tu sei sicuro del fatto tuo. Deh, parla, bravo Eutifrone, e non mi tener piú nascosto ciò che ne pensi.

EUTIFRONE A un’altra volta, Socrate: ho furia; l’è ora ch’io vada.

SOCRATE Che fai, amico? tu vai via e mi togli la speranza ch’io aveva, dopo imparate da te le cose sante e le empie, di potermi distrigare dell’accusa di Melito; mostrando a lui che Eutifrone m’ha fatto dotto in religione, che io non sono uno sciocco che parlo di mia testa, ch’io non fabbrico nuovi Iddii, che io da oggi in poi avrei menato vita un po’ meglio.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.