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Traduzione dal latino di Anonimo (1884)
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LXXXVIII
D’un medico.
Cenavano una sera meco alcuni amici miei, uomini sempre pronti alla facezia, e mangiando narravano
molte cose degne di riso, ed uno fra le altre narrò ridendo questa: — Cecchino, medico d’Arezzo, fu una volta chiamato a curare una bella giovinetta che danzando s’era torto un ginocchio; e per accomodarlo, poichè gli fu d’uopo di toccare assai la coscia e la gamba della giovinetta, ch’erano morbide e bianchissime, gli avvenne di sentirselo eretto in modo da non poterlo più contenere nella veste. Poi quando si alzò sospirando, ed ella l’ebbe richiesto quanto voleva per la cura fattale, egli rispose che nulla ella dovevagli; e chiestagliene la ragione: “Perchè, disse il medico, siamo nell’opera pari: io ti dirizzai un membro, e tu a me, nello stesso modo, un altro.” —