< Filippiche
Questo testo è completo.

Demostene - Filippiche (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Melchiorre Cesarotti (1807)
Prima Filippica
Seconda Filippica


Se qualche nuovo soggetto, Ateniesi, si fosse a voi per deliberarne proposto[1], io mi sarei stato attendendo che i più di quelli che sogliono tener la bigoncia avesservi palesati i lor pensamenti [2], e so ciò che per loro si fosse detto avesse, per mio avviso, colto nel segno, l’avrei approvato tacendo: se no, anch’io allora avrei fatto prova di spiegarvi su tal proposito ciò ch’io ne penso. Ma sendochè le cose medesime, di cui già da essi s’è parlato e riparlato più volte, ora di bel nuovo produconsi in mezzo, s’io m’alzo a favellare prima degli altri, vi parrò, vo’ sperarlo, degno di scusa. Imperocché se intorno un tale argomento vi avessero essi per l’addietro consigliati a dovere, non sarebbe ora mestieri di consultarne di nuovo.

Io innanzi a tutto vi avverto, e vi conforto, Ateniesi, a non disperar delle cose pubbliche, tuttoché sembrino veracemente minacciar crollo e rovina. Conciossiacchè quella cosa stessa che fu la pessima rispetto al passato, divien l’ottima se all’avvenir si risguarda. Ch’è ciò mai? Questo, Ateniesi; che tutto sin d’ora andò alla peggio, non avendo voi fatto nulla di ciò che conviensi. Che lo Stato si fosse ridotto a tale malgrado ogni vostro sforzo per sostenerlo, oh allor sì, direi anch’io, che alle cose nostre non c’è più speranza, o riparo. Richiamatevi inoltre allo spirito ciò che per voi stessi sapete, o certo per altri intendeste, di quanta, e qual fondata potenza godessero non ha molto i Lacedemonj, e con qual dignità non per tanto osaste intraprendere contro di loro la guerra per mantener i diritti del giusto; e sosteneste valorosamente l’onore della Repubblica[3]. A che dunque ciò vi rammemoro? Acciocchè, Ateniesi, rivolgendo nell’animo i domestici esempj, e contemplando dall’una parte il trionfo già riportato sopra la grandezza di Sparta, trionfo dovuto solo all’attività ed alla industria; dall’altra lo scorno[4], e lo scompiglio presente, frutto necessario della vostra trascurataggine, possiate dirittamente conchiuderne, che svegliati, ed attenti non avete a temer verun male, assonnati, e infingardi non altro che disastri dovete attendervi. Che se alcuno, ripensando alle molte forze ond’è fiancheggiato Filippo, e alla fiacchezza della Repubblica, fatta spoglia di tante terre e città[5], crede malagevole impresa debellar così poderoso nemico, non dirò già io ch’abbia il torto. Vorrei però che quest’uomo facesse meco una considerazion di tal fatta. Fu già un tempo, Ateniesi, che la Repubblica ebbe Pidna[6], e Potidea[7], e Metone[8], e tutti que’ luoghi all’intorno; e molti popoli ora a Filippo soggetti, colle proprie leggi reggevansi, e più della nostra amicizia, che della costui, eran vaghi[9]. Ora se Filippo avesse ragionato nella stessa guisa, e detto fra se esser pazza impresa per lui spoglio d’alleanze, il mettersi a far guerra cogli Ateniesi, che con tante guarnigioni, e fortezze alle sue città soprastavano, non avrebbe certamente tentato nulla di ciò che fece, né sarebbe salito a cosi ragguardevol potenza. Ma che? sapeva egli, ben lo sapeva, Ateniesi, che colesti luoghi tutti altro non sono, che altrettanti premj di guerra posti nel mezzo[10], e che vuoi ragione che le cose dei lontani nei presenti, quelle degli scioperati negli attivi ed animosi ricadano. A ciò egli ripensando, osò, s’adoprò, di tutto venne a capo, tutto a se trasse: tal popolo soggiogò con l’armi tal altro con amicizie ed alleanze lo si fè suo[11]. Perciocché ciascheduno quello vagheggia, a quel solo volentieri s’accosta ch’ei scorge agguerrito, e ad ogni occasione, ad ogn’uopo parato, e presto. Se voi pur dunque, Ateniesi, vorrete quinci innanzi, giacché per l’addietro noi feste, scolpirvi nell’animo un così fatto pensiero; se cadauno di voi, ove lo Stato il richiegga, vorrà rendersi utile, e prò cittadino; e senza mendicare scuse e colori, sarà pronto a prestar quel servigio che per lui potrassi migliore, contribuendo, chi ha facoltà; chi età militar, militando; se in una parola vorrete essere in balia vostra, non d’altri, e cesserete una volta di starvi colà scioperati senza far nulla, aspettando pur che il vicino abbia a far tutto per voi, giungerete col favor degli Dei e a rassettar le cose vostre, e a ricuperar ciò che per negligenza perdeste, e a trarre anche di chi v’offese, non pur compenso, e satisfàzion, ma vendetta.

Imperocché non vi diate già a credere che la presente fortuna siaglisi, per cosi dire, appiccata addosso, e che a lui solo, quasi ad un Nume, sia tocca in sorte una prosperità invariabile e sciolta da tutte umane vicende. No, Ateniesi, c’è chi lo teme, e è chi l’odia ancora costui, e ciò tra quegli stessi che gli si mostrano più ben affetti, e dimestici[12]. Conciossiachè tutte quelle passioni acni vanno gli altri mortali soggetti, detto è ben credere che nel cuore degli alleati, e partigiani di Filippo medesimamente s’annidino. Ma tutti questi mali umori stagnano oziosi ed occulti, non avendo chi gli sommuova, e rimescoli, mercé la vostra scioperatezza, di cui è tempo, si è tempo ormai di spogliarvene. E come no? se tant’ oltre giunge la tracotanza e temerità di costui che non vi lascia più egli l’arbitrio di sceglier la pace o la guerra, ma da leggi, e minaccia, e svillaneggia, ed insulta. Nè già egli è tale, che pago di quanto rapi, possa quinci innanzi starsene a segno: ma sempre agogna di più, sempre qualche nuova cosa va macchinando, e aggirandovisi intorno da tutte parti, mentre voi vi state pur li sdrajati, e sbadati, vi acchiappa la rete bellamente, e vi dà la stretta. E quando adunque, Ateniesi, quando foarete una volta ciò che conviensi? Allorchè forse v’incontrerà qualche sconcio? Allorchè qualche grave necessità vi ci astringa? Ma con qual occhio, per Dio, risguardate voi le cose presenti? Io per me credo, che per uomini liberi non possa esserci necessità più stringente che l’ignominia e il rimorso d’una dannevol condotta. Volete voi dunque, rispondetemi, andarvi aggirando tuttavia per la piazza, e domandandovi: che c’è di nuovo? Ah può egli esserci più nova cosa di questa, che un uomo di Macedonia soggioghi gli Ateniesi, e padroneggi la Grecia? Filippo è morto: non per mia fe, bensì malato: vivo o morto, che fa a voi questo? Quand’ei pur mora che pro? Se con questa vostra singolar vigilanza vi formereste ben tosto un nuovo Filippo; giacchè egli vie meno per le proprie forze, che per la vostra dappocaggine, è fatto grande. Che se veracemente il nemico giungesse al suo fine, se la fortuna, la quale fu sempre delle cose nostre più di noi stessi sollecita[13], volesse coronar la sua opera, sappiate, che sendo vicini, e piombando voi sopra quegli Stati in così fatto scompiglio, governereste ogni cosa a vostro talento. Ma come ora va la faccenda, quando ben la fortuna vi presentasse Anfipoli[14], colle sue mani, non sareste in caso d’approfittarne, così ignudi come siete, e disarmati di provvedimento, e governo.

Ma ch’egli sia di mestieri che vogliate oggimai adoperarvi con attività, e diligenza, credendovene abbastanza persuasi e convinti, lascierò di mostrarlo più a lungo, e mi volgerò a divisarvi qual apparecchio di guerra io creda atto a trarci dalle angustie presenti, e qual voglia essere il numero delle truppe, e quali i mezzi d’aver denaro, e tutte quelle altre cose che per mio avviso debbono apparecchiarsi con celerità ed esattezza. Ma pria ch’io m’accinga a mostrarlovi, soffrite ch’io vi prieghi, Ateniesi, che non vogliate metter il giudicare innanzi dell’ascoltare; nè vi lasciate occupar lo spirito da mal fondate opinioni; nè s’egli dapprima vi sembra ch’io proponga un nuovo piano di guerra, crediate perciò ch’io intenda di tirar in lungo le cose[15]. Perciochè coloro che sclamano, tosto, tosto, oggi, oggi, non son già quelli che vi porgono i più opportuni consigli, (sendochè una soldataglia ammassata in fretta non varrà mai a riparare i danni fatti, o a prevenire i futuri). Bensì è atto a recar verace soccorso chi può additarvi qual armamento convengasi alle cose nostre, e quanto questo esser debba, e donde abbia a trarsi, e in qual modo possa durar, sino a tanto che ottengasi da noi o pace onorata, o vittoria: perciocché in tal guisa verremo non pure ad esser liberi da’ mali presenti, ma ci porremo anche in sicuro per l’avvenire. Or io intendo d’aver appunto a proporvi di cosi fatti progetti, nè però impedisco che alcun altro ve ne proponga dì migliori, se pur ne ha. Grande è, nol niego, la mia promessa. S’io l’adempia, la prova sarà del fatto, il giudizio vostro. Egli è dunque mio sentimento, Ateniesi, che voi prima dobbiate armare cinquanta galee, era animo d’esser presti, quando ciò abbisogni, a imbarcarvici. Dico inoltre dovercisi aggiungere altre galee, e navigli da trasporto per tragittar la metà de’ vostri cavalli. Un tal provvedimento cred’io necessario per opporsi alle frequenti scorrerie del nemico, alle Termopile [16], nel Chersoneso[17], in Olinto[18], e ovunque gli è a grado. Imperocchè egli è forza di farlo alla perfino capace che da voi cotesto vostro vergognoso letargo potete scuotervi e sollevarvi una volta, e farvi ancora conoscere gli Ateniesi d’Aliarto, e d’Eubea, anzi pur quegli stessi ch’egli non ha molto sperimentò alle Termopili. E quando pure voi non metteste ad effetto coteste spedizioni a cui vi conforto, non vi sarà non per tanto disutile l’averci apparecchiati e disposti. Perciocchè o egli ciò risapendo (che lo saprà, lo saprà: ch’egli ha tra noi de’ leali ed esatti corrispondenti troppo più di quel che bisogna), o egli, dico, ciò risapendo starà a dovere, o trascurando il vostro armamento si torverà sprovveduto e sorpreso, non essendoci cosa che v’impedisca, quando ve ne venga il destro, di far uno sbarco nelle sue terre, e metterle a sacco. Di tali cose è necessario, per mio avviso, che ognun di voi se ne mostri persuaso e coll’opinione, e col fatto. Vuolsi inoltre, Ateniesi, aver alla mano truppe bastevoli che lo danneggino, e stancheggino, esiangli continuamente alle spalle. Non sia qui chi mi rammemori le dieci, o le venti migliaja di forestieri; truppe di parole e di lettere; no, voglio squadre di cittadini, i quali, se a voi piaccia di scegliere uno o più, o tale o tal altro per capitano, quello seguano, a quello ubbidiscano. Abbiano questi dal pubblico le vettovaglie a lor necessarie. Ma di qual ragione saranno elleno coteste truppe? e quante? e che modo avremo di alimentarle? e come s’avrà a governare tutta questa faccenda? A bell’agio; che di cadauna di queste cose vi favellerò a parte a parte. Dico dunque che la fanteria ... Ma di grazia non mi fate a questa volta ciò che tant’altre faceste con vostro danno, che pensando sempre che nulla basti, e promettendo nei vostri decreti cose grandiose, come vegghiamo al fatto, mancate sin nelle picciole.

Note

  1. Qualche giorno innzanzi che si tenessero le pubbliche radunzanze, si affliggeva un Programma, onde cadauno fosse istruito di ciò che aveva a deliberarsi.
  2. L’antiche leggi di Solone volevano, che ne’ parlamenti di Atene sorgessero a parlar primi quelli che oltrepassavano i 50 anni, indi gli altri sino ai 30. Questa legge già da lungo tempo avea perduto il vigore, non però interamente la riverenza: e un Orator giovane, che s’alzava a parlare innanzi de’ più attempati, si esponeva alla taccia di presunzione e d’immodestia. Demostene perciò se ne scusa, e lo fa nel modo più acconcio. Non potevasi dice egregiamente il Tureil raddolcir meglio ciò che questa specie d’ardire aveva d’odioso e di aspro. L’artificio ingegnoso di cui fa uso copre il tutto, cattiva la benevolenza, e raddoppia l’attenzione colla tacita promessa di sostituire ai cattivi un sano consiglio.
  3. Gli Spartani dopo la pace detta d’ Antalcida, erano gli arbitri della Grecia, e dominavano in terra e in mare senza contrasto. Ma la perfidia con cui sorpresero in piena pace la cittadella di Tebe, scosse e inasprì tutti i Greci, ed accese la guerra detta Beotica. Gli Ateniesi ajutarono prima occultamente i Tebani a rimettersi in libertà, poscia irritati dal fatto di Sfodria spartano, che tentò d’impadronirsi del Pireo, si dichiararono apertamente contro di Sparta, e umiliarono con molte vittorie l’orgoglio di questa Repubblica. Ciò accadde 50 anni incirca innanzi la I Filippica.
  4. Filippo cominciava a levarsi la maschera cogli Ateniesi, e all’ingiurie aggiungeva gl’insulti.
  5. L’isole principali s’erano già distaccate dall’amicizia d’Atene, e Filippo avea snidati gl’Ateniesi quiasi interamente dalla Macedonia, e tolte loro nella Tracia 75 castella, conquistate già da Timoteo.
  6. Pidna, città della Macedonia, nel golfo Termaico, ora di Salonicchi. Archelao, re dei Macedoni la occupò nell’anno 5 dell’Olimp. 92; poscia nel 5 dell’Olimp. 101, fu conquistata da Timoteo. Filippo finalmente se ne fece padrone nel 3 anno dell’Olimpiade 105. Al tempo di Strabone era detta Chitro. Presso questa città fu poscia sconfitto e fatto prigioniero da Paolo Emilio, Perseo, ultimo Re de’ Macedoni.
  7. Altra città della Macedonia su i confini dell’antica Tracia presso l’Istmo di Pallene, colonia antica dei Corintj. Da Timoteo fu fatta tributaria degli Ateniesi, ai quali essendosi poi ribellata, fu presa dopo un lungo assedio, che costò alla Repubblica 2000 talenti. Filippo se ne impadronì dopo la presa di Pidna, ne fece un dono agli Olintj, e rimandò senza riscatto la guarnigione Ateniese. La città ristorata poscia da Casandro ebbe da lui il nome di Cassandra.
  8. Città della Tracia confinante colla Macedonia e alleata degli Ateniesi, a cui avrebbe agevolmente potuto servir di fortezza contro i Macedoni. Manzia, capitano ateniese, ito in soccorso d’Argeo competitor di Filippo, era all’ancora con la sua flotta presso Metone. Filippo credette necessario di levar questa opportunità ai suoi nemici: la strinse d’assedio e la prese dopo un’ostinata resistenza per cui la sua conquista gli costò un occhio. Egli la spianò dai fondamenti, nè permise ai cittadini che di ritirarsi coi loro vestiti, e ne distribuì le terre alla soldatesca.
  9. Gl’Illirj, i Triballi, i Peonj, i Traci, ed altri popoli barbari, che Filippo ne’ primi anni del suo regno cacciò dalla Macedonia, e si rese tributarj.
  10. Ben osserva Ulpiano esser questa viva ed ingegnosa metafora tratta dai giuochi, in cui si esponevano i primj agli occhi dei competitori per animarli.
  11. Come gli Olintj e i Tessali.
  12. Intendi non già dei particolari, ma degli Stati e dei popoli.
  13. Colla stessa libertà Aristofane diceva del Teatro a’ suoi concittadini:

    Cari Ateniesi, ell’è fama certissima
    Che poco senno i vostri capi albergano,
    Ma gli Dei, non so come, in ben vi tornano
    Tutte quante le vostre insensataggini.

    Ed Eupoli, altro celebre Comico:

    Atene, Atene,
    Quanto sei più che saggia, avventurata!.

  14. Città fra la Macedonia e la Tracia, e ora detta Emboli. Era posta sul fiume Strimone in uno sporto, ove il fiume si divideva in due rami, e la circondava da ambedue i fianchi, dal che appunto ebbe il nome di Anfipoli, come a dire Città attorniata (dall’acque). Eliona altra piccola città sull’imboccatura d’uno dei rami dello Strimone, le serviva di porto. Gli Ateniesi anticamente vi avevano mandata una Colonia, che fu da lì a non molto tagliata a pezzi da una confederazione de’ popoli barbari della Tracia. Ventinove anni dopo, Agnone figlio di Nicia vi si stabilì con una nuova Colonia, ne scacciò affatto gli Edonj, e fortificò la Città, da un lato all’altro del fiume. Nella guerra del Peloponneso Brasida generale spartano, assecondato da Perdicca Re de’ Macedoni, la ritolse agli Ateniesi, e se ne impadronì: il che dispiacque per modo al popolo d’Atene, che cacciò in esilio il celebre storico Tucidide, perchè non gli era riuscito di sostenerla. Fu poscia spedito Cleone a ricuperarla, e nella battaglia sia Cleone, che Branda restarono uccisi. Ciò agevolò l’accomodamento fra le due Repubbliche, in vigor del quale Antipoli ritornò alla divozione di Sparta, che se ne mostrò protettrice più che signora. Abbassata da li a qualche tempo la potenza de’ Lacedemoni, gli Ateniesi fecero riconoscere ed approvare i loro diritti sopiti Anfipoli da tutta l’Assemblea de’Greci, ove anzi fu stabilito di rimetterli a forza d’arme in possesso di quella Città, se caso alcuna vi si opponesse. Ma quel popolo che aveva assaggiata l’indipendenza, non sapeva risolversi a ritornar tolto il giogo. Stava bensì sommamente a cuore agli Ateniesi d’impadronirsi d’un posto ch’ era di somma importanza al loro commercio, e da cui, oltre una ricca rendita di denaro, traevano tutto il legname per la fabbrica dei loro navìgli. Malgrado di queste ragioni, i loro sforzi per ricuperarla o furono assai languidi, o inefficaci. I Re di Macedonia, secondo ch’erano favorevoli, o avversi ad Alene, secondarono, o attraversarono i tentativi della Repubblica per questo oggetto. Perdicca, fratello di Filippo, mai affetto agli Ateniesi, col pretesto difender la libertà degli abitanti ne acquistò il dominio, e pretese d’aver diritti di mantenervisi. Gli Ateniesi che non avevano perciò deposte le loro pretese sopra questa Città, ebbero lunga inimicizia e guerra con questo Re. Alla morte di esso, trovandosi la Macedonia divisa dalle fazioni di più concorrenti al Regno, Atene sostenne contro Filippo il partito d’Argo, colla lusinga di ottener da esso in ricompensa la cessione di Anfipoli. Ma Filippo avendo sconfitto Argo, benchè fiancheggiato da Manzia, capitano ateniese, fece andar a vuoto i loro disegni. Abbiam già veduto altrove come Filippo addormentasse gli Ateniesi chiedendo loro pace e amicizia; e come poscia ingannasse e beffasse solennemente i medesimi, prima lasciando libera Anfipoli, indi fingendo di assediarla per farne un dono alla Repubblica. Egli non cessò poi di adescarli di tempo in tempo col far le viste d’essere dispsto a restituirla. La perdita d’Anfipoli, e il desiderio di ricuperarla fu sempre un pungolo nel cuore degli Ateniesi; ma non osarono però mai, o non si curarono di romper la guerra a Filippo per questo conto. Solo diedero commissione ai loro capitani nell’Ellesponto, e nelle costiere di Tracia, di coglier qualche fortunata occasione si presentasse, e fecero a Filippo una guerra indiretta col meschiarsi nelle brighe dei Re, e delle città loro collegate di Tracia: ma non sapendo mai operare con efficacia, diedero motivo a Filippo più ardito ed intraprendente di toglier loro Pidna, Potidea, e Metone, senza però mai dichiararsi nemico della Repubblica, e mostrando sempre di combattere come ausiliario.
  15. Gli Ateniesi e come impetuosi e come amatori dell’ozio trovandosi stretti dalla necessità, dovevano abbracciar più volentieri quei partiti, che sembravano dovergli sbrigar più prontamente dalle loro molestie. e distrargli meno a lungo dai loro diletti spettacoli. Quindi è che erano più disposti a decretar un armamento considerabile (specilamente che il decretare non è lo stesso che l’eseguire) di quello che ad adottar il piano d’una guerra picciola, ma continua, che portava seco l’idea di lunghe molestie, e di spese incessanti. Demostene, che voleva appunto consigliar questo, crede bene di prevenirne gli Ateniesi. Dovette qualche oratore aver consigliato di levar in fretta alcune truppe mercenarie, che dovessero, secondo il costume degli Ateniesi, servire per quell’occasione particolare, indi congedarsi. Demostene vuol un corpo stabile di soldatesca, che dimori ne’ luoghi, ove dee combattere sino a guerra finita. Un tal piano domandava diligenza e maturità.
  16. Le Termopile, o, come più comunemente son dette da’ Greci, Pile, erano un passaggio angusto di 60 passi di larghezza, che aveva il mare d’un lato, e dall’altro i dirupi altissimi del monte Oeta, il quale a Settentrione chiude la Focide, e sporge nel mare rimpetto all’Eubea. I Focesi in queste angustie avevano eretto un muro, che fosse loro di riparo contro i Tessali confinanti, e nel muro avevamo aperta una porta, onde poter aprire, o chiudere a lor voglia il varco della Grecia. Alcuni bagni d’acque bollenti che stagnano in que’ contorni, ridotte colà dai Focesi, resero il luogo più inaccessibile. Le acque calde (Thermae) e la porta (Pilae) diedero a quel luogo il nome di Termopile. E nota la memorabile difesa che fecero in questo luogo 3oo Spartani condotti da Leonida contro tutta l’armata di Persia. Il luogo chiamasi ora Bocca di Lupo.
  17. Questo nome in generale vuoi dir Penisola, ma particolarmente si prende per la Penisela della Tracia, posta alle foci dell’Ellesponto. Se ne parlerà a lungo nell’Aringa, ch’è appunto intitolata del Chersoneso. Qui basti osservare ch’era in quel tempo soggetto agli Ateniesi, e che Filippo avea cominciato ad infestarlo.
  18. Repubblica potente e florida nella Tracia; avremo a parlarne nelle Arringhe seguenti. Si scorge da ciò che Filippo aveva cominciato a commetter alcune ostilità contro di essa, il che fece ch’ella ricercasse l’amicizia degli Ateniesi.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.