< Filocolo < Libro quarto
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Libro quarto - Capitolo 42
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- Savia donna - disse la reina, - veramente a’ più savi leva amore soperchio la veduta e ogni altro debito sentimento, quanto alle cose che sono fuori di sua natura; ma in quelle che a sé appartengono, come egli cresce così crescono. Adunque, quanta maggior quantità d’esso in alcuno si truova, e così del timore, come davanti dicemmo. Che questo sia vero, lo scelerato ardore di Blibide il ci manifesta, la quale quanto amasse si dimostrò nella sua fine, vedendosi abandonata e rifiutata: né già per questo ebbe ella ardire di scoprirsi con le propie parole, ma scrivendo il suo sconvenevole disio palesò. Similemente Fedra più volte tentò di volere ad Ipolito, al quale, come a domestico figliuolo, poteva arditamente parlare, di dirli quanto ella l’amava, né era prima la sua volontà pervenuta alla bocca per proffererla, che, temendo, su la punta della lingua le moria. O quanto è temoroso chi ama! Chi fu più possente che Alcide, al quale non bastò la vittoria delle umane cose, ma ancora a sostenere il cielo si mise! E ultimamente non di donna, ma d’una guadagnata giovane s’innamorò tanto, che come umile suggetto, temendo, a’ comandamenti di lei facea le minime cose! E ancora Paris, quello che né con gli occhi né con la lingua ardiva di tentare, col dito avanti alla sua donna del caduto vino scrivendo prima il nome di lei, appresso scriveva: "io t’amo"! Quanto ancora sopra tutti questi ci porge debito essemplo di temenza Pasife, la quale ad una bestia sanza razionale intelletto non ardiva d’esprimere il suo volere, ma con le propie mani cogliendo le tenere erbe s’ingegnava di farlo a sé benigno, ingannando se medesima sovente allo specchio per piacergli e per accenderlo in tal disio quale era ella, acciò ch’egli si movesse a cercare ciò che ella non ardiva di domandare a lui! Non è atto di donna innamorata, né d’alcun’altra, l’essere pronta, con ciò sia cosa che sola la molta vergogna, la quale in noi dee essere, è rimasa del nostro onore guardatrice. Noi abbiamo voce tra gli uomini, e è così la verità, di sapere meglio l’amorose fiamme nascondere che gli uomini: e questo non genera altro che la molta temenza, la quale le nostre forze, non tante quante quelle degli uomini, più tosto occupa. Quante ne sono già state, e forse noi d’alcune abbiamo saputo, le quali s’hanno molte volte fatto invitare di pervenire agli amorosi effetti, che volontieri n’avrebbero lo invitatore invitato prima che egli loro, se debita vergogna o temenza ritenute non l’avesse! E non per tanto, ogni ora che il no è della loro bocca uscito, hanno avuto nell’animo mille pentute, dicendo col cuore cento volte sì. Rimanga questo scelerato ardire nelle pari di Semiramis e di Cleopatra, le quali non amano, ma cercano d’acquetare il loro libidinoso volere, il quale chetato, non avanti d’alcuno più che d’un altro non si ricordano. I savi mercatanti mal volentieri arrischiano tutti i loro tesori ad un’ora a’ fortunosi casi: e non per tanto una picciola parte non si curano di concedere loro, non sentendo di quella nell’animo alcuno dolore, se avviene che la perdano. Amava dunque la giovane, che abbracciò il vostro fratello, poco, e quel poco concedette alla fortuna, dicendo: "Se costui per questo acquisto, bene sta; se mi rifiuta, non ci sarà più che prendersene un altro". L’altra, che vergognandosi rimase, con ciò fosse cosa che ella lui amasse sopra tutte le cose, dubitò di mettere tanto amore in avventura, imaginandosi: "Se questo forse gli spiacesse e rifiutassemi, il mio dolore sarebbe tanto e tale ch’io ne morrei". Sia adunque più la seconda che la prima amata -.

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