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Libro quinto - Capitolo 30
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Tornati alla città, Filocolo domanda che sia della bella Fiammetta, per adietro stata loro reina nell’amoroso giardino; alla cui domanda Caleon subito non rispose, ma bassò la fronte, e con dolore riguardava la terra. A cui Filocolo: - O caro amico, come prendi tu ora turbazione di ciò che già mi ricorda ti rallegravi? Qual è la cagione? Non vive Fiammetta? -. Allora Caleon dopo un sospiro disse: - Vive, ma la fortuna volubile m’ha mutata legge, e tale me la conviene usare, che assai più cara mi saria la morte -. - E come? - disse Filocolo. A cui Caleon: - Quella stella, al chiaro raggio della quale la mia picciola navicella avea la sua proda dirizzata per pervenire a salutevole porto, è per nuovo turbo sparita: e io misero nocchiero rimaso in mezzo mare sono d’ogni parte dalle tempestose onde percosso, e i furiosi venti, a’ quali niuna marinesca arte mi dà rimedio, m’hanno le vele, che già furono liete, levate, e i timoni, e niuno argomento m’è a mia salute rimaso: anzi mi veggio d’una parte al cielo minacciare, e d’altra le lontane onde mostrano il mare doversi con maggior tempesta commuovere. I venti sono tanti ch’io non posso né avanti né adietro andare, e se io potessi, non saprei qual porto cercare mi dovessi. E ancora che la morte mi fosse cara se mi venisse, nondimeno mi pure spaventa ella sovente sopra le torbide onde con le sue minacce, e gl’iddii hanno gli occhi rivolti altrove, e a’ miei prieghi turati gli orecchi, e i falsi amici m’hanno lasciato, e il buono non mi può atare: qual io stia omai pensatelvi -.

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