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Libro secondo - Capitolo 44
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Già aveva Febo nascosi i suoi raggi nelle marine onde, quando, preso il cibo, il duca insiememente con Florio cercarono i notturni riposi. Ma Florio porta nell’animo maggiore sollecitudine che di dormire, e sanza adormentarsi aspetta che gli altri s’addormentino della casa; i quali non così tosto come Florio avrebbe voluto s’andarono a letto, ma ridendo e gabbando e con diversi ragionamenti gran parte della notte passarono, la quale Florio tutta divise per ore, con angosciosa cura dubitando non s’appressasse l’ora che andare di necessità gli convenisse, e fosse veduto. Ma poi che ciascuno pose silenzio e la casa fu d’ogni parte ripiena d’oscurità, Florio con cheto passo, aperte le porti del gran palagio con sottile ingegno, sanza farsi sentire passò di fuori, e tutto soletto pervenne all’ostiere di Ascalion, ove più voci chiamò acciò che aperto gli fosse. E ’l primo che alla sua voce svegliato si levò fu Ascalion, il quale sanza niuno indugio corse ad aprirgli, maravigliandosi forte della sua venuta, e del modo e dell’ora non meno. E poi che essi furono dentro alla fidata camera sanza altra compagnia, Ascalion disse: - Dimmi, quale è stata la cagione della tua venuta a sì fatta ora, e perché se’ venuto solo? -. E mentre che queste parole dicea, dubitava molto non il duca gli avesse detto lo ’nfortunio di Biancifiore. Ma Florio rispose: - La cagione della mia venuta è questa. A me fa mestiere d’essere tutto armato e d’avere un buon cavallo. Onde io non sappiendo ove di tale bisogna fossi più fedelmente né meglio servito che qui, qui a venire mi dirizzai più tosto che in altra parte: priegovi che vi piaccia di questo tacitamente servirmi incontanente -. E mentre che diceva queste cose, con gran fatica riteneva le lagrime, le quali dal premuto cuore, ricordandosi perché queste cose volea, si moveano. Disse Ascalion: - Niuna cosa ho né potrei fare che al tuo piacere non sia; ma qual è la cagione di sì subita volontà d’armarti? Perché non aspetti tu il nuovo giorno? Armandosi l’uomo a questa ora, non veggendo alcuna necessità espressa, parrebbe un volere matto e subito, sì come sogliono essere quelli degli uomini poco savi e che hanno il natural senno perduto; ma se tu mi di’ perché a questo se’ mosso, la cagione potrebbe essere tale che io loderei che la tua impresa si mettesse avanti. Già sai tu bene che di me tu ti puoi interamente fidare, con ciò sia cosa che io lungamente in diverse cose ti sia stato maestro fedelissimo, e amatoti come se caro figliuolo mi fossi stato: dunque non ti guardar da me -. Florio rispose: - Caro maestro, veramente se alcuna virtù è in me, dagl’iddii e da voi la riconosco; e sanza dubbio, se io non avessi avuto in voi somma fede, niuno accidente per tal cosa mi ci avrebbe potuto tirare; ma poi che vi piace di sapere il perché a questa ora per l’armi io sia venuto, io il vi dico. A voi non è stato occulto l’ardente amore che io ho a Biancifiore portato e porto, della quale, oggi, dormendo io, mi furon mostrate dalla santa Venus di lei dolorose cose: però che io stando con lei sopra a Marmorina in una oscura nuvola, vidi chiamare la mia semplice giovane, e porle uno avvelenato paone in mano, e vidiglielo portare per comandamento altrui alla reale mensa ove voi sedevate; e dopo questo vidi e udii il gran romore che si fece, aveggendosi la gente dello avvelenato paone, e lei vidi furiosamente mettere in uno cieco carcere; e ancora dopo lungo consiglio vidi scrivere il processo della iniqua sentenza, che dare si dee domattina contra di lei. E queste cose tutte vedeste voi, né me ne dicevate niente. Ma io ne ringrazio gl’iddii che mostrate le m’hanno, e datomi vero aiuto e buono argumento a resistere alla crudel sentenza e ad annullarla, sì com’io credo fare con questa spada in mano, la quale Venere mi donò per la difensione di Biancifiore. E se il potere mi fallisse, intendo di volere anzi con esso lei in un medesimo fuoco morire, che dopo la sua morte dolorosamente vivendo stentare -. - Oimè, dolce figliuolo - disse Ascalion, - che è quello che tu vuoi fare? Per cui vuoi tu mettere la tua vita in avventura? Deh, pensa che la tua giovane età ancora è impossibile a queste cose, e massimamente a sostenere l’affanno delle gravanti armi. Deh, riguarda la tua vita in servigio di noi, che per signore t’aspettiamo, e lascia dare i popolareschi uomini a’ fati. Tu vuoi combattere per Biancifiore, la quale è femina di piccola condizione, figliuola d’una romana giovane, alla quale essendo stato ucciso il suo marito, per serva fu donata alla tua madre. Ma tu forse guardi al grande onore che tuo padre l’ha fatto per adietro, e quinci credi forse ch’ella sia nobilissima giovane: tu se’ ingannato, però che questo non le fu fatto se non perché ella fu tua compagna nel nascimento. Non è convenevole a te amare femina di sì piccola condizione; e però lasciala andare e compiere i doveri della giustizia, e poi che ella ha fatta l’offesa, lasciala punire. Non ti recare nella mente sì fatte cose, né dare speranza a’ sogni, i quali per poco o per soperchio mangiare, o per imaginazione avuta davanti d’una cosa, sogliono le più volte avvenire, né mai però se ne vide uno vero; e se pur fai quello che proposto hai, nullo fia che non te ne tenga poco savio, e al tuo padre darai materia di crucciarsi e d’infiammarsi più verso di lei: onde lascia stare questa impresa, io te ne priego -. Allora Florio, con turbato viso riguardandolo nella faccia disse: - Ahi, villano cavaliere, e sconoscente e malvagio, qual cagione licita o ancora verisimile vi muove a biasimare Biancifiore e chiamarla figliuola di serva? Non v’ho io più volte udito raccontare che ’l padre di Biancifiore fu nobilissimo uomo di Roma, e d’altissimo sangue disceso? Certo si ho. E quando questo non fosse mai vero, natura mai non formò sì nobile creatura com’ella è, però che non le ricchezze o il nascere de’ possenti e valorosi uomini fanno l’uomo e la femina gentile, ma l’animo virtuoso con le operazioni buone. Essa per la sua virtù si confarebbe a molto maggior prencipe che io non sarò mai; e posto che di quello che io intendo di fare, la vil gente ne parli men che bene, i valorosi me ne loderanno, avvegna che io sì segretamente lo ’ntendo di fare, che alcuno nol saprà già mai. E se si pur sapesse e parlassesene, il robusto cerro cura poco i sottili zeffiri, e il giovane poppio non può resistere a veloci aquiloni. Faccia l’uomo suo dovere, parli chi vuole. E sanza dubbio del cruccio del mio padre io mi curo poco, ch’è uomo di sì vile animo come io il sento, che s’è posto a volere con falsità vendicare le sue ire sopra una giovane donzella e innocente, sua benivolenza o amistà si dee poco curare, e in gran grazia mi terrei dagl’iddii che egli mi uscisse davanti a contradire la salute di Biancifiore, acciò che io con quel braccio, col quale ancora, se fosse quell’uomo quale esser dovrebbe il dovrei aver sostenuto, gli levi la vita mandandolo ai fiumi d’Acheronta, ove la sua crudeltà avrebbe luogo: vecchio iniquissimo ch’egli è, che nell’ultima parte de’ suoi giorni, alla quale quando gli altri, che sono stati in giovinezza malvagi pervengono, si sogliono col bene operare riconciliare agl’iddii, incomincia a divenire crudele e a fare opere ingiuste. E di ciò che o piacere o dispiacere ch’io gliene faccia, mai della mia mente non si partirà Biancifiore, né altra donna avrò già mai; né mi parrà grave il peso dell’armi in servigio di lei. E certo Achille non avea molto più tempo ch’io abbia ora, quando egli abandonando i veli insieme con Deidamia, venne armato a sostenere i gravi colpi d’Ettore fortissimo combattitore, né Niso era di tanto tempo quanto io sono, quando sotto l’armi incominciò a seguire gli ammaestramenti d’Euriello. Io sono giovane di buona età, volonteroso alle nuove cose, innamorato e difenditore della ragione, e emmi stata promessa vittoria dagl’iddii, e veggo la fortuna disposta a recarmi a grandi cose, la quale noi preghiamo tutto tempo che in più alto luogo ci ponga della sua rota. Ora poi che ella con benigno viso mi porge i dimandati doni, follia sarebbe a rifiutarli, ché l’uomo non sa quando più a tal punto ritorni. Io m’abandonerò a prendere ora che mi par tempo, e salirò sopra la sua rota; quivi, sanza insuperbire, quanto potrò in alto mantenermi, mi manterrò. E se avviene che alcuna volta scendere mi convenga, con quella pazienza che io potrò, sosterrò l’affanno. Né mi vogliate fare discredere quello che la vera visione m’ha mostrato, dicendo che i sogni sieno fallaci e voti d’ogni verità: poi che voi non me lo voleste dire, tacete del farmelo discredere, però che io n’ho più testimoni a questa verità, ché principalmente il mio anello con la perduta chiarezza mi mostrò l’affanno di Biancifiore: la celestiale spada, ritrovandomela nella destra mano quando mi svegliai, m’affermò la credenza delle vedute cose e la speranza della futura vittoria. Ma forse voi dubitate di farmi il servigio, e però con tante contrarietà v’andate al mio intendimento opponendo. Onde io vi priego, sanza più andarmi con cotali circustanze faccendomi perder tempo, mi rispondiate se fare lo volete o no: ch’io vi prometto che mai io non sarò lieto, né dalla mia impresa mi partirò, infino a tanto che io con la destra mano non avrò liberata Biancifiore dal fuoco, e da qualunque altro pericolo le soprastesse -. Quando Ascalion udì così parlare Florio e videlo pur fermo in voler difendere Biancifiore, assai se ne maravigliò del gran cuore che in lui sentiva, e più della nuova visione e della spada a lui donata, la quale non gli parea opera fatta per mano d’uomo, e fra sé disse: "Veramente la fortuna ti vuole recare a grandissime cose, delle quali forse questa fia il principio, e gl’iddii mostra che ’l consentano". E poi rispose a lui: - Florio, sanza ragione mi chiami villano e malvagio, però che quel ch’io ti dicea, io nol ti dicea che io non conoscessi bene ch’io non dicea vero, ma io il dicea acciò che da questa impresa ti ritraessi, se potuto avessi ritrartene. E se io avessi dal principio conosciuto che così fermamente t’avessi posto in cuore di far questo, certo sanza niuna altra parola io t’avrei detto: "andiamo"; ma io volea provare altressì con che animo ci eri disposto. E non dire ch’io dubiti di servirti, ch’io voglio che manifesto ti sia che alcuno disio non è in me tanto quanto quello fervente. Ond’io caramente ti priego, poi che del tutto alla difensione di Biancifiore se’ fermo, che, se ti piace, lasci a me questo peso, perché tu non sai chi avanti ti dee uscire a resistere al tuo intendimento. E nella corte del tuo padre sanza fallo ha molti valorosi cavalieri, e espertissimi e usati in fatto d’arme lungamente, a quali tu ora, novello in questo mestiero, non sapresti forse così resistere come si converrebbe. E non ti voler rifidare in sola la forza della tua giovanezza, ché non solamente i forti bracci vincono le battaglie, ma i buoni e savi provedimenti danno vittoria le più volte. Posto che io, già vecchio, non ho forse i membri guari più poderosi di te, io pur so meglio di te quel colpo che è da fuggire e quello che è da aspettare e quando è da ferire e quando è da sostenere, sì come colui che dalla mia puerizia in qua mai altra cosa non feci. E d’altra parte, se io fossi soperchiato, a te non manca il potere allora combattere, e combattendo provarti, e soccorrere me e Biancifiore -. A cui Florio rispose brievemente: - Maestro, io ora novellamente porterò arme; io come detto v’ho, sono giovane, e amore mi sospinge, e la buona speranza: io voglio sanza niuno fallo essere il difenditore di quella cosa che io più amo, ché non m’è avviso che alcuno cavaliere, non tanto fosse valoroso e dotto in opera d’arme, potesse qui adoperare quanto potrò io. E se io consentissi che voi v’andaste voi a combattere, e foste vinto, a me non si converrebbe d’andare a volere racconciare quello che voi aveste guasto né potrei né mi sarebbe sofferto. Io voglio incominciare a provare quello affanno che l’armi porgono. Io ho tanto sofferto amore, che ben credo poter sofferire l’armi a una picciola battaglia. E nella giovanezza si deono i grandi affanni sostenere, acciò che famoso vecchio si possa divenire. E se pure avvenisse che la speranza della vittoria mi fallisse, io farò sì che la vita e la battaglia perderò a un’ora, la qual cosa mi fia molto più cara che se io, dopo la morte di Biancifiore, rimanessi in vita; del vostro aiuto so che poi Biancifiore non si curerebbe, sì che più ch’uno non bisognerà che combatta -. Disse Ascalion: - Poi ch’elli ti piace che così sia, e io ne son contento, ma veramente io non ti abandonerò mai; e se io vedessi che il peggio della battaglia avessi mai, chiunque ucciderà te, ucciderà me altressì, avanti che io la tua morte vedere voglia. Ma io priego gl’iddii, se mai alcuna cosa appo loro meritai, che ti donino la disiderata vittoria, come promesso t’hanno, acciò che io teco insieme, riprovata la iniquità del tuo padre e scampata Biancifiore, mi possa di sì prospero principio rallegrare -.

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