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Libro terzo - Capitolo 16
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Mentre li fati trattavano così Florio, Biancifiore lasciata da lui al perfido padre tornò nell’usata grazia, dimorando ne’ reali palagi con non minore quantità di sospiri che Florio, avvegna che più saviamente quelli guardasse nell’ardente petto. Ma le trascorrenti avversità che il loro corso verso Florio aveano volto, con non usato stimolo ancora lui miserabilmente assalirono in questa maniera. Era nella corte del re Felice in questi tempi un giovane cavaliere chiamato Fileno, gentile e bello, e di virtuosi costumi ornato, a cui l’ardente amore di Florio e di Biancifiore era occulto, però che di lontane parti era, pochi giorni poi la crudel sentenza di Biancifiore, venuto. Il quale, sì tosto come la chiara bellezza vide del suo viso, incontanente s’accese del piacere di lei, e sanza misura la incominciò ad amare, e in diversi atti s’ingegnava di piacerle, avvegna che Biancifiore di ciò niente si curava, ma, saviamente portandosi, mostrava che di queste cose ella non conoscesse quanto facea. L’amore che Fileno portava a Biancifiore non era al re né alla reina occulto; i quali, acciò che il cuore di Biancifiore di nuovo piacere s’accendesse e Florio fosse da lei dimenticato, contenti di tale innamoramento, più volte nella loro presenza chiamavano Fileno, a cui faceano venire davanti Biancifiore e con lei tal volta sollazzevoli parole parlare; ma ciò era niente, ché Biancifiore di lui si curava poco, anzi sospirando vergognosa bassava la testa come davanti le venia, sanza già mai alzarla per mirare lui, se ciò non fosse stato alcuna fiata in piacere del re o della reina, li quali ella conoscea essere di tale amore allegri, avvegna che Fileno pensasse che que’ sospiri, i quali dal cuore di Biancifiore moveano, uscissero fuori essendone egli cagione. Mostrando Biancifiore per conforto della reina d’amare il giovane cavaliere; avvenne che dovendosi ne’ presenti giorni celebrare una grandissima solennità ad onore di Marte, iddio delle battaglie, e nella detta solennità si costumasse un giuoco nel quale la forza e lo ’ngegno de’ giovani cavalieri del paese tutta si conoscea, Fileno propose di volere in quel giuoco per amore di Biancifiore mostrare la sua virtù; ma ciò, se alcuna gioia da Biancifiore non avesse la quale in quel luogo per soprasegnale portasse, non volea fare. Onde egli un giorno si mosse, vedendo Biancifiore stare con la reina e con dubbioso viso, davanti alla reina così a Biancifiore cominciò a parlare: - O graziosa giovane, la cui bellezza Giove credo nel suo seno formasse, e a cui io per volere di quel signore, alla forza del cui arco non poterono resistere gl’iddii, sono umilissimo e fedel servidore, se i miei prieghi meritano essere dalla tua benignità uditi, con quello effetto che più graziosamente gli ti presenti gli mando fuori, e priegoti che, con ciò sia cosa che la festa del nostro iddio Marte, le cui vestige io sì come giovane cavaliere seguito, si deggia di qui a pochi giorni celebrare, e in quella il giuoco de’ potenti giovani, sì come tu sai, si deggia fare, e io intendo in quello per amore di te mostrare le mie forze, che tu alcuna delle tue gioie mi doni, la quale portando in quello per sopransegna, mi doni tanto più ardire, che io non ho, ch’io possa acquistare vittoria -. Biancifiore, udendo queste parole, di vergognosa rossezza dipinse il candido viso, sì tosto come il cavaliere si tacque, e non sappiendo che si fare si voltò verso la reina riguardandola nel viso con dubitosa luce. A cui la reina disse: - Giovane damigella alza la testa: e perché hai tu presa vergogna? Dubiti tu che ciò che ha detto il cavaliere non sia vero? Certo nella nostra gran città niuna donna dimora, la cui bellezza si possa adequare al tuo viso; e perché egli ti domandi grazia, sì come quelli che per amore disidera di servirti, ciò non gli dee da te esser negata, ma benignamente alcuna delle tue cose, quella che tu credi che più gli aggradi, gli dona: ché usanza è degli amanti insieme donarsi tal fiata delle loro gioie -. Disse Biancifiore allora: - Altissima reina, e che donerò io al cavaliere che ’l mio onore e la dovuta fede non si contamini? -. La reina rispose: - Biancifiore, non dubitare di questo, ché a quelle giovani a cui i fati ancora non hanno marito conceduto, possono liberamente donare ciò che loro piace, sanza vergogna. E che sai tu se essi ancora costui ti serbano per marito? E però donagli: e acciò che più grazioso gli sia, prendi il velo col quale tu ora la tua testa cuopri. Egli è tal cosa, che se pur te ne vergognassi, potresti negare d’avergliele donato, affermando che da altra l’avesse avuto, però che molti se ne trovano simiglianti -. Biancifiore, costretta dal parlare della reina, con la dilicata mano si sviluppò il velo della bionda testa, e sospirando il porse a Fileno, il quale in tanta grazia l’ebbe che mai maggiore ricevere non la credeva. E rendute del dono debite grazie, con esso da loro allegro si partì. E venuto il tempo del giuoco, legatosi questo velo alla testa, niuno fu nel giuoco che la sua forza passasse: per la qual cosa sopra quello, in presenza di Biancifiore, meritò essere coronato d’alloro.

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