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La santa dea, che due volte era discesa de’ suoi regni per impedire il ferventissimo amore tra Florio e Biancifiore cresciuto per lungo tempo, sentendo Florio rallegrarsi e il misero Fileno avere per le operazioni di lei preso dolente essilio, parendole niente aver fatto, propose del tutto di volere la sua imaginazione compiere. E discesa del cielo la terza volta, sopra un’alta montagna in forma di cacciatrice si pose ad aspettare il re Felice, che quivi cacciando su per quella doveva quel giorno venire. Ella avea i biondi capelli ravolti alla sua testa con leggiadro avolgimento, e il turcasso cinto con molte saette, e nella sinistra il forte arco portava. E quivi per picciolo spazio dimorando, di lontano vide il re Felice soletto correre dietro ad un grandissimo cervio, il quale verso quella parte ov’ella era fuggiva: al quale ella si parò davanti e con soavissima voce salutatolo, abandonato il cervio, il ritenne a parlar seco. A cui il re, non conoscendola, disse: - Giovane donna, come in questo luogo sì sola dimorate? -. - Di qui non sono guari lontane le compagne - rispose Diana; - ma tu come a questi diletti intendi, con ciò sia cosa che il tuo figliuolo, per amor di colei cui tu tieni in casa, guadagnata ne’ sanguinosi campi, si muore? Io conosco il sopravegnente pericolo, e dicoti che se tosto rimedio a questa cosa non prendi, ella il ti torrà -. E questo detto, subitamente sparve. Rimase il re tutto stupefatto e pieno di pensieri quando, volendo consiglio domandare, vide la dea sparita, e così tra sé, voltando i suoi passi, disse: - Veramente divina voce m’ha i miei danni annunziati -. E di grieve dolore oppresso, lasciata la caccia, si tornò in Marmorma.