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Traduzione dall'inglese di Melchiorre Cesarotti (1763)
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Al generoso reggitor del carro
Conàl si volse, e con soavi detti
Preselo a confortar. — Figlio di Semo,
Perchè ti lasci alla tristezza in preda?
5Son nostri amici i forti, e rinomato
Se' tu, guerrier: molte le morti e molte
Già fur del braccio tuo; spesso Bragela
Con ceruleo-giranti occhi di gioja
Il suo sposo incontrò, mentr'ei tornava
10Cinto dai valorosi, in mezzo ai canti
Dei festosi cantori, e rosseggiante
Avea il brando di strage, e i suoi nemici
Giacean sul campo della tomba esangui.
Datti conforto, e 'l re di Morven meco
15Statti lieto a mirar. Ve' com'ei passa 1,
Qual colonna di foco, e tutto incende!
Qual vigor, qual furor! non par di Luba
La correntìa? non par di Cromla il vento
Schiantator di ramose alte foreste?
20Avventurato popolo felice,
Fingallo, è 'l tuo: tu gli sei fregio e schermo.
Tu primo in guerra, e tu nei dì di pace
In consiglio il maggior: tu parli, e mille
S'affrettano a ubbidir: ti mostri, e innanzi
25Ti cadono gli eroi. Popol felice!
Popolo di Fingal, d'invidia degno!
Chi è, chi è, figlio di Semo, osserva,
Chi è costui sì tenebroso in vista
Che tornando ne vien? Questo è l'altero
30Figlio di Starno. Oh! con Fingàl s'affronta:
Stiamo a veder. Par d'oceàn tempesta
Mossa da due cozzanti aerei spirti,
Che van dell'onde a disputar l'impero:
Trema dal colle il cacciator, che scorge
35Ergersi il fiotto, e torreggiargli a fronte.
Sì Conallo parlò, quando a scontrarsi
In mezzo al loro popolo cadente
Corsero i due campion 2. Questa è battaglia,
Questo è fragor: qui ciascun urto è turbo,
40Ciascun colpo è tempesta: orrore e morte
Spirano i sguardi. Ecco spezzati scudi,
Smagliati usberghi, e sminuzzati elmetti
Balzan fischiando: ambi i guerrieri a terra
Gettano l'armi, e con raccolta possa
45Vannosi ad afferrar. Serransi intorno
Le noderose nerborute braccia.
Si stirano, si scrollano, s'intrecciano
Sotto e sopra in più gruppi alternamente
Le muscolose membra: ai forti crolli 3,
50All'alta impronta dei tallon robusti
Scoppian le pietre, e dalle nicchie alpestri
Sferransi i duri massi, e van sossopra
Rovesciati cespugli. Alfin la possa
A Svaran manca, egli è di nodi avvinto.
55Così sul Cona già vid'io (ma Cona
Non veggo più), così vid'io due sconci
Petrosi scogli trabalzati e svelti
Dall'orrid'urto di scoppiante piena;
Volvonsi quei da un lato all'altro, e vanno
60Ad intralciarsi le lor quercie antiche
Colle ramose cime; indi cozzando
Piombano assieme, e si strascinan dietro
Sterpi e cespi ammontati, e pietre e piante
Svolvonsi i rivi, e da lontan si scorge
65Il vuoto abisso della gran rovina.
— Figli, gridò Fingàl, tosto accorrete,
Statevi a guardia di Svaràn, che in forza
Ben pareggia i suoi flutti: è la sua destra
Mastra di pugna; egli è verace germe
70Di schiatta antica. O tra' miei duci il primo,
Gaulo, o tu re dei canti Ossian possente,
All’amico e fratel d’Aganadeca 4
Siate compagni, e gli cangiate in gioja
Il suo dolor: ma voi Fillano, Oscarre,
75Rino, figli del corso, i pochi avanzi
Di Loclin disperdete, onde nemica
Nave non sia che saltellare ardisca
Sull’onde d’Inistòr. Simili a lampo
Volaron essi. Ei campeggiò sul Lena
80Posatamente, come nube estiva
Lento-tonante per lo ciel passeggia;
Tace sott’essa la cocente piaggia.
Vibra il raggiante suo brando, cui dietro
Striscia spavento. Egli da lungi adocchia
85Un guerrier di Loclin: ver lui s’avvia,
E così parla: — E chi vegg’io lì presso
Alla pietra del rio? tenta, ma indarno,
Di varcarlo d’un salto: agli atti, al volto
Sembra eroe d’alto affar, pendegli a fianco
90Il curvo scudo, ed ha lung’asta in mano.
Giovine eroe, di’ chi se’ tu? rispondi,
Se’ tu nemico di Fingallo? — Io sono
Un figlio di Loclin, di forte braccio.
La sposa mia nella magion paterna
95Stassi piangendo, e mi richiama invano:
Orla non tornerà n 2. — Combatti, o cedi?
Disse l’alto Fingallo: i miei nemici
Lieti non son; ma ben famosi e chiari
Sono gli amici miei. Figlio dell’onda
100Seguimi alla mia festa: i miei cervetti
Vientene ad inseguir. — No, no, rispose,
Ai deboli io soccorro: è la mia destra
Schermo de’ fiacchi. Paragon non ebbe
Mai la mia spada. Il re di Morven ceda.
105 — Garzon, Fingàl non cede. Impugna il brando,
E t’eleggi un nemico: i miei campioni
Son molti e forti. — E la tenzon ricusi?
Gridò il guerriero: Orla è di Fingal degno;
E degno è Fingal d’Orla, e Fingal solo.
110Ma se cader degg’io, che pur un giorno
Cade ogni prode, odimi, o re, la tomba
Alzami in mezzo al campo, e fa che sia
La maggior di tutt’altre: e giù per l’onda
Manda il mio brando alla diletta sposa,
115Onde mesta il ricovri, e lagrimando
Lo mostri al figlio, ed a pugnar l’infiammi.
— Giovine sventurato, a che con questi 5
Funesti detti a lagrimar m’invogli?
Disse Fingallo: è ver pur troppo! il prode
120Deve un giorno cader, debbono i figli
Vederne l’armi inutili e sospese.
Pur ti conforta: io t’alzerò la tomba n 3,
Orla, non dubitarne: e la tua sposa
Avrà il tuo ferro, e ’l bagnerà di pianto.
125Presero essi a pugnar, ma il braccio d’Orla
Fiacco fu contro il re n 4: scese la spada
Del gran Fingallo, e in due parti lo scudo
Cadde quegli rovescio; sopra l’onda
L’arme riverberàr, come talvolta
130Sopra notturno rio riflessa luna.
— Re di Morven, diss’ei, solleva il brando,
Passami il petto: qui ferito e stanco
Dalla battaglia i fuggitivi amici
M’abbandonaro: giungerà ben tosto
135Lungo le sponde dell’acquosa Loda
All’amor mio la lagrimosa istoria,
Mentre romita e muta erra nel bosco,
E tra le foglie il venticel susurra.
— Orla, ch’io ti ferisca? ah non fia vero,
140Disse Fingàl: lascia, guerrier, che in riva
Del patrio Loda, dalle man di guerra
Sfuggito e salvo, con piacer t’incontri
L’affannoso amor tuo; lascia che ’l padre
Canuto, e forse per l’età già cieco,
145Senta da lungi il calpestìo gradito
De’ piedi tuoi: lascia che lieto ei sorga,
E brancolando con la man ricerchi
Il figlio suo. — Nol rinverrà giammai:
Io vo’ morir sul Lena; estranii vati
150Canteranno il mio nome: un’ampia fascia
Copremi in petto una mortal ferita;
Ecco io la squarcio, e la disperdo al vento.
Sgorgò dal fianco il nero sangue; ei manca,
Ei more; e sopra lui pietosamente
155Fingal si curva; indi i suoi duci appella.
— Oscar, Fillan, miei figli: alzisi tosto
La tomba ad Orla: ei poserà sul Lena,
Lungi dal grato mormorìo del Loda,
Lungi dalla sua sposa: un giorno i fiacchi
160Vedranno l'arco alle sue sale appeso;
Ma non potran piegarlo: urlano i cani
Sopra i suoi colli, esultano le belve
Ch'ei soleva inseguir: caduto è 'l braccio
Della battaglia, il fior dei forti è basso.
165Squilli il corno, miei figli, alzate il grido,
Torniamcene a Svaràn; tra feste e canti
Passi la notte. O voi Fillano, Oscarre,
Rino, volate; ove se' tu, mio Rino,
Rino di fama giovinetto figlio?
170Pur giammai tu non fosti a correr tardo
Al suon del padre tuo. — Rino, rispose,
L'antico Ullin, de' padri suoi sta presso
Le venerande forme; egli passeggia
Con Tratàl re dei scudi e con Tremmorre
175Dai forti fatti: il giovinetto è basso;
Smorto ei giace sul Lena. — E cadde adunque 6,
Gridò Fingal, cadde il mio Rino, il primo
A piegar l'arco, il più veloce in corso?
Misero! al padre i primi saggi appena
180Davi del tuo valor: perchè cadesti
Sì giovinetto? ah dolcemente almeno
Posa sul Lena! in breve spazio, o figlio,
Ti rivedrò: si spegnerà ben tosto
La voce mia; de' passi miei sul campo
185Svaniran l'orme; canteranno i vati
Di me soltanto, e parleran le pietre.
Ma tu, Rino gentil, basso per certo,
Basso se' tu: tu la tua fama ancora
Non ricevesti. Ullin ricerca l'arpa,
190Parla di Rino, e di' qual duce un giorno
Fora stato il garzone. Addio, tu primo
In ogni campo: il giovenil tuo dardo
Più non godrò di regolare. O Rino,
O già sì bello, ah tu sparisti: addio.
195Scorgevasi la lagrima sospesa
Sulle ciglia del re: pensa del figlio
Al crescente valor; figlio di speme!
Pareva un raggio di notturno foco,
Che già spunta sul colle; al fischio, al corso
200Piegan le selve; il peregrin ne trema.
— In quell'oscura verdeggiante tomba,
Riprese il re, chi mai sen giace? Io scorgo
Quattro pietre muscose, indizio certo
Della magion di morte. Ivi riposi
205Anche il mio Rino, e sia compagno al forte.
Forse è colà qualche famoso duce,
Che con mio figlio volerà su i nembi.
Ullin rianda le memorie antiche,
Sciogli il tuo canto, e ci rammenta i fatti
210Degli abitanti della tomba oscuri.
Se nel campo dei forti essi giammai
Non fuggir dai perigli, il figlio mio,
Benchè lungi da’ suoi, sul Lena erboso
Riposerà tranquillo ai prodi accanto.
215— In questa tomba, incominciò la dolce
Bocca del canto, il gran Landergo è muto,
E il fero Ullin. Chi è costei, che dolce
Sorridendo da un nembo, a me fa mostra
Del suo volto d’amor? Figlia di Tutla,
220O prima fra le vergini di Cromla,
Perchè pallida sei? dormi tu forse
Fra i due forti rivali in queste pietre?
Bella Gelcossa, tu l’amor di mille
Fosti vivendo, ma Landergo solo
225Fu l’amor tuo: ver le muscose ei venne
Torri di Selma n 5; e ’l suo concavo scudo
Picchiando, favellò: Dov’è Gelcossa,
Dolce mia cura? io la lasciai poc’anzi
Nella sala di Selma, allor che andai
230A battagliar contro l’oscuro Ulfadda.
Riedi tosto, diss’ella, o mio Landergo,
Ch’io resto nel dolore; ed umidetta
Avea la guancia, e sospiroso il labbro.
Ma or non la riveggio: a che non viene
235Ad incontrarmi, e a raddolcirmi il core
Dopo la pugna? tacito è l’albergo
Della mia gioja: in sull’amata soglia
Brano n 6 non veggo, il fido can, che crolli
Le sue catene, e mi festeggi intorno.
240Ov’è Gelcossa? ov’è ’l mio amor? Landergo,
Ferchio rispose, ella sarà sul Cromla n 7,
Ella con le sue vergini dell’arco n 8
I cervi inseguirà. Ferchio, rispose
Di Cromla il sire, alcun romor non fiede
245L'orecchio mio; taccion del Lena i boschi,
Non è cervo che fugga; ah ch'io non veggo
La mia Gelcossa! ella sparì. Gelcossa
Bella qual luna che pian pian s'asconde
Dietro i gioghi di Cromla. O Ferchio, vanne
250A quel canuto figlio della rupe,
Al venerabil Allado: ei soggiorna
Nel cerchio delle pietre, ei di Gelcossa
Avrà novelle. Andò d'Adone il figlio n 9,
Ed all'orecchio dell'età n 10 si fece:
255Allado, abitator della spelonca,
Tu che tremi così, di' che vedesti
Cogli antichi occhi tuoi? Vidi, rispose,
Ullino, il figlio di Cairba; ei venne
Come nube dal Cromla, alto intonando
260Disdegnosa canzon, siccome il vento
Entro un bosco sfrondato. Ei nella sala
Entrò di Selma: esci, gridò, Landergo,
Terribile guerriero, escine; o cedi
A me Gelcossa, o con Ullin combatti.
265Landergo non è qui, rispose allora
Gelcossa; ei pugna contro Ulfadda: o duce,
Ei non è qui: ma che perciò? Landergo
Non fia che ceda, egli non cesse ancora.
Combatterà. Se' pur vezzosa e bella,
270Disse l'atroce Ullin: figlia di Tutla
Io ti guido a Cairba, e del più forte
Sarà Gelcossa; io resterò sul Cromla
Tre dì la pugna ad aspettar; se fugge
Landergo, il quarto dì Gelcossa è mia.
275Allado, or basta, ripigliò Landergo,
Sia pace a' sonni tuoi. Suona il mio corno,
Ferchio, sì ch'oda Ullino: e sì dicendo,
Salì sul colle in torbido sembiante
Dalla parte di Selma: a cantar prese
280Bellicosa canzona, in tuon d'un rivo
D'alto cadente: alfin del monte in cima
Egli si stette; volse intorno il guardo,
Qual nube suol, che al varïar del vento
Varia d'aspetto: rotolò una pietra,
285Segno di guerra. Il fero Ullin l'udìo
Dalla sala paterna, udì giulivo
Il suo nemico, ed impugnò la spada
De' padri suoi: mentr'ei la cinge al fianco
Illuminò quel tenebroso aspetto
290Un sorriso di gioja: il pugnal brilla
Nella sua destra; ei s'avanzò fischiando.
Vide Gelcossa il sir torbido e muto,
Che qual lista di nebbia iva poggiando
Ferocemente: si percote il seno
295Candido palpitante, e lagrimosa
Trema per l'amor suo. Cairba antico,
Disse la bella, a piegar l'arco io volo,
Veggo i cervetti. Frettolosa il colle
Salì, ma indarno; gl'infiammati duci
300Già tra lor combatteano. Al re di Morven
Io narrerò come pugnar sien usi
Crucciati eroi? cadde il feroce Ullino.
Venne Landergo pallido anelante
Alla donzella della liscia chioma,
305Alla figlia di Tutla: oimè che sangue,
Che sangue è quello, ella gridò, che scorre
Sul fianco all'amor mio? Sangue d'Ullino,
Disse Landergo, o più candida e fresca
Della neve di Cromla: o mia Gelcossa,
310Lascia ch'io mi riposi: ei siede, e spira n 11.
Così cadi, o mio ben n 12? stette tre giorni
Lagrimandogli appresso: i cacciatori
La trovàr morta n 13, e su i tre corpi estinti
Ersero questa tomba. O re, tuo figlio
315Può qui posar, che con eroi riposa.
— E qui riposerà: gli orecchi miei
Spesso ferì della lor fama il suono,
Disse l'alto Fingàl: Fillon, Fergusto,
Orla qua mi s'arrechi, il valoroso
320Garzon del Loda; ei giacerà con Rino,
Coppia ben degna: sopra entrambi il pianto
Voi donzelle di Selma, e voi di Lona
Sciogliete, o figlie: ambi cresceano a prova
Come vivaci rigogliose piante;
325E come piante or lì giaccion prostesi,
Che sul ruscel riverse, al sole, al vento,
Tutto il vitale umor lasciano in preda.
Oscarre, onor di gioventù, tu vedi
Come cadder da forti. A par di questi
330Fa tu d'esser famoso, e sii com'essi
Subbietto dei cantor: menavan vampo
Essi in battaglia, ma nei dì di pace 7
Faccia avea Rino placida ridente,
Simile al varïato arco del cielo
335Dopo dirotta pioggia, allor che spunta
Gajo sull'onde, e d'altra parte il sole
Puro tramonta, e la collina è cheta.
Statti in pace, o bel Rino, o di mia stirpe
Rino il minor, ti seguiremo, o figlio,
340Chè tosto o tardi han da cadere i prodi!
Tal fu la doglia tua, signor dei colli,
Quando giacque il tuo Rino. E qual fia dunque
D'Ossian la doglia, or che tu giaci, padre?
Ah ch'io non odo la tua voce in Cona!
345Ah che più non ti veggo! Oscuro e mesto
Talor m'assido alla tua tomba accanto,
E vi brancolo sopra. Udir talvolta
Parmi la voce tua, lassù! e m'inganna
Il vento del deserto. È lungo tempo
350Che dormi, o padre; e ti sospira il campo,
Alto Fingàl, correggitor di guerra.
Lungo l'erboso Luba Ossian e Gaulo
Sedean presso a Svarano. Io toccai l'arpa
Per allegrare il cor del re, ma tetro
355Era il suo ciglio; ad ogn'istante al Lena
Girava il bieco rosseggiante sguardo;
Piangeva il popol suo. Gli occhi ver Cromla
Anch'io rivolsi, e riconobbi il figlio
Del generoso Semo. Ei tristo e lento 8
360Si ritrasse dal colle, e volse i passi
Alla di Tura solitaria grotta.
Vide Fingàl vittorïoso, e in mezzo
Della sua doglia, involontaria gioja 9
Venne a mischiarsi. Percoteva il sole
365Sull'armi sue: Conàl tranquillo e cheto
Lo venìa seguitando; alfine entrambi
Si celâr dietro il colle, appunto come
Doppia colonna di notturno foco,
Via via spinta dal vento. È la sua grotta
370Dietro un ruscel di mormorante spuma
Entro un rupe; un albero la copre
Con le tremanti foglie, e per li fianchi
Strepita il vento. Ivi riposa il figlio
Del nobil Semo; i suoi pensier son fisi
375Pur nella sua sconfitta; aride strisce
Gli segnano la guancia: egli sospira
La fama sua, che già svanita ei crede
Come nebbia del Cona. — O sposa amata,
O Bragela gentil, perchè sì lungi
380Se' tu da lui, che serenar potresti
L'anima dell'eroe? ma lascia, o bella,
Che sorga luminosa entro il suo spirto
L'amabile tua forma: i suoi pensieri
A te ritorneranno, e la sua doglia
385Dileguerassi al tuo sereno aspetto.
Chi vien coi crini dell'etaden 14? il veggo,
Egli è 'l figlio dei canti. Io ti saluto,
Carilo antico, la tua voce è un'arpa
Nella sala di Tura, e i canti tuoi
390Son grati e dolci, come pioggia estiva
Là nel campo del sol. Carilo antico,
Ond'è che a noi ne vien? — Ossian, diss'egli,
Delle spade signor, signor dei canti,
Tu m'avanzi d'assai. Molt'è che noto
395A Carilo sei tu: più volte, il sai,
Nella magion del generoso Brano,
Dinanzi alla vezzosa Evirallina
Ricercai l'arpa: e tu più volte, o duce,
Le mie musiche note accompagnasti:
400E talor la vezzosa Evirallina
Tra i canti del suo amor, tra i canti miei
Mescea la soavissima sua voce.
Un giorno ella cantò del giovinetto
Corman, che cadde per amarla: io vidi 10
405Sulle guance di lei, sulle sue ciglia
Le lagrime pietose: ella commosso
Sentìasi il cor dall'infelice amante,
Benchè pur non amato. Oh come vaga,
Come dolce e gentile era la figlia
410Del generoso Brano! — Ah taci, amico,
Non rinnovar, non rinnovarmi all'alma
La sua memoria: mi si strugge il core,
E gli occhi mi ringorgano di pianto.
Il diletto amor mio, la bella sposa
415Dal soave rossor, Carilo, è spenta.
Ma tu siedi, o cantore, e le nostr'alme
Molci col canto tuo, dolce ad udirsi
Quanto di primavera aura gentile,
Che nell'orecchio al cacciator sospira,
420Quand'ei si sveglia da giojoso sogno,
Tra 'l bel concento dei notturni spirti.
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corrispondente
- ↑ [p. 93 modifica]Or siamo sul monte di Cromla insieme con Cucullino. Le prodezze di Fingal accadono sotto i nostri occhi.
- ↑ [p. 93 modifica]Nell’ultima zuffa del canto antecedente il poeta disse che ciascheduno de’ guerrieri scozzesi aveva ottenuta la sua promessa di vincere il nemico ch’ei s’avea scelto. Si sarà dimandato, e di Svarano e Fingal non si sa nulla di più? Ossian con sommo giudizio ha riserbata la zuffa dei due massimi eroi al presente canto. Ell’era troppo importante. Conveniva separarla dall’altre, collocarla in un sito più luminoso, e preparar lo spirito di chi ascolta perch'ella facesse tutta l'impressione conveniente.
- ↑ [p. 93 modifica]Questo è forse l'unico luogo in tutto il poema che possa con qualche fondamento chiamarsi gonfio. Pure egli è molto probabile che quello, che ai tempi nostri ci sembra gonfio, al tempi di Ossian non sembrasse che meraviglioso. L’idea di forza è interamente relativa: e si prenderebbe un grosso equivoco, se si volesse misurar dalla nostra la forza degli antichi Celti. Qual proporzione tra la tessitura di corpi, nati da germi viziati, ristretti dal primo lor nascimento tra mille nodi, cresciuti all’ombra e nell’inazione, custoditi con mille dannose riserve, e guasti interamente dalla mollezza; e tra la vasta corporatura d'uomini nati tra i boschi, che aveano per vestiti le carni, per letto la terra, per tetto il cielo, indurati al sole, al ghiaccio, a tutte le inclemenze dell’aria, ed affaticati continuamente in esercizii di guerre, ove tutto si decidea con la forza? Non è egli visibile che il nostro vigore appetto a quello non dev’esser che un’ombra? In fatti, tutti i monumenti che restano dell’antiche nazioni celtiche sono indizii d’una robustezza prodigiosa. Trasportiamoci dunque nei tempi d’Ossian, e riflettiamo di più, che il poeta in Fingal e Svarano vuol darci un’idea del più alto grado a cui possa giunger la forza; che Svarano era un gigante; che Fingal non poteva esser molto minore, se doveva vincerlo; e si vedrà allora che queste iperboliche immagini sono meno lontane di quel che si credea a prima vista, dal verisimile, o almeno da quel possibile che solo basta al poeta. In oltre, Ossian ci avea già preparati a questi prodigi; ed egli ci racconta il fatto con tal semplicità di termini, e con una certa aria di [p. 94 modifica]buona fede, che sarebbe scortesia il non credergli almen la metà di quel ch’ei dice.
- ↑ [p. 94 modifica]Per un altro poeta, il poema sarebbe terminato, ma per Ossian ci manca ancora la più bella parte dell'azione. Fingal non ha riportato che una vittoria volgare. Egli se ne promette una molto più nobile. Vuol trionfar dello spirito di Svarano, sopraffarlo di generosità, e rimandarlo consolato e tranquillo. Ma questa vittoria non è ancora matura; ci voleano dei preparativi. La presenza di Fingal non poteva in quei primi momenti che aggravar la tristezza di Svarano. Fingal parte per dar soddisfazione a chi bramasse di far prova del suo valore, e per accoglier cortesemente chi volesse arrendersi; e lascia Svarano tra le mani di Gaulo e di Ossian. L’idea del vantaggio che Svarano avea riportato sopra l’uno, e la soavità dell'altro erano atte a mitigar la sua ferocia, e a disporlo meglio all’eroica bontà di Fingal.
- ↑ [p. 94 modifica]Abbiamo già detto in altro luogo che Fingal è l'eroe della natura. Eccone una prova sensibile. Egli s'intenerisce sopra i mali dell’umanità, e la compiange. Le sue lagrime sono date alla natura umana, non a lui stesso. Egli trova in sè medesimo dei conforti ben degni di lui; e sa darli anche agli altri opportunamente. Ma non lascia di sembrar duro e strano ad un cuore sensibile, che gli uomini anche i più grandi debbano perire come i più vili. Non bisogna equivocare, come molti fanno, tra la insensibilità e la fortezza. Esse sono qualità molto diverse; anzi l'una esclude l'altra.
- ↑ [p. 94 modifica]Questo lamento fa sentir il padre e l’eroe. È tenero, ma d’una tenerezza sedata e decente. In generale il poeta non ama i lunghi a stemperati piagnistei. Egli sfiora gli affetti, non li esaurisce. Nessuno intese più di Ossian la verità di quel detto: Nihil citius arescit, quam lacryma.
- ↑ [p. 94 modifica]Ossian non loda mai i suoi eroi, per le sole qualità di guerra; ma ci aggiunge sempre il contrapposto delle qualità pacifiche e dolcj. Il vero eroismo risulta dalla felice temperatura dell’une e dell’altre.
- ↑ [p. 94 modifica]Presso i grandi maestri l'allontanamento de’ protagonisti non pregiudica al decoro di quelli, e serve alla belle economia dell’azione. Achille sta lontano dalla scena pressochè per la metà senza cessare d'essere Achille. Appresso Ossian, Fingal non comparisce che alla metà del terzo canto, e nel punto ch’ei giunge, Cucullino sparisce. Ma siccome l’assenza di Fingal serve ad eccitar l’aspettazione, così la ritirata di Cucullino non lascia languir l’interesse. Questa è la seconda volta ch’egli si mostra, e sempre opportunamente, e con grand’effetto. Che gran colpo d’occhio non fa egli, veduto così in distanza nella sua mesta e muta grandezza! Anche [p. 95 modifica]l'attitudine di Conal è conveniente al suo carattere. Il vero amico tenta di mitigar la passione dell’altro con le ragioni opportune: quando ciò è vano, egli la rispetta con un affettuoso silenzio.
- ↑ [p. 95 modifica]La felicità degli altri desta se non invidia, almeno rancore negl'infelici: specialmente quando la disgrazia di questi nasca da un difetto, e l’altrui felicità da un merito. La vittoria di Fingal doveva sembrar un rimprovero a Cucullino. Pure lungi dal rattristarsene, egli ne risente qualche conforto. Il suo punto d’onore non ha nulla che offenda la nobiltà del suo animo. Chi può lasciar d’interessarsi per un tal carattere?
- ↑ [p. 95 modifica]Evirallina era degna sposa di Ossian. Che bell’animo non mostra il suo canto, e le sue lagrime donate alla memoria dell'infelice Cormano! Nella morte di quest’amante disamato molte donne non avrebbero scorto che un oggetto di compiacenza e d'orgoglio. Cormano sarebbe stato una vittima sacrificata a un idolo superbo, che la riguarda con indifferenza. Tale appunto è il senso che mostra Elena nel canto terzo dell’Iliade ove sta ricamando nella tela le battaglie che si facevano per lei fra i Trojani e i Greci, battaglie che potevano decidere della vita o di Menelao, o di Paride.