Questo testo è stato riletto e controllato. |
Traduzione dall'inglese di Melchiorre Cesarotti (1763)
◄ | Canto quinto |
Precipitaro i nugoli notturni,1
E si posàr su la pendice irsuta
Del cupo Cromla. Sorgono le stelle
Sopra l’onde di Ullina, e i glauchi lumi
5Mostrano fuor per la volante nebbia.
Mugge il vento lontano: è muta e fosca
La pianura di morte. Ancor gli orecchi
Dolce fiedea l’armonïosa voce
Del buon cantore. Ei celebrò i compagni
10Di nostra gioventude, allor che prima
Noi c’incontrammo in sull’erboso Lego,
E la conca ospital girava intorno.
Tutte del Cromla le nebbiose cime
Risposero al suo canto, e l’ombre antiche
15De’ celebrati eroi venner sull’ale
Ratte dei nembi, e con desìo fur viste
Piegarsi al suon delle gradite lodi.
Benedetto il tuo spirto in mezzo ai venti,
Carilo antico n 2. Oh venistù sovente
20La notte a me quando soletto io poso.
E tu ci vieni amico: odo talvolta
La tua maestra man, ch'agile e leve
Scorre per l'arpa alla parete appesa:
Ma perchè non favelli alla mia doglia?
25Perchè non mi conforti? i cari miei,
Quando mi fia di riveder concesso?
Tu taci e parti; e 'l vento che t'è scorta
Fischiami in mezzo alla canuta chioma.
Ma dal lato di Mora intanto i duci
30S'adunano al convito. Ardon nell'aria
Cento querce ramose, e gira intorno
Il vigor delle conchen 3. I duci in volto
Splendon di gioja: sol pensoso e muto
Stassi il re di Loclin; siedongli insieme
35Ira e dolor sull'orgogliosa fronte.
Guata il Lena, e sospira: ha ferma in mente
La sua caduta. Sul paterno scudo
Stava chino Fingallo: egli la doglia
Osservò di Svarano, e così disse
40Al primo de' cantori: — Ullino, innalza
Il canto della pace, e raddolcisci
I bellicosi spirti, onde l'orecchio
Ponga in oblio lo strepito dell'armi.
Sien cento arpe dappresso, e infondan gioja
45Nel petto di Svaran. Tranquillo io voglio
Che da me parta: alcun non fu per anco
Che da Fingàl mesto partisse. Oscarre,
Contro gli audaci e valorosi in guerra
Balena il brando mio: se cedon questi,
50Pacatamente mi riposa al fianco.
— Visse Tremmorre, incominciò dei canti2
La dolce bocca, e per le nordich'onde
Di tempeste e di venti errò compagno.
La scoscesa Loclin coi mormoranti
55Suoi boschi apparve al peregrino eroe
Tra le sue nebbie; egli abbassò le vele,
Balzò sul lido, ed inseguì la belva
Che per le selve di Gormàl ruggìa.
Molti eroi già fugò, molti ne spense
60Quella, ma l'asta di Tremmòr l'uccise.
Eran tre duci di Loclin presenti
All'alta impresa, e raccontàr la possa
Dello straniero eroe: disser ch'ei stava
Qual colonna di foco, e d'arme chiuso,
65Raggi spandea d'insuperabil forza.
Festoso il re largo convito appresta,
Ed invita Tremmorre. Il giovinetto
Tre giorni festeggiò nelle ventose
Loclinie torri; e a lui diessi la scelta
70Dell'arringo d'onor. Loclin non ebbe
Sì forte eroe, che gli durasse a fronte.
N'andò la gioja della conca in giro;
Canti, arpe, applausi: alto sonava il nome
Del giovine regal, che dal mar venne,
75Delle selve terror, primo dei forti.
Sorge il quarto mattin. Tremmòr nell'onde
Lanciò la nave, e a passeggiar si pose
Lungo la spiaggia in aspettando il vento,
Che da lungi s'udia fremer nel bosco.
80Quand'ecco un figlio di Gormàl selvoso
Folgorante d'acciar, che a lui s'avanza.
Gota vermiglia avea, morbida chioma,
Mano di neve: e sotto brevi ciglia
Placido sorridea ceruleo sguardo,
85E sì prese a parlargli: Olà, t'arresta,
Arrestati, Tremmòr: tutti vincesti,
Ma non hai vinto di Lonvallo il figlio.
La spada mia de' valorosi il brando
Spesso incontrò: dal mio infallibil arco
90S'arretraro i più saggi. O giovinetto
Di bella chioma, ripigliò Tremmorre,
Teco non pugnerò: Molle è 'l tuo braccio,
Troppo vago sei tu, troppo gentile:
Torna ai cervetti tuoi. Tornar non voglio
95Se non col brando di Tremmòr, tra 'l suono
Della mia fama: giovinette a schiere
Circonderan con teneri sorrisi
Lui che vinse Tremmòr; trarran del petto
Sospiretti d'amore, e la lunghezza
100Della tua lancia misurando andranno,
Mentr'io pomposo mostrerolla, e al sole
Ne innalzerò la sfavillante cima.
Tu la mia lancia? disdegnoso allora
Soggiunse il re: la madre tua piuttosto
105Ritroveratti pallido sul lido
Del sonante Gormallo, e risguardando
Verso l'oscuro mar, vedrà le vele
Di chi le uccise il temerario figlio.
E ben, disse il garzon, molle dagli anni
110È il braccio mio: contro di te non posso
L'asta innalzar, ma ben col dardo appresi
A passar petto di lontan nemico.
Spoglia, o guerrier, quel tuo pesante arnese;
Tu sei tutto d'acciaro: io primo a terra
115Getto l'usbergo, il vedi; or via, Tremmorre,
Scaglia il tuo dardo. Ondoleggiante ei mira
Un ricolmetto seno. Era costei
La sorella del re. Vid'ella il duce
Nelle fraterne sale, ed invaghissi
120Del viso giovenil. Cadde la lancia
Dalla man di Tremmorre: abbassa a terra
Focoso il volto: l'improvvisa vista
Sino al cor lo colpì, siccome un vivo
Raggio di luce che diritto incontra
125I figli della grotta, allor che al sole
Escon dal bujo, e al luminoso strale
Chinano i sguardi abbarbagliati e punti.
O re di Morven, cominciò la bella
Dalle braccia di neve, ah lascia ch'io
130Nella tua nave mi riposi, e trovi
Contro l'amor di Corlo asilo e schermo.
Terribile è costui per Inibaca
Quanto il tuon del deserto: amami il fero,
Ma dentro il bujo d'un atroce orgoglio;
135E diecimila lance all'aria scuote
Per ottenermi. E ben, riposa in pace,
Disse l'alto Tremmòr, dietro lo scudo
De' padri miei; poi diecimila lance
Scuota Corlo a suo senno, io non pavento;
140Venga, l'attendo. Ad aspettar si stette
Tre dì sul lido: alto squillava il corno
Da tutti i monti suoi, da tutti i scogli
Corlo sfidò, ma non apparve il fero.
Scese il re di Loclin: rinnovellârsi
145I conviti, e le feste in riva al mare,
E la donzella al gran Tremmòr fu sposa.
— Svaran, disse Fingal, nelle mie vene3
Scorre il tuo sangue: le famiglie nostre
Sitibonde d'onor, vaghe di pugna
150Più volte s'affrontàr, ma più volte anco
Festeggiarono insieme, e l'una all'altra
Fer di conca ospital cortese dono.
Ti rasserena adunque, e nel tuo volto
Splenda letizia, e alla piacevol arpa
155Apri l'orecchio e 'l cor. Terribil fosti
Qual tempesta, o guerrier, de' flutti tuoi;
Tu sgorgasti valor; l'alta tua voce
Quella valea di mille duci e mille.
Sciogli doman le biancheggianti vele,
160Fratel d’Aganadeca; ella sovente
Viene all’anima mia per lei dogliosa,
Qual sole in sul meriggio: io mi rammento
Quelle lagrime tue; vidi il tuo pianto
Nelle sale di Starno, e la mia spada
165Ti rispettò, mentr’io volgeala a tondo
Rosseggiante di sangue, e colmi avea
Gli occhi di pianto, e ’l cor ruggìa di sdegno.
Che se pago non sei, scegli e combatti.
Quell’arringo d’onor, che i padri tuoi
170Diero a Tremmòr, l’avrai da me: giojoso
Vo’ che tu parta: e rinomato e chiaro
Siccome sol che al tramontar sfavilla.
— Invitto re della morvenia stirpe 4,
Primo tra mille eroi, non fia che teco
175Più mai pugni Svaran: ti vidi in pria
Nella reggia paterna, e i tuoi freschi anni
Di poco spazio precedeano i miei.
E quando, io dissi a me medesmo, e quando
La lancia innalzerò, come l’innalza
180Il nobile Fingàl? Pugnammo poi5
Sul fianco di Malmòr, quando i miei flutti
Spinto m’aveano alle tue sale, e sparse
Risonavan le conche: altera zuffa
Certo fu quella e memoranda: or basta;
185Lascia che il buon cantore esalti il nome
Del prode vincitor. Fingallo ascolta:
Più d’una nave di Loclin poc’anzi
Restò per te de’ suoi guerrieri ignuda;
Abbiti queste, o duce: e sii tu sempre
190L’amico di Svaran. Quando i tuoi figli
All’alte torri di Gormàl verranno,
S’appresteran conviti, e lor la scelta
Della tenzon s’offerirà. — Nè nave 6,
Rispose il re, né popolosa terra
195Non accetta Fingàl; pago abbastanza
Son de’ miei monti, e dei cervetti miei.
Conserva i doni tuoi, nobile amico
D’Aganadeca: al raggio d’orïente
Spiega le bianche vele, e lieto riedi
200Al nativo Gormallo. — O benedetto
Lo spirto tuo, re delle conche eccelso,
Gridò Svaran, di maraviglia pieno 7;
Tu sei turbine in guerra, auretta in pace.
Prendi la destra d’amistade in pegno,
205Generoso Fingallo. I tuoi cantori
Piangano sugli estinti, e fa ch’Erina
I duci di Loclin ponga sotterra,
E della lor memoria erga le pietre:
Onde i figli del Nord possano un giorno
210Mirare il luogo, ove pugnàr da forti
I loro padri, e 'l cacciatore esclami,
Mentre s'appoggia a una muscosa pietra:
Qui Fingallo e Svaran lottaro insieme,
Que' prischi eroi: così diranno, e verde
215La nostra fama ognor vivrà. — Svarano,
Fingal riprese, oggi la gloria nostra
Della grandezza sua giunse alla cima.
Noi passerem qual sogno: in alcun campo
Più non s'udrà delle nostr'arme il suono;
220Ne svaniran le tombe, e 'l cacciatore
In van sul prato del riposo nostro
L'albergo cercherà: vivranno i nomi,
Ma fia spento il valor. Carilo, Ullino,
Ossian, cantori, a voi son noti i duci
225Che più non sono. Or via, sciogliete i canti
De' tempi antichi, onde la notte scorra
Tra dolci suoni, ed il mattin risorga
Nella letizia. Ad allegrare i regi
Sciogliemmo il canto, e cento arpe soavi
230La nostra voce accompagnàr: Svarano
Rasserenossi, e risplendè, qual suole
Colma luna talor, quando le nubi
Sgombran dalla sua faccia, e lascian quella
Ampia, tersa, lucente in mezzo al cielo.
235Allor Fingallo a Carilo si volse8,
E prese a dirgli: — Ov'è di Semo il figlio?
Ov'è il re di Dunscaglia? a che non viene?
Come basso vapor forse s'ascose
Nella grotta di Tura? — Ascoso appunto,
240Rispose il buon cantor, sta Cucullino
Nella grotta di Tura; in su la spada
Egli ha la destra, e nella pugna il core,
Nella perduta pugna. È cupo e mesto
Il re dell'aste, che più volte in campo
245Già vincitor si vide. Egli t'invia
La spada di Cabarre, e vuol che posi
Sul fianco di Fingàl, perchè qual nembo
I poderosi suoi nemici hai spersi.
Prendi, o Fingàl, questa famosa spada,
250Che già la fama sua svanì qual nebbia
Scossa dal vento. — Ah non fia ver, rispose
L'alto Fingàl, ch'io la sua spada accetti.
Possente è 'l braccio suo: vattene, e digli
Che si conforti; già sicura e ferma
255È la sua fama, e di svanir non teme.
Molti prodi fur vinti, e poi di nuovo
Scintillaron di gloria. E tu pur anche,
Re dei boschi sonanti, il tuo cordoglio
Scorda per sempre: i valorosi, amico,
260Benchè vinti, son chiari: il sol tra i nembi
Cela il capo talor, ma poi ridente
Torna a guardar su le colline erbose.
Viemmi Gruma alla mente. Era già Gruma
Un sir di Cona; egli spargea battaglia
265Per tutti i lidi; gli gioìa l’orecchio
Nel rimbombo dell’armi, e ’l cor nel sangue.
Ei spinse un giorno i suoi guerrier possenti
Sull’echeggiante Craca; e il re di Craca
Dal suo boschetto l’incontrò, che appunto
270Tornava allor dal circolo di Brumo,
Ove alla pietra del poter poc’anzi
Parlato avea. Fu perigliosa e fera
La zuffa degli eroi per la donzella
Dal bel petto di neve. Avea la fama
275Lungo il Cona natìo portato a Gruma
La peregrina amabile beltade
Della figlia di Craca, ed egli avea
Giurato d’ottenerla, o di morire.
Pugnaro essi tre dì: Gruma nel quarto
280Annodato restò. Senza soccorso
Lungi da’ suoi, l’immersero nel fondo
Dell’orribile circolo di Brumo,
Ove spesso ulular l’ombre di morte
Diceansi intorno alla terribil pietra
285Del lor timor. Ma che? da quell’abisso
Uscì Gruma e rifulse. I suoi nemici
Cadder per la sua destra; egli riebbe
L’antica fama. O voi cantor, tessete
Inni agli eroi, che dalla lor caduta
290Sorser più grandi, onde il mio spirto esulti
Nella giusta lor lode, ed a Svarano
Il cordoglio primier tornisi in gioja.
Allor di Mora su la piaggia erbosa
Si posero a giacer. Fischiano i venti
295Tra le chiome agli eroi. S’odono a un tempo
Cento voci, cento arpe: i duci antichi
Si rimembràr, si celebraro. E quando
Udrò adesso il cantor? quando quest’alma
S’allegrerà nelle paterne imprese?
300L’arpa in Morven già tace, e più sul Cona
Voce non s’ode armonïosa: è spento
Col possente il cantor; non v’è più fama.
Va tremolando il mattutino raggio
Su le cime di Cromla, ed una fioca
305Luce le tinge. Ecco squillar sul Lena
Il corpo di Svaran: dell'onde i figli
Si raccolgon d'intorno, e muti e mesti
Salgon le navi: vien d'Ullina il vento
Forte soffiando a rigonfiar le vele
310Candido-galleggianti, e via gli porta.
— Olà, disse Fingàl, chiaminsi i veltri,
Rapidi figli della caccia, il fido
Brano dal bianco petto, e la ringhiante
Forza arcigna di Lua. Qua qua, Fillano,
315Rino... ma non è qui: riposa il figlio
Sopra il letto feral. Fillan, Fergusto,
Rintroni il corno mio, spargasi intorno
La gioja della caccia: impauriti
L'odan del Cromla i cavrïoli e i cervi,
320E balzino dal lago. Errò pel bosco
L'acuto suon: dello scoglioso Cromla
S'alzano i cacciator; volano a slanci
Chi qua, chi là mille anelanti veltri
Sulla lor preda ad avventarsi. Un cervo
325Cade per ogni can: ma tre ne afferra
Brano, e gli addenta, e di Fingallo al piede
Palpitanti gli arreca. Egli a tal vista
Gongola di piacer. Ma un cervo cadde9
Sulla tomba di Rino, e risvegliossi
330Il cordoglio del padre. Ei vide cheta
Starsi la pietra di colui, che 'l primo
Era dianzi alla caccia: — Ah figlio mio,
Tu non risorgi più! tu della festa
A parte non verrai; già la tua tomba
335S'asconderà, già l'erba inaridita
La coprirà: con temerario piede
Calpesteralla un dì la schiatta imbelle,
Senza saper ch'ivi riposa il prode.
Figli della mia forza, Ossian, Fillano,
340Gaulo re degli acciar; poggiam sul colle
Ver la grotta di Tura; andiam, veggiamo
D'Erina il condottiero. Oimè, son queste
Le muraglie di Tura; ignude e vuote
Son d'abitanti, e le ricopre il musco.
345Mesto è 'l re delle conche, e desolato
Sta l'albergo regal: venite, amici,
Al sir dei brandi, e trasfondiamgli in petto
Tutto il nostro piacer. Ma che? m'inganno?
Fillano, è questi Cucullino? oppure
350È colonna di fumo? emmi sugli occhi
Di Cromla il nembo, e ravvisar non posso
L'amico mio. — Sì, Cucullino è questo,
Gli rispose il garzon. Vedilo, è muto
È tenebroso, ed ha la man sul brando.
355Salute n 4 al figlio di battaglia: addio
Spezzator degli scudi. — A te salute,
Rispose Cucullin, salute a tutta
L'alta schiatta di Selma. O mio Fingallo,
Grato è l'aspetto tuo: somiglia al sole,
360Cui lungo tempo sospirò lontano
Il cacciatore, e lo ravvisa alfine
Spuntar da un nembo. I figli tuoi son vive
Stelle ridenti, onde la notte ha luce.
O Fingallo, o Fingàl, non tale un giorno
365Già mi vedesti tu, quando tornammo
Dalle battaglie del deserto, e vinti
Fuggìan dalle nostr'arme i re del mondo, n 5
E tornava letizia ai patrii colli.
— Gagliardo a' detti, l'interruppe allora
370Conan di bassa fama,n 6assai gagliardo
Se' tu per certo, Cucullin: son molti
I vanti tuoi; ma dove son l'imprese?
Or non siam noi per l'oceàn qua giunti,
Per dar soccorso alla tua fiacca spada?
375Tu fuggi all'antro tuo: Conanno intanto
Le tue pugne combatte. A me quell'arme,
Cedile a me; che mal ti stanno. — Eroe
Alcun non fu che ricercare osasse
L'arme di Cucullin, rispose il duce
380Alteramente; e quando mille eroi
Le cercassero ancor, sarebbe indarno,
Tenebroso guerriero: alla mia grotta
Non mi ritrassi io già, finchè d'Erina
Vissero i duci. — Olà, gridò Fingallo,
385Conan malnato, dall'ignobil braccio,
Taci, non parlar più. Famoso in guerra
È Cucullin, e ne grandeggia il nome.
Spesso udii la tua fama, e spesso io fui
Testimon de' tuoi fatti, o tempestoso
390Sir d'Inisfela. Or ti conforta, e sciogli
Le tue candide vele in ver l'azzurra
Nebbiosa isola tua; vedi Bragela
Che pende dalla rupe, osserva l'occhio
Che d'amore e di lagrime trabocca.
395I lunghi crini le solleva il vento
Dal palpitante seno. Ella l'orecchio
Tende all'aura notturna, e pure aspetta
Il fragor de' tuoi remi, e 'l canto usato
De' remiganti, e 'l tremolio dell'arpa
400Che da lungi s'avanza. — E lungo tempo
Starà Bragela ad aspettarlo invano.
No, più non tornerò: come potrei
Comparir vinto alla mia sposa innanzi,
E mirarla dolente? Il sai, Fingallo,
405Io vincitor fui sempre. — E vincitore
Quinci innanzi sarai, qual pria tu fosti,
Disse Fingàl: di Cucullin la fama
Rinverdirà come ramosa pianta.
Molta gloria t'avanza, e molte pugne
410T'attendono, o guerriero, e molte morti
Usciran dal tuo braccio. Oscarre, i cervi
Reca, e le conche, e 'l mio convito appresta.
I travagliati spirti abbian riposo
Dopo lunghi perigli; e i fidi amici
415Si ravvivin di gioja al nostro aspetto.
Festeggiammo, cantammo. Alfin lo spirto
Di Cucullin rasserenossi: al braccio
Tornò la gagliardia, la gioja al volto.
Ivano Ullino e Carilo alternando
420I dolci canti: mescolai più volte
Alla lor la mia voce, e delle lancie
Cantai gli scontri, ove ho pugnato e vinto.
Misero! ed or non più: cessò la fama
Di mie passate imprese, e abbandonato
425Seggomi al sasso de' miei cari estinti.
Così scorse la notte, infin che 'l giorno
Sorse raggiante. Dall'erbosa piaggia
Alzossi il re, scosse la lancia, e primo
Lungo il Lena movea: noi lo seguimmo
430Come strisce di foco. — Al mare, al mare,
Spieghiam le vele, ed accogliamo i venti
Che sgorgano dal Lena: egli sì disse.
Noi salimmo le navi, e ci spingemmo
Tra canti di vittoria e liete grida
435Dell'oceàn per la sonante spuma.
Errore nelle note: Sono presenti dei marcatori <ref>
per un gruppo chiamato "n" ma non è stato trovato alcun marcatore <references group="n"/>
corrispondente
- ↑ [p. 106 modifica]«Se Ossian, dice l'autore degli Annali Tipografici, ha preso il colorito cupo degli oggetti del suo clima, con qual forza e con qual verità non ne ha egli rappresentata l’immagine? E queste immagini appunto e questo colorito cupo, ma sublime, sbalordiscono e trasportano l’anima quasi ad ogni pagina del suo poema». Egregiamente. Noi per altro abbiam veduto che Ossian sa maneggiar con ugual maestria tutte le specie de’ colori. E s’egli fa più spesso uso del cupo, quest’è perchè il cupo è più spesso confacente a’ suoi soggetti.
- ↑ [p. 106 modifica]Artificiosamente il poeta introdusse questo episodio, come il più acconcio a dispor gli animi all’esito felice dell’azione.
- ↑ [p. 106 modifica]Tutte le parole di Ossian sono ragguardevoli per molti pregi; ma questa mi sembra d’un’eccellenza superiore ad ogni altra. Non so se sia più ammirabile la generosità di Fingal, o l’artifizio con cui egli s’insinua nell’animo di Svarano. Poteva esser esacerbato verso di Fingal per quattro motivi: per l’inimicizia nazionale degli Scozzesi e dei Danesi; per l’inimicizia personale tra lui e Fingal; per la vergogna della sua sconfitta; e per desiderio di risarcirsi. Fingal prende a superar tutti quest’ostacoli con la nobiltà de’ suoi sentimenti; e lo fa, con un ordine il più conveniente. Comincia dal primo, prendendo occasione dal canto di Ullino, e mostra coll’esempio di Tremmor, che le guerre delle loro famiglie non venivano da un odio ereditario, ma da una gara di gloria, e che anzi esse da principio erano amiche e congiunte. Passa indi ad allontanargli dall’animo l’idea della vergogna, ch’era il punto più delicato e più necessario; e fa un grand’elogio del valore di Svarano, indicando che nel suo spirito egli non ha perduto nulla dell’antica sua gloria. La lode non è mai più lusinghiera quanto in bocca d’un nemico. Riconfortato l’amor proprio di Svarano con questo calmante, Fingal mette in uso i modi più blandi. Lo chiama delicatamente fratello d’Aganadeca, per destar in lui sentimenti teneri ed amichevoli coll’immagine d’una sorella amata non meno da lui, che da Fingal. Mostra che sin dal tempo di quella, egli avea concepita molta propensione per lui, e gli rammemora in prova sensibile [p. 107 modifica]che gliene diede in quella occasione. Con ciò egli induce Svarano a vergognarsi di odio e rancore con una persona, che già da gran tempo l’avea provocato in affetto e in benevolenza. Finalmente mette in opera un tratto di generosità singolare, che doveva espugnar l’animo il più indomabile. Svarano era vinto: Fingal era padrone della sua vita e della sua libertà. Ma questi si scorda della sua vittoria: suppone che Svarano sia libero come innanzi la battaglia, e propone per soddisfarlo un nuovo cimento personale, come se il passato non dovesse decidere. Svarano non è un nemico vinto, ma un ospite nobile, a cui si desidera di far onore. Se Dionigi d’Alicarnasso avesse avuto da analizzare discorsi di questo genere, egli avrebbe fatto ben miglior uso della sua critica, di quello che nello sviluppare lo strano artifizio d’Agamennone nel II dell’Iliade.
- ↑ [p. 107 modifica]La generosità di Fingal va operando. Svarano non è più quel brutale che rispose con tanta asprezza a’ cortesi inviti di Cucullino e di Fingal. Un confronto sì luminoso dovea farlo troppo arrossire della sua natura. La rozzezza di Svarano s’ingentilisce, e la sua ferocia si va cangiando in grandezza.
- ↑ [p. 107 modifica]Svarano rammenta più volentieri la zuffa di Malmor che la presente. Abbiam veduto nel principio del poema, ch’egli volea far credere di non esser rimasto inferiore in quella battaglia. Ma dalle sue stesse espressioni si scorge che questa non era che un’illusione del suo amor proprio. La straordinaria gentilezza di Fingal è vicina a strappargli di bocca la confessione della sua inferiorità; ma egli si spiega in un modo alquanto indiretto ed equivoco. La virtù sta per vincerla; ma in natura fa ancora qualche resistenza.
- ↑ [p. 107 modifica]Gli eroi de’ poeti greci erano molto lontani da questi magnanimi sentimenti. Achille nel XXIV dell’Iliade, avendo reso a Priamo il corpo di Ettore, fa la sue scuse coll’ombra di Patroclo per aver usato questo atto di pietà; e potendo allegare per sua giustificazione, se non i sentimenti naturali d’umanità, almeno il comando di Giove, e l’esortazioni di sua madre Tetide, egli lascia questa ragione plausibile (giacchè pur credea d’aver bisogno di scusa) e adduce unicamente quest’altra, che Priamo gli avea fatto dei doni che non erano da dispregiarsi. Havvi un luogo nelle Supplici d’Euripide che ha relazione più piena con tutta la condotta di Fingal in questa guerra, e ch’è un esempio luminoso della somma differenza che passava tra lo spirito degli antichi poeti greci, e quello di Ossian. Adrasto re di Argo ricorre personalmente a Teseo re d’Atene, affine d’indurre col suo soccorso i Tebani a dar sepoltura agli uccisi nella passata guerra. [p. 108 modifica]Teseo, dopo avergli fatto l'uomo addosso con poca discrezione, e con molta superiorità, gli dà crudamente una negativa. Mosso poi dalle persuasioni della madre più che dall'onestà della causa, o dai sentimenti d’un animo generoso, si determina con malissimo garbo a sostener Adrasto con le sue armi. Dopo la sua vittoria segue a trattar Adrasto con disprezzo: finalmente per compir l’opera comparisce Minerva per ricordar a Teseo ch'egli si faccia dar la sua mercede da Adrasto pel benefizio, e che per assicurarsene lo costringa ad un giuramento. Questa è la delicatezza inimitabile del poeta greco. Si esamini ora la condotta del barbaro. Fingal intesa l'invasione meditata da Svarano, corre in soccorso di Cucullino, e salva l’Irlanda. Lungi dal rimproverar la sua disgrazia all’amico, lo conforta, e lo esalta; e in luogo d’esiger guiderdone dall'alleato, ricusa l’omaggio del suo stesso nemico.
- ↑ [p. 108 modifica]Ecco il trionfo di Fingal interamente compiuto. Avrebbe potuto il poeta far che Svarano persistesse nella sua ferocia, che volesse di nuovo combattere, e che morisse pugnando. Ma ii suo cangiamento è molto glorioso per Fingal, più interessante e più istruttivo. Ossian c’insegna con quest’esempio che la virtù doma i cuori più barbari, e ch’ella trionfa alle volte dell’educazione e della natura. Lezione utilissima, e ch’è d’un massimo stimolo per corrisponder colla beneficenza a coloro che ci provocarono colle offese.
- ↑ [p. 108 modifica]La presenza di Carilo risveglia in Fingal l’idea di Cucullino. Ma egli non s’indirizza a quest’eroe, se non dopo la partenza di Svarano. Questa mi sembra un’avvertenza assai delicata. Cucullino e Svarano non erano caratteri da potersi conciliar insieme così agevolmente. La presenza del primo avrebbe destato nell’altro qualche movimento d'orgoglio: e quella di Svarano non poteva che accrescer la vergogna e l'afflizione di Cucullino. Così la loro reciproca vista era più atta ad inasprir gli animi, che a riconciliarli. Fingal giudiziosamente allontana prima l’uno, e poi pensa a consolar l’altro.
- ↑ [p. 108 modifica]Questo incidente è molto toccante. D’ugual finezza è il tratto di sopra, ove Fingal chiamando i suoi figli, nomina Rino. I gran poeti sanno far nascer di questi incidenti quando meno si aspettano: gli altri non veggono i più ovvii e presentati spontaneamente dal soggetto.