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Traduzione dall'inglese di Melchiorre Cesarotti (1763)
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Soavi notti, dilettose istorie,
Raddolcitrici de’ leggiadri cori!
Soggiunse Cucullin. Tal molce il colle
Rugiada del mattin placida e fresca,
5Quando il sogguarda temperato il sole,
E la faccia del lago è pura e piana.
Segui, Carilo, segui: ancor satollo
Non è ’l mio cor. La bella voce sciogli,
Dinne il canto di Tura, il canto eletto
10Che soleasi cantar nelle mie sale,
Quando Fingallo il gran signor dei brandi
V'era presente, e s'allegrava udendo
O le sue proprie, o le paterne imprese.
Fingallo 1, uom di battaglia (in cotal guisa
15Carilo incominciò) prevenne gli anni
La gloria tua. Nel tuo furor consunta
Restò Loclin, che la tua fresca guancia
Gara avea di beltà con le donzelle.
Esse amorosamente alla fiorita
20Vezzosa faccia sorridean, ma morte
Stava nella sua destra. Avea la possa
Della corsìa del Lora; i suoi seguaci
Fremeangli addietro, come mille rivi.
Essi il re di Loclin, l'altero Starnon 2
25Presero in guerra, e 'l ricondusser poi
Alle sue navi: ma d'orgoglio e d'ira
Rigonfiossegli il core, e nel suo spirto
Piantossi oscura del garzon la morte:
Perchè non altri che Fingallo avea
30Vinta di Starno l'indomabil possa.
Stava in Loclin costui dentro la sala
Delle sue conche, e a sè chiamò dinanzi
Il canuto Snivan, Snivan che spesso
Cantava intorno al circolo di Loda,
35Quando la pugna nel campo dei forti
Volgeasi e a' canti suoi porgeva ascolto
La pietra del poter. Snivan canuto,
Va, disse Starno, alle dal mar cerchiate
Arvenie rocce; ed al possente e bello
40Re del deserton 3 tu dirai, ch'io gli offro
La figlia mia, la più gentil donzella
Ch'alzi petto di neve; essa ha le braccia
Candide al par della marina spuma;
Dolce e nobile il cor. Venga Fingallo,
45Venga co' suoi più forti alla vezzosa
Vergine figlian 4 di segreta stanza.
Alle colline d'Albïon ventose
Venne Snivano, e 'l ben chiomato eroe
Seco n'andò: dinanzi a lui volava
50L'infiammato suo cor, mentr'ei l'azzurre
Nordich'onde fendea. Ben venga a noi,
Starno gridò, ben venga il valoroso
Re di Morven scoscesa; e voi ben giunti
Siate pur suoi guerrieri, illustri figli
55Dell'isola solinga; in feste e canti
Vi starete tre giorni, e tre le belve
Seguirete alla caccia, affin che possa
Giunger la vostra fama alla donzella
Della segreta stanza abitatrice.
60Sì fintamente favellò l'altero
Re della neven 5, e meditava intanto
Di trarli a morte. Nella sala ei sparse
La festa delle conche: avea sospetto
Fingàl di frode, ed avvedutamente
65L'arme ritenne; si sguardàr l'un l'altro
Pallidi in volto i figli della morte,
E taciti svanîr. S'alzan le voci
Della vivace gioja: arpe tremanti
Mandan dolce armonia; cantano i vati
70Scontri di pugna, o tenerelli petti
Palpitanti d'amor. Stava tra questi
Il cantor di Fingallo, Ullinn 6, la dolce
Voce di Cona. Ei celebrò la bella
Vergine della neven 7, e 'l nato al carro
75Signor di Selma: la donzella intese
L'amabil canto, e abbandonò la stanza
Segreto testimon de' suoi sospiri.
Uscì di tutta sua bellezza adorna,
Quasi luna da nube in orïente.
80Le leggiadrìe cingevanla e le grazie,
Come fascia di luce: i passi suoi
Movean soavi, misurati, e lenti
Come armoniche note. Il garzon vide,
Videlo, e n'arse. O benedetto raggio,
85Disse tra sè. Già del suo core egli era
Il nascente sospiro, e a lui di furto
Spesso volgeasi il desïoso sguardo.
Tutto raggiante il terzo dì rifulse
Sul bosco delle belve. Uscì Fingallo
90Signor dei scudi, e 'l tenebroso Starno.
Del giovin prode rosseggiò la lancia
Nel sangue di Gormallan 8. Era già 'l sole
A mezzo il corso suo, quando la bella
Figlia di Starno al bel Fingàl sen venne
95Con amorosa voce, e coi begli occhi
In lagrime girantisi e tremanti;
E sì parlò: Fingallo, ah non fidarti
Del cor di Starno; egli nel bosco aguati
Pose contro di te, guardati, o caro,
100Dal bosco della morte: ad avvisarti
Spronami amor: tu generoso eroe
Rammenta Aganadeca, e mi difendi
Dallo sdegno del padre. Il giovinetto
L'udì tranquillo, ed avvïossi al bosco
105Spregiatamente: i suoi guerrier possenti
Stavangli a fianco. Di sua man cadèro
I figli della morte, e ai loro gridi
Gormallo rimbombò. Rimpetto all'alta
Reggia di Starno si raccolser tutti
110Gli stanchi cacciatori. Il re si stava
Torbido, in sè romito; avea sul ciglio
Funesta nube, atro vapor negli occhi.
Olà, gridò l'altero, al mio cospetto
Guidisi Aganadeca; ella ne venga
115Al re di Selma, al suo leggiadro sposo2
Già del sangue de' miei tinta è la destra
Del suo diletton 9; inefficaci e vane
Non fur sue voci: del fedel messaggio
È giusto il guiderdon. Venne la bella,
120Sciolta il crin, molle il ciglio: il bianco petto
Le si gonfiava all'aura de' sospiri,
Come spuma del Luba. Il fero padre
L'afferrò, la trafisse. Ella cadéo
Come di neve candidetta falda,
125Che dalle rupi sdrucciolar del Rona
Talor si scorge, quando il bosco tace,
E basso per la valle il suon si sperde.
Giunse Fingàl, vide la bella; il guardo
Vibrò sopra i suoi ducin 10, e i duci suoi
130L'arme impugnaro: sanguinosa e negra
Pugna mugghiò; Loclin fu spersa o spenta.
Pallida allor nella spalmata nave
La vergine ei racchiuse: in Arven poi
Le alzò la tomba; or freme il mar d'intorno
135All'oscura magion d'Aganadeca n 11.
— Benedetto il suo spirto, e benedetta
Sii tu, bocca del canto, allor riprese
Di Semo il figlio. Di Fingàl fu forte
Il braccio giovenil, forte è l'antico.
140Cadrà Loclin sotto l'invitta spada,
Cadrà di nuovo: esci da' nembi, o luna:
Mostra la bella faccia, e per l'oscura
Onda notturna le sue vele aspergi
Della serena tua candida luce.
145E se forse lassù sopra quel basso
Nebuloso vapor sospeso alberghi,
O qual che tu ti sia spirto del cielo,
Cavalcator di turbini e tempeste,
Tu proteggi l'eroe, tu le sue navi
150Dagli scogli allontana, e tu lo guida
Securo e salvo ai desïosi amici.
Sì parlo Cucullin, quando sul colle
Salì di Mata il valoroso figlio
Calmàr ferito: egli venìa dal campo
155Nel sangue suo; ne sostenea la lancia
I vacillanti passi: ha fiacco il braccio,
Ma indomabile il cor — Gradito a noi 3
Giungi, disse Conàl, gradito, o forte
Figlio di Mata. Ond'è ch'esce il sospiro
160Dal petto di colui, che in mezzo all'arme
Mai non temè? — Nè temerà giammai,
Sir dell'acuto acciar. Brillami l'alma
Entro i perigli, e mi festeggia il core.
Son della schiatta dell'acciaro, a cui
165Nome ignoto è 'l timor. Cormàr fu 'l primo
Della mia stirpe. Eran suo scherzo e gioco
Flutti e tempeste: il suo leggiero schifo
Saltellava sull'onde, e gìa guizzando
Su le penne dei venti. Un negro spirto
170Turbò la notte. Il mar gonfiasi, i scogli
Rugghiano, i venti vorticosi a cerchio
Strascinano le nubi, ale di lampi
Volan focose. Egli smarrissi, a terra
Ei ricovrò; ma s'arrossì ben tosto
175Del suo timore: in mezzo al mar di nuovo
Scagliasi il figlio a rintracciar del vento
Tre giovinetti del suo legno han cura,
E ne reggon il corso. Egli si stava
Col brando ignudo: ecco passar l'oscuro
180Vapor sospeso: ei l'afferrò pel crine
Rapido, e con l'acciaro il tenebroso
Petto gli ricercò: l'aereo figlio
Fuggì stridendo, e comparîr le stelle.
Tal fu l'ardir de' miei: Calmàr somiglia
185Ai padri suoi: dell'innalzata spada 4
Fugge il periglio: uom c'ha fermezza, ha sorte
Ma voi progenie delle verdi valli,
Dalla del Lena sanguinosa piaggia
Scostatevi, adunate i tristi avanzi
190Dei nostri amici e di Fingallo al brando
Ad unirvi correte. Il suono intesi
Dell'oste di Loclin che a noi s'avanza.
Partite amici, resterà Calmarre,
Calmàr combatterà: bench'io sia solo,
195Tal darò suon, come se mille e mille
Fossermi a tergo. Or tu, figlio di Semo,
Rammentati Calmàr, rammenta il freddo
Corpo giacente. Poi ch'avrà Fingallo 5
Guasto il campo nemico, appo una pietra
200Di memorian 12 ripommi onde il mio nome
Passi ai tempi futuri, e si rallegri
La madre di Calmàr curva sul sasso
Della mia fama. — Ah no, figlio di Mata,
Rispose Cucullin, non vo' lasciarti;
205Io sarò teco: ove più grande e certo
Rischio s'affaccia, ivi più 'l cor di gioja
M'esulta e ferve, e mi s'addoppia in petto.
Forte Conallo, e tu Carilo antico,
Voi d'Inisfela i dolorosi figli
210Scorgete altrove; e quando al fin sia giunto
L'aspro conflitto, rintracciate i nostri
Pallidi corpi; in questo angusto passo
Presso di questa pianta ambedue fermi
Staremci ad affrontar l'atro torrente
215Della pugna di mille. O tu, va, corri
Figlio di Fiti, ale di vento impenna.
Vanne a Fingàl, digli ch'Erina è bassa,
Fa' che s'affretti. Oh venga tosto a noi
Qual vivo sole, e le tempeste nostre
220Sgombri coi raggi, e rassereni il colle.
Grigio in Cromla è 'l mattin; sorgono i figli
Dell'oceàno; uscì Calmar fumante
Di bellicoso ardor; ma pallid' era
La faccia sua: chinavasi sull'asta
225De' padri suoi, sopra quell'asta istessa,
Che dalle sale egli portò di Lara,
E stava mesta a risguardar la madre.
Ma or languido, esangue a poco a poco 6
Manca, e cade l'eroe; qual lentamente
230Cade sul Cona sbarbicata pianta.
Solo rimane Cucullin qual rupe
Nell'arenosa valle: il mar coi flutti
Viensene, e mugge su i petrosi fianchi,
Stridono i massi, e la scoscesa fronte
235Spruzza e ricopre la canuta spuma.
Ma già fuor fuor per la marina nebbia
Veggonsi a comparir le di Fingallo
Bianco-velate navi; e maestoso
S'avanza il bosco dell'eccelse antenne.
240Svaràn l'adocchia, e di combatter cessa 7
D'Inisfela l'eroe. Qual per le cento
Isole d'Inistor s'arresta, e ferve
Gonfia marea; sì smisurata e vasta
La possa di Loclin scese a rincontro
245All'alto re dei solitari colli.
Ma lento, a capo chin, mesto, piangente,
La lunga lancia traendosi dietro,
Cucullin ritirossi, e si nascose
Dentro il bosco di Cromla, e amaramente
250Pianse gli estinti amici. Egli temea
L'aspetto di Fingàl, che tante volte
Seco già s'allegrò, quand'ei tornava
Dal campo della fama. — Oh quanti, oh quanti
Giaccion colà dei miei possenti eroi n 13,
255Sostegni d'Inisfela! essi che un tempo
Festosi s'accogliean nelle mie sale,
Delle mie conche al suon. Non più sul prato
Le lor orme vedrò; non più sul monte
Udrò l'usata voce. Or là prostesi
260Pallidi, muti, in sanguinosi letti
Giacciono i fidi amici. O cari spirti
Dei dianzi estinti, a Cucullin venite;
Con lui vi state a favellar sul vento
Quando l'albero piegasi, e bisbiglia
265Su la grotta di Tura: ivi solingo
Giacerò sconosciuto; alcun cantore
Non membrerà 'l mio nome, alcuna pietra
A me non s'ergerà. Bragela, addio:
Già più non son, già la mia fama è spenta,
270Piangimi cogli estinti; addio, Bragela.
Sì parlò sospirando, e si nascose,
Ove la selva è più selvaggia e cupa.
Ma d’altra parte maestosamente 8
Passa Fingàl nella sua nave, e stende
275La luminosa lancia: orrido intorno
Folgoreggia l’acciar, qual verdeggiante
Vapor di morte che talor si posa
Su i capi di Malmor: scura è nel cielo
La larga luna, il peregrin soletto.
280— Terminato è ’l conflitto; io veggo il sangue
De’ nostri amici, il re gridò; le quercie
Gemon di Cromla, e siede orror sul Lena.
Colà cadèro i cacciatori; il figlio
Di Semo non è più. Rino n 14, Fillano,
285Diletti figli, or via, sonate il corno
Della battaglia di Fingàl; salite
Quel colle in su la spiaggia, e della tomba
Del buon Landergo n 15 il fier nemico in campo
Sfidate alla tenzon. La vostra voce
290Quella del padre nel tonar pareggi,
Allor che nella pugna entra spirante
Baldanza di valor: qui fermo attendo
Questo possente uom tenebroso; attendo
Con piè fermo Svarano. E venga ei pure
295Con tutti i suoi; che non conoscon tema
Gli amici degli estinti. Il gentil Rino
Volò qual lampo; il buon Fillano il segue
Pari ad ombra autunnal. Scorre sul Lena
La voce loro: odon del mare i figli
300Il roco suon del bellicoso corno,
Del corno di Fingallo, e piomban forti,
Grossi, mugghianti, qual riflusso oscuro
Del sonante oceàn, quando ritorna
Dal regno della neve: alla lor testa
305Scorgesi il re superbo; ha tetro aspetto
D’ira avvampante, occhi rotanti in fiamma.
Lo rimirò Fingallo, e rammentossi 9
D’Aganadeca sua: perchè Svarano
Con giovenili lagrime avea pianto 10
310La gentil suora dal bel sen di neve.
Mandò Ullino dai canti, e alla sua festa
Cortesemente l’invitò; che dolce
Del nobile Fingàl ricorse all’alma
Del suo primiero amor la rimembranza.
315Venne l'antico Ullin di Starno al figlio,
E sì parlò: — Tu che da lungi alberghi
Cinto dall'onde tue, come uno scoglio,
Vieni alla regia festa, e 'l dì tranquillo
Passa, doman combatterem, domani
320Spezzeremo gli scudi. — Oggi, rispose,
Spezzinsi pur, starò domani in festa,
Domani sì, che fia Fingàl sotterra.
— E ben spezzinsi tosto n 16, e poi festeggi
Doman se può, con un sorriso amaro
325L'alto Fingàl riprese. Ossian tu statti
Da presso al braccio mio, tu Gaulo innalza n 17
Il terribile acciar, piega Fergusto
L'incurvato tuo tasso, e tu, Fillano,
La tua lancia palleggia; alzate i scudi
330Qual tenebrosa luna, e ciascun'asta
Sia meteora mortal: me, me seguite
Per lo sentier della mia fama, e sièno
Le vostre destre ad emularmi intese.
Cento nembi aggruppati, o cento irate
335Onde sul lido, o cento venti in bosco,
O cento in cento colli opposti rivi;
Forse con tale, o con minor fracasso,
Strage, furia, terror s'urtan l'un l'altro;
Di quel con cui le poderose armate
340Vannosi ad incontrar nell'echeggiante
Piaggia del Lena: spargesi su i monti
Alto infinito gemito confuso,
Pari a notturno tuon, quanda una nube
Spezzasi in Cona; e mille ombre ad un tempo
345Mandan nel vuoto vento orrido strido.
Spinsesi innanzi in la sua possa invitta
L'alto Fingàl, terribile a mirarsi
Come lo spirto di Tremmor n 18, qualora
Vien sopra un nembo a contemplare i figli
350Della possanza sua; crollan le querce
Al suon delle sue penne, e innanzi ad esso
S'atterrano le rupi. Atra, sanguigna
Era la man del padre mio rotando
Il balenante acciar; struggeasi il campo
355Nel suo corso guerrier. Rino avanzossi
Qual colonna di fuoco: è scuro e torvo
Di Gaulo il ciglio; e rapido Fergusto
Corre con piè di vento; era Fillano
Come nebbia del colle. Io stesso io stesso
360Piombai qual masso: alle paterne imprese
Mi sfavillava il cor: molte le morti
Fur del mio braccio; nè di grata luce
Splendea la spada di Loclin sul ciglio.
Ah non avea così canuti i crini 11
365Ossian allor, nè in tenebre sepolti
Eran quest'occhi, nè tremante e fiacca
L'antica man, nè 'l piè debole al corso.
Chi del popol le morti, e chi le gesta
Può ridir degli eroi, quando Fingallo
370Nella sua ardente struggitrice fiamma
Divorava Loclin? di colle in colle
Gemiti sopra gemiti s'affollano
Di morti e di spiranti, infin che scese
La notte, e tutto in tenebre ravvolse 12
375Smarriti, spauriti, sbalorditi
Come greggia di cervi, allor sul Lena
Strinsersi i figli di Loclin: ma noi
Lietamente sedemmo in riva al vago
Ruscel di Luba, ad ascoltar le gaje
380Note dell'arpa. Il gran Fingàl sedea
Non lungi dai nemici, e dava orecchio
Ai versi dei cantor. S'udian nel canto
Altamente sonar gli eccelsi nomi
Di sua stirpe immortale. Ei sullo scudo
385Piegava il braccio, e ne bevea tranquillo
La soave armonìa. Stavagli appresso
Curvo sulla sua lancia, il giovinetto,
Il mio amabile Oscarre n 19. Ei meraviglia
Avea del re di Selma, e i suoi gran fatti
390Scorrean per l'alma, e gli scoteano il core.
Figlio 13 del figliuol mio, disse Fingallo,
Onor di gioventù: vidi la luce
Del tuo brando, la vidi, e mi compiacqui
Della progenie mia: segui la fama
395De' padri tuoi, segui l'avite imprese.
Sii quel ch'essi già fur, quando vivea
L'alto Tremmòr primo tra' duci, e quando
Tràtal padre d'eroi n 20. Quei da' prim'anni
Pugnàr da forti: or son de' vati il canto
400Valoroso garzon, curva i superbi,
Ma risparmia gl'imbelli: una corrente
Di molt’acque sii tu contro i nemici
Del popol tuo; ma a chi soccorso implora
Sii dolce, placidissimo, qual aura
405Che lusinga l’erbetta e la solleva.
Così visse Tremmòr, Tràttal fu tale 14,
Tal è Fingallo. Il braccio mio fu sempre
Schermo degl’infelici, e dietro al lampo
Della mia spada essi posàr securi.
410Oscarre, io era giovinetto appunto
Qual se’ tu ora, quando a me sen venne
Faïnasilla, la vezzosa figlia
Del re di Cracan 21, vivida soave
Luce d’amore; io ritornava allora
415Dalla piaggia di Cona; avea con meco
Pochi de’ miei. Di bianche vele un legno
Da lungi apparve, che movea sull’onde
Come nebbia sul nembo. Avvicinossi,
La bella comparì. Salìa, scendea
420Il bianco petto a scosse di sospiri,
E le strisciavan lagrimose stille
La vermiglietta guancia. E qual tristezza
Alberga in sì bel sen, placido io dissi,
O figlia di beltà? poss’io qual sono
425Giovine ancor farmi tuo schermo e scudo
Donna del mar? non ho invincibil brando,
Ma cor che non vacilla. A te men volo,
Sospirando rispose, o prence eccelso
Di valorosi, a te men volo, o sire
430Delle conche ospitali, alto sostegno
Della debile destra. Il re di Craca
Me vagheggiava qual vivace raggio
Della sua stirpe, ed echeggiar sovente
Le colline di Cromala s’udiro
435Ai sospiri d’amor per l’infelice
Faïnasilla. Il regnator di Soran 22
Bella mi vide, e n’arse: ha spada al fianco
Qual folgore del ciel; ma torvo ha’l ciglio,
E tempesta nel cor; da lui men fuggo
440Sopra il rotante mar: costui m’insegue.
Statti dietro al mio scudo n 23, e posa in pace
Raggio amoroso; fuggirà di Sora
Il fosco re, se di Fingallo il braccio
Rassomiglia al suo cor: potrei celarti
445In qualche cupa solitaria grotta:
Ma non fugge Fingallo ove tempesta
D'aste minaccia; egli l'affronta, e ride.
Vidi la lagrimetta in su le guancie
Della beltà: m'intenerii. Ma tosto,
450Come da lungi formidabil onda,
Del tempestoso barbaro la nave
Minacciosa apparì; dietro alle bianche
Vele vedi piegar l'eccelse antenne;
Fiedono i fianchi con le bianche spume
455L'onde rotanti; mormora la possa
Dell'oceàn. Lascia il muggir del mare,
Io dissi a lui, calpestator dei flutti,
E vienne alla mia sala; essa è l'albergo
Degli stranieri. Al fianco mio si stava
460La donzelletta palpitante: ei l'arco
Scoccò; quella cadèo. Ben hai del paro
Infallibile destra, e cor villano,
Dissi; e pugnammo: senza sangue e leve
Non fu la mortal zuffa: egli pur cadde;
465E noi ponemmo in due tombe di pietra
L'infelice donzella, e 'l crudo amante n 24.
Tal fui negli anni giovanili; Oscarre,
Tu la vecchiezza di Fingallo imita 15.
Mai non andarne di battaglia in traccia,
470Nè la sfuggir giammai quando a te viene.
Fillano, e Oscarre dalla bruna chioma,
Figli del corso, or via pronti volate
Sopra la piaggia, ed osservate i passi
Dei figli di Loclin; sento da lungi
475Il trepido rumor della lor tema;
Simile a mar che bolle. Itene, ond'essi
Non possano sottrarsi alla mia spada
Lungo l'onde del Nord: son basso i duci
Della stirpe d'Erina, e molti eroi
480Giaccion sul letto squallido di morte.
Volaro i due campion, come due nubi,
Negri carri dell'ombre, allor che vanno
Gli aerei figli a spaventar la terra.
Fecesi innanzi allor Gaulo, il vivace 16
485Figlio di Mornin 25, e si piantò qual rupe.
Splendea l'asta alle stelle: alzò la voce
Pari al suon di più rivi. — O generoso
Delle conche signor, figlio di guerra,
Fa che ’l cantor con l’arpa al sonno alletti
490D’Erina i stanchi figli. E tu, Fingallo,
Lascia per poco omai posar sul fianco
La tua spada di morte, e alle tue schiere
Permetti di pugnar: noi qui senz’opra
Stiamci struggendo inonorati e lenti;
495Poichè tu sol, tu spezzator di scudi17
Sei solo, e sol fai tutto, e tutto sei.
Quando il mattin su i nostri colli albeggia
Statti in disparte, le prodezze osserva
De’ tuoi guerrieri. Di Loclin la prole
500Provi di Gaulo la tagliente spada;
Onde me pur cantino i vati, e chiaro
Voli il mio nome ancor: tal fu il costume
Della nobil tua stirpe, e tale il tuo.
— Figlio di Morni, a lui Fingàl rispose,
505Gioisco alla tua gloria: e ben, combatti,
Prode garzon; ma ti fia sempre a tergo
La lancia mia, per arrecarti aìta,
Quando sia d’uopo. O voi la voce alzate,
Figli del canto, e ’l placido riposo
510Chiamatemi sul ciglio. Io giacerommi
Tra i sibili del vento: e se qui presso
Aganadeca amabile t’aggiri
Tra i figli di tua terra, o se t’assidi
Sopra un nembo ventoso in fra le folte
515Antenne di Loclin, vientene, o bella,
Rallegra i sonni miei, vieni, e fa mostra18
Del tuo soave rilucente aspetto.
Più d’una voce e più d’un’arpa sciolse
Armonïose note. Essi cantaro
520Le gesta di Fingallo, e dell’eccelsa
Stirpe di Selma; e nell’amabil canto
Tratto tratto s’udìa sonar con lode
Dell’or così diverso Ossian il nome.
Ossian dolente! io già pugnai, già vinsi
525Spesso in battaglia: or lagrimoso e cieco,
Squallido, inconsolabile passeggio
Coi piccioli mortali! Ove, Fingallo,
O padre ove se’ tu? più non ti veggo
Con l’eccelsa tua stirpe; erran pascendo
530Cervetti e damme in su la verde tomba
Del regnator di Selma. O benedetta
L’anima tua, re delle spade, altero
Esempio degli eroi, luce di Cona!
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corrispondente
- ↑ [p. 63 modifica]Giudiziosamente, dice il traduttore inglese, viene introdotta la storia d’Aganadeca, perchè grand’uso ne vien fatto nel restante del poema e perchè in gran parte ne produce la catastrofe. Con tutto ciò parmi che questo episodio avrebbe potuto inserirsi molto più opportunamente sul fine del canto dopo la venuta di Fingal, e che sarebbe stato meglio in bocca di Ullino che di Carilo. Ivi il progresso dell’azione, e l’interesse di Fingal la chiamava naturalmente, anzi la rendea necessaria: laddove qui non sembra che un abbellimento senza disegno, e senza conseguenza; e la sua singolar bellezza, perchè non è precisamente a suo luogo, non fa tutto l’effetto che ella potrebbe.
- ↑ [p. 63 modifica]La fredda amarezza di queste parole è più terribile di qualunque dimostrazion di furore. Le passioni determinate prendono un’aria di sedatezza atroce, che non lascia luogo alla speranza.
- ↑ [p. 63 modifica]Conal era stato vivamente punto da Calmar nel consiglio di guerra. Ma l’animo grande di Conal non se ne rammenta, o si vendica con un tratto d’amicizia e di politezza.
- ↑ [p. 63 modifica]Il parlar per sentenze universali ed astratto è proprio dei filosofi, e degli oziosi ragionatori. Gli uomini rozzi ed appassionati singolarizzano, e parlano per sentimenti. Se questa è la qualità più essenziale del vero linguaggio poetico, come vuole il Vico, Ossian è ’l più gran poeta d’ogni altro. Non ve n’ha alcun più ricco di sentimenti, e più scarso di sentenze di lui. La presente è forse l’unica che s’incontri in tutte le sue poesie. Del resto, la sentenza di Calmar sembra assai particolare in bocca d’un uomo che per frutto del suo coraggio avea riportata una ferita mortale. Bisogna che costui non computasse tra i pericoli la morte.
- ↑ [p. 63 modifica]La vittoria di Fingal è dunque certa. Il suo valore maggior d’ogni altro non ammette dubbi. Questo sentimento è d’un gran peso, specialmente in bocca d’un uomo del carattere di Calmar.
- ↑ [p. 63 modifica]La morte di quest’eroe non corrisponde molto alla nostra aspettazione. Dopo l’alta idea che il poeta ci avea fatto concepire del suo valore, s’era in diritto d’attenderne dei prodigi, e di esiger da lui un genere di morte [p. 64 modifica]assai meraviglioso e straordinario. Non occorreva erger tant’alto questo colosso, s'egli dovea cadere con sì poco strepito. Parmi che qui il gran genio di Ossian paghi; come tutti gli altri, il suo tributo all'umanità. Avvertasi per altro che questa è piuttosto una mancanza che un errore. Non v'è nulla di più naturale quanto che un guerriero muoja dalle sue ferite. Ma la nostra immaginazione stende le sue pretensioni molto innanzi. Quando il poeta ha cominciato a sollecitarla, ella si lusinga che il suo diletto debba andar sempre crescendo. Il dono del poeta divien dovere. Quanto più ella è soddisfatta, tanto pretende di più; e s’egli non giunge ad appagarla pienamente, ella quasi gli sa mal grado anche dei diletti antecedenti.
- ↑ [p. 64 modifica]La condotta del poeta mi sembra in questo luogo di così meraviglioso artifizio, che ben merita i riflessi di tutte le persone di gusto. Cucullino avea perduta la battaglia, non per mancanza di valor personale, ma per la scarsezza della sue truppe. Questa taccia d’inferiorità, benchè senza sua colpa, doveva esser insoffribile ad un eroe, come Cucullino. Egli tenta dunque di risarcir il suo onore con un colpo grande ed ardito. Pensa d’andar solo incontro all’armata di Svarano, non già colla speranza di porla in rotta, ma col pensiero di combatter corpo a corpo col suo nemico, di vincerlo, o di morire gloriosamente. Ma qual doveva esser l’esito di questa battaglia? Se vince Svarano, la gloria di Cucullino resta offuscata, e un eroe virtuoso ed amabile è sacrificato ad un brutale. Se la vittoria si dichiara per Cucullino, la venuta di Fingal è inutile. Sembrava inevitabile l’inciampare in uno di questi due scogli. Ossian seppe scansarli felicemente ambedue con una destrezza che non può ammirarsi abbastanza. Cucullino sta per azzuffarsi, comparisce Fingal, Svarano vola, pianta Cucullino; e questi si trova improvvisamente solo e deluso, senza poter far prova di sè, nè ottener la consolazion della morte. Con ciò si cagiona una gran sorpresa in chi ascolta, e si salvano tutti i riguardi. L’onor del trionfo sopra Svarano si riserba intatto per Fingal. Cucullino non perde nulla dal canto della gloria, ed acquista infinitamente da quello dell’interesse. Bisognerebbe esser privo di sentimento, per non esser commosso insino all’anima dal suo patetico lamento. La vergogna ch’egli ha di presentarsi innanzi a Fingal, la commiserazione de’ suoi amici morti in battaglia, la deplorazione della sua fama, il suo tenero addio alla sposa lontana formano un nuovo genere di patetico, un misto di mirabile e compassionevole che ci intenerisce e c’incanta. Infine quest’eroe sventurato non potendo soffrire il suo appreso disonore, va a nascondersi [p. 65 modifica]in una grotta. Ciò mette ii colmo della finezza dell’artifizio del poeta. Questa risoluzione toccante all’estremo grado rimove il confronto pericoloso fra i due eroi principali. La scena resta vuota per Fingal. Cucullino parte, e porta seco i nostri affetti: resta Fingal a riempirci lo spirito.
- ↑ [p. 65 modifica]Il carattere di Fingal è uno de’ più perfetti che sia mai stato immaginato da verun poeta, e forse a certi riguardi egli è più perfetto d’ogni altro. La perfezione morale dei caratteri è diversa dalla poetica. Consiste la prima in un aggregato delle più belle qualità; la seconda nell’idea astratta ed universale d’una qualità o buona o viziosa applicata ad un personaggio. Quand'io dico che il carattere di Fingal è perfetto, intendo non solo di quest’ultima perfezione, ma specialmente della prima. La perfezione, ossia l’eroismo di Fingal è d’una specie particolare, e pressochè unica. Il distintivo specifico di questo carattere è l’umanità. Fingal è acceso dall’entusiasmo di gloria, ma non vagheggia altra gloria che quella acquistata per mezzo d'imprese benefiche; non perniciose e funeste. Benchè sia il più grande de’ guerrieri, non ama però la guerra; anzi compiange più d’una volta sè stesso d’esser costretto a passar la vita tra le stragi. Egli non combatte mai che per difesa propria, o dell’innocenza: e cerca di vincere ancor più colla generosità che coll’armi. È grande, non strano; forte, non duro; sensibilissimo senza esser debole: amantissimo dei suoi, cortesissimo verso gli estranei, amico disinteressato, nemico generoso e clemente. Compassiona gl’infelici, e sente i mali dell’umanità, ma non cede, e si consola col sentimento della sua virtù, e coll’idea della gloria. Io non so se Fingal sia veramente padre di Ossian, o figlio della sua fantasia. È credibile che la natura e il poeta abbiano gareggiato in formarlo. Comunque siasi, un tal carattere è glorioso all'umanità e alla poesia. Omero è un gran ritrattista. Le sue copie sono eccellenti, ma i suoi originali non hanno nulla di comune con Fingal.
- ↑ [p. 65 modifica]Ecco il primo tratto dell'umanita di Fingal. Vede il suo nemico, ma non lo conosce per tale: non iscorge in lui che il fratello della sua amata; e la tenerezza che Svarano avea mostrato per la sorella gli fa dimenticare la di lui feroce natura.
- ↑ [p. 65 modifica]Parrà forse ad alcuni che questa tenerezza di Svarano mal s’accordi col suo selvaggio carattere. Ma l’affetto domestico non è mai più forte che nello stato primitivo di società. I selvaggi americani, crudelissimi contro i nemici, hanno per i lor congiunti un trasporto sorprendente. E quanto alle lagrime, la forza d’un carattere selvaggio non consiste nel superar le passioni, ma nel
- ↑ [p. 66 modifica]Ossian non è solo poeta, ma uno del principali attori del suo soggetto. Ciò mette nelle sue narrazioni un calore ed un interesse, che non può trovarsi nell’opere degli altri poeti, per quanto eccellenti essi sieno. Alla descrizione delle sue prodezze giovanili egli fa sempre succedere la commiserazione dell’infelice stato della sua vecchiezza: e questo contrasto patetico fa un massimo effetto.
- ↑ [p. 66 modifica]La descrizione di questa battaglia è molto più breve delle antecedenti. Svarano e Cucullino erano pari in valore, perciò la vittoria dovea disputersi più a lungo. Ma Fingal era superiore al paragone. La brevità della descrizione mostra la maggior felicità della vittoria.
- ↑ [p. 66 modifica]Questa conversazione è molto ben collocata e toccante. Ella spira virtù ed amor domestico. Oscar è un giovine amabile, pieno di tenerezza per il padre, e d’entusiasmo per l’avo, che arde di desiderio di rendersi degno d’entrambi. Fingal si compiace della sua generosa indole, e gli dà le lezioni del vero eroismo. Che bel soggetto per un quadro! Fingal in mezzo, appoggiato sullo scudo in atto di ammaestrar il nipote: i cantori stan con le mani sospese sull’arpa per ascoltarlo. Gli altri eroi siedono per ordine con diversi atteggiamenti d’ammirazione, più sedata nei guerrieri provetti, nei giovani più vivace. Gaulo in disparte, pensoso ed alquanto torbido. Oscar in piedi dirimpetto a Fingal, pendente dalla sua bocca, con la gioja e’l trasporto dipinto sul volto: ed Ossian tra l’uno e l’altro con la lagrima all’occhio, e diviso tra l’ammirazione del padre, e la tenera compiacenza pel figlio.
- ↑ [p. 66 modifica]Fingal era figlio di Comal. È cosa degna d’osservazione, che Fingal, il quale fa sempre l’elogio di Tremmor e di Tratal, suoi progenitori, non fa mai alcuna menzion di suo padre. Parmi che la spiegazione sia questa. Da qualche luogo di questi poemi apparisce, che Comal fosse un guerriero soverchiamente feroce. Ciò basta perchè l'umanità di Fingal non possa molto compiacersi della gloria paterna. Egli ricopre il nome del padre in un silenzio ch’equivale ad una rispettosa condanna.
- ↑ [p. 66 modifica]Parrebbe che Fingal avesse proposto questa sua impresa giovanile come un esempio da imitarsi: ma da queste parole sembra piuttosto ch’egli non se ne compiaccia gran fatto. Non si scorge per altro chiaramente sotto qual vista egli disapprovi la sua condotta. Forse gli sembrerà imprudente la sua soverchia fiducia, per cui egli non permise che la donzella si nascondesse in [p. 67 modifica]qualche grotta, e trascurò le cautele per assicurarla. È certo che egli fu inescusabile, ma non è molto più scusabile Ossian d’avere scelto a preferenza una storia di tal fatta, per farla il soggetto delle sue lezioni d’eroismo benefico dato al nipote. Era questa molto propria per dare ai lettori o ascoltatori un'idea ben augurata delle imprese cavalleresche di quell’eroe? Aggiungo ch’ella non quadra bene nè co’ sentimenti precedenti di Fingal, nè colla moralità ch’egli ne deduce. Fingal avea detto di sopra che il suo braccio fu sempre schermo degl’infelici, e che posarono sempre sicuri dietro il lampo della sua spada. Chi non avrebbe aspettato in conferma di ciò l’esempio di un’impresa fortunata di questo genere? Non fu ella ben sicura la povera Fainasilla all’ombra della spada di Fingal. Qual è poi la sentenza ch’ei cava da un tal fatto per l’istruzione d’Oscar? Ch’egli non imiti la gioventù, ma la vecchiezza dell’avo: che non vada mai in traccia di battaglie, nè le ricusi quando gli vengono intorno. Ma in quest’azione non può dirsi che avesse cercata la battaglia, nè egli potrebbe condannar sè stesso per ciò, senza contraddire alla sua massima di dar soccorso agl’infelici. Farei io torto al signor Macpherson se osassi dubitare che questo episodio, cantato forse isolatamente, fosse come tanti altri, appiccato con qualche inavvedutezza ad un luogo non suo? Se ciò non vuol credersi, converrà che lo spirito d’Ossian nella scelta e collocazione di quest’avventura si risentisse alquanto delle nebbie caledonie.
- ↑ [p. 67 modifica]Il carattere di Gaulo ha qualche cosa di vizioso. Il suo entusiasmo di gloria non è interamente puro. Il suo coraggio s’accosta alla presunzione. Par ch’ei voglia gareggiar di gloria con Fingal. Con questa tinta caricata Ossian diversifica questo carattere dagli altri di simil genere, fa spiccar maggiormente la generosità e la politezza di Fingal, ed eccita grande aspettazione per la battaglia seguente.
- ↑ [p. 67 modifica]Si può lodare con più finezza? Questo è un panegirico in aria di lamento.
- ↑ [p. 67 modifica]Il poeta ci prepara al sogno di Fingal nel canto seguente. Veggasi se questo non sarebbe stato luogo opportuno per l’episodio d’Aganadeca.