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In occasione della festa nazionale celebrata in Milano il giorno 16 Giugno 1803, anno II della Repubblica Italiana.


ODE


 
Fior di mia gioventute,
  Tu se’ morto, nè magico
  Carme, ahi! più ti ravviva, o fior gentile:
  E tu, cara Salute,
  5Tu pur mi fuggi, e vendichi
  Nel rio novembre le follíe d’aprile.
  Deh riedi, o Dea; perdona
  Antiche onte, e votiva
  T’appenderò corona
  10Di fior che l’aure di Brïanza edùcano,
  O del Lambro la riva.

Piacciati a’ miei desiri
  Sol di tanto sorridere
  Che porre un inno sulla lira io possa;
  15Inno, che gaudio spiri,
  E il cor tocchi dell’Itala
  Donna, due volte a libertà riscossa.
  Dono d’amico Dio
  Riede, e d’auro ha le chiome
  20Il dì che patria anch’io
  M’ebbi, e soave mi suonò nell’anima
  Di cittadino il nome.

Nome sacro, onorato,
  Che tutti abbracci e temperi
  25Dell’uom dritti e doveri in armonía,
  Onde forza ha lo Stato,
  E per alterni vincoli
  La consonanza socïal si cría;
  Fra i superbi tu suoni
  30Stolta cosa abborrita,
  E terror metti ai troni:
  Ma di te sol s’adorna ogni magnanimo,
  A cui la patria è vita.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

E con gioia crudele
  35Seguendo sull’atlantica
  Onda le folte caledonie antenne,
  Alle perfide vele
  Pregan contro la gallica
  Virtù propizie d’Aquilon le penne.
  40Re de’ venti, percoti
  L’infide prore, e sferra
  Gli Euri sonanti e i Noti;
  E tu dell’onde imperator, tu vindice
  Scotitor della terra,

45D’ambrosia rugiadosi
  Dalle stalle etïopiche
  Traggi i verdi cavalli, e col tridente,
  Dei Telchini operosi
  Fabbricato all’incudine,
  50Svelli, sommergi, Enosigéo possente ,
  La grifagna Albïone.
  Assai del nostro danno
  Crebbe avaro ladrone,
  Che dalle nasse alzossi e dalla burchia
  55Dell’Europa tiranno.

Falsar, mentire, ai patti
  Romper fede e sospendere,
  Qual merce in libra, della terra il pianto:
  Acquistar per misfatti
  60Possanza infame, e al punico
  Corsal rapire di perfidia il vanto;
  Ecco l’arte e gl’ingegni
  Della sleal, che il Franco
  Valor sfida e gli sdegni
  65Del gran Guerriero, a cui già compra e medita
  Ferro assassin nel fianco.

Spegneasi al dolce canto
  Della tebana cetera
  Il rovente di Giove eterno strale,
  70E sullo scettro intanto
  L’aquila assisa in placido
  Sonno i grand’occhi declinava e l’ale.
  Delle mie corde al suono
  Prego l’ira si svegli
  75Del celto Giove e il tuono,
  Fin che col Russo alfin rabbuffi all’anglica
  Mercatrice i capegli.

Gravar l’empia si spera
  La terra e il mar, che libero
  80A tutti ondeggia, di servil catena;
  E già selvosa e nera
  Di sue tonanti roveri
  Mugge l’adriaca Teti e la tirrena.
  Ma di tal padre è nata
  85L’italica Donzella,
  Che con rigoglio guata
  I suoi perigli, e ride e danza al fremere
  Dell’inglese procella.

Ve’ che saltante ed ebra
  90D’alta letizia il candido
  Natal suo giorno con palestre e ludi
  Banchettando celébra,
  Cui dan l’Arti e l’olimpiche
  Muse la norma, e Aglaia e i Piacer nudi.
  95Nè fra i canti e la polve
  Circense il rilucente
  Brando dal fianco solve:
  Di Marengo ella nacque in mezzo ai fulmini,
  E il padre in cor si sente.

100Tale, allor che con guerra
  Temeraria tentarono
  Turbar Giove, e rapirgli il lampo e il tuono
  I figli della Terra
  Congiurati a rescindere
  105Del ciel le mura ed il Saturnio trono,
  Romoreggiando fuora
  Del divin capo, allegra
  E nell’armi sonora
  Balzò Minerva, e la paterna folgore
  110Vibrò secura in Flegra.

Poi del sangue già tersa
  Degli squarciati Anguipedi
  Col gran padre esultando al ciel saliva.
  Di calda strage aspersa,
  115 L’asta frattanto e l’egida
  Lavan cantando sull’Inachia riva
  Di Pelasgo le figlie;
  Mentre ancor polverose,
  E sciolte l’auree briglie,
  120II trifoglio erettéo pascon le vergini
  Puledre bellicose.

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