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I
Pugnai, già tempo, audace cavaliere dell'Idea, 
Per selve immani, tra ferrigne genti:
Sibilava calcata la fosca idra plebea,
L'odio avventava i suoi freddi serpenti.
5Schivo di fatue gare e di trionfi brevi,
La morte agli occhi e la vittoria in core,
Tal fiamma ai venti io crebbi: e tu mi sorridevi 
O Libertà, mio  prepotente amore.
Di giustizia affamato, sitibondo di vero,
10Ne le gelose irruppi aule divine, 
Crudel come un selvaggio, come un asceta austero,
Ebbro di sacrifizi e di ruine.
Ora più saggio, o meno a la mia pace avverso, 
O dolci campi, a voi tornare intendo,
15E alla natia parete il bronzeo usbergo e il terso 
Acciar, di sangue non digiuno, appendo.
Ma non però dei tuoi regni immemore posa 
Vago d'umili obietti il mio pensiero,
O  divina Utopia, Candida nebulosa,
20Dal cui fecondo sen pullula il vero.
II
Questo mirabile brano incompiuto forse il Rapisardi aveva in animo di aggiungere al suo poemetto «La Cometa», che fa parte del suo ultimo libro di poesia L'Asceta, ov'egli attinse i culmini estremi della pura bellezza classica.
Ma non dispersa con la terra insieme 
(O verità, nella tua fede il  giuro) 
Andrà  de le incolpate anime il seme.
Ecco, dinanzi a me l'invido muro, 
5Che a le inferme pupille il ver contende, 
Ruina, ed al pensier s'apre il futuro.
Come libere van fuor dall'orrende 
Chiostre le note d'un virgineo canto 
Al cor che più le aspetta e le comprende,
10Così  dai covi dell'errore  il  santo 
Stuolo   uscir  miro in un'eterea sede 
Ov'è estranea la colpa e ignoto il pianto.
E  qual sobrio villano, allor che vede 
Soffice a l'acque tempestive il suolo, 
15Semina il pane e nel ricolto ha fede;
Tal vibrato  dal padre Etere, a volo 
Sorge alle case d'un miglior pianeta 
E là cresce in virtù l'inclito stuolo.
Oh giocondi lavori, oh messe lieta 
20Che  natura  apparecchia  a l'innocente 
Cor che di pace e di giustizia asseta!
Rinnovata di novella mente 
Sorger vedo e fiorire all'aura nova 
Da' novi solchi la mortal semente:
25In un pensiero, in una lingua, a prova, 
D'armi non già ma d'arti utili e buone, 
Vincer gl'inciampi e oprar quanto più giova:
Libero e puro in su l'industre agone 
Librarsi il genio a cui dan grido e forza, 
30Con amore « virtù, dritto e ragione.
Col dir soave ei la terrestre scorza, 
S'altra ne resti a la redenta prole, 
Svelle  da' petti e  a ben  oprar li sforza.
Vien con lui la Bella, splendida al sole, 
35Benigna dea che di suoi rosei stami 
Lega i cori ed indìa chi più la cole:
Sorgon l'arti benigne a' suoi richiami 
E in generosa gara arditi e presti 
Ardon gl'ingegni che parean più grami.
40Siate buoni, ella  dice,  ognor funesti 
Vivono i forti a cui bontà non ride...