< Gazzetta Musicale di Milano, 1842
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N. 13 - 27 marzo 1842
N. 12 N. 14

GAZZETTA MUSICALE

N. 13

DOMENICA
28 marzo 1842.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.


AVVERTIMENTO I signori associati a questa Gazzetta invitati ad inscriversi o già inscritti ad un solo trimestre, non dando al nostro Ufficio verun avviso in contrario, continueranno a ricevere i fogli e i loro nomi verrannoconservati nel catalogo delle associazioni in corso, sino al fi riir del semestre. L’incaricato dell’Ufficio. Carlo Z,ascosi. CRITICA MUSICALE. CRISTO Ali MONTE OMVETO. Oratorio ili E. Vm Ui i iiiovia. eseguito la mattina del 20 eorr. nella gran sala dell’#. Mt. Conservatorio. fon sappiamo indurci a sottoscrifivere pienamente alla sentenza lìgdel sig. Fétis, al quale la partiazione di Beethoven, Il Cristo oli Oliveto^ sembra sparsa di una tinta fredda e monotona ch’ei dice essere effetto di una soverchia elaborazione scentilica (1). Certo è che noi pure non vi abbiamo trovata quella ridondanza di frasi cantabili, quella ricca vena di vocali locuzioni che noi italiani amiamo a buon dritto riscontrare in ogni componimento musicale; ma chi voglia farsi ragione della natura del soggetto intorno al quale prese Beethoven a spendere le sue fantasie, di leggeri troverà a scusarlo della povertà di periodi a ritmi melodici e (quadrettati (per servirci di una parola dell’uso) che se con effetto gradevole si sporgono nel pezzi scenici destinati a colpire i sensi della moltitudine radunata ne’ teatri, troppo arrischiano di imprimere un carattere di impropria volgarità alle composizioni che denno supporsi dedicate ad uditori più raccolti e desiderosi di severe emozioni anziché di sensazioni piacevoli e di molli velicamente Trattavasi di pennelleggiare coi mirabili colori della musica il gran quadro del divino sagrificio; il tìglio di Dio in atto di offrire i suoi patimenti al supremo volere che il destinava all"umano riscatto. Per una sì grande e solenne pittura era mestieri che il compositore si valesse di tutte le più ardite e vigorose risorse della sua arte. La melodia col prestigio de’suoi vezzi, colle dolcezze de’ suoi aggraziati sviluppi poteva ben riguardarsi come uno de’migliori mezzi (1) Vedi Dictionnaire universel des musiciens. di effetto, ma non come il solo, e meno poi come il principale. Un maestro dotato di vena melodica più di quanta ne possegga Beethoven, ma non forte della maschia e veramente poetica sua intelligenza, avrebbe con poca difficoltà ornate le parti cantanti di Cristo e del Serafino ili cantabili soavi, di gentili sortite vocali: i cori degli angioli, trattali alla foggia usitata da molti moderni compositori da teatro, sarebbersi svolti con più rotondi e simetrici giri di frasi; i ritornelli, i passi di carattere e fors’anco le cabalette non avrebbero mancato di gettare qua e là quei cari sprazzi di melodia che tanto allettano nel centoni accademici e riescono sì belli anche ridotti per ghitarra o aggiustati sugli organi che girano per le strade; ma poi che sarebbe stato del severo carattere proprio al grandioso tema del componimento? in quale modo il più solenne fatto che ricordino le sacre carte sarebbe stato interpretato dall’artista, cui è principale obbligo di subordinare nelle sue creazioni gli slanci dell’invenzione ai dettami della filosofia se pur vuole che rimangano a monumento del suo genio e non si confondano colle opere che la moda oggi corona di entusiasmo, dimani dimentica o sprezza? Però, sebbene Beethoven in questo suo Oratorio non isfoggi esuberanza di cantilene soavi e di ben contornati e simetrici periodi, non manca di vive, colorite ed effettive modulazioni le quali sviluppandosi con perspicua finezza, e le une alle altre succedendosi e tra esse intrecciandosi con bene mascherate soture e con peregrini inganni e transizioni armoniche, imprimono al linguaggio degli alletti quell’ùria di ineffabile serenità e grandezza che sola conviensi alla divina natura de’ personaggi della breve azione drammatica. E a nostro credere è poi suprema i’arte del compositore in questo che i modi del fraseggiare applicati all’uno, all’altro e all’altro di essi personaggi, il Cristo, il Serafino, il San Pietro, recano una impronta sì speciale che facile riesce l’indovinare da essa sola quale diverso modo d azione essi abbiano nella sacra rappresentazione. Si osservi, a cagion d’esempio, con quale gastigata e affettuosa serenità si manifesti, nell’indole grave e a un tempo patetica delle modulazioni, il carattere del divino Redentore, tutto sublime rassegnazione e mistica tristezza; e per contrapposto con quale effusione celestiale esprima il Serafino i suoi sentimenti di adorazione verso la suprema virtù del figlio di Dio; con quanta aggiustatezza e sobrietà di accenti si dipinga il contrasto degli affelli da cui è commosso il coro degli angioli nell’aspettazione dell innenarrabile sagrifizio! Né si dica che il nostro soverchio entusiasmo pel genio pittoresco di Beethoven scuota il nostro spirito al punto di farci sentire più di quanto il compositore o volle o seppe manifestare. Noi siamo certi che non potrà non essere del nostro avviso ogni uditore dotato di non volgare animo il quale si faccia ad ascoltare il sacro componimento con una indipendenza di giudizio che escluda ogni veleità di pedantesco confronto o di approssimazione con altre musiche della giornata, e si concentri a debitamente comprenderne le ispirazioni sublimi. Per l’altra specie di uditori la musica di Beethoven è parola morta. Ma finora non abbiamo tenuto discorso che delia parte melodica di questa partitura, ossia di ciò che più propriamente serve alla espressione degli affetti diversi onde sono compresi i pochi personaggi della succinta ma solenne azione. Ne rimane da osservare con quale magisterosovrano il sommo compositore, mercé il sapiente uso dell’orchestra, avvalorato dai più eletti tesori dell’armonia, ottenesse di far compiuta la svariata pittura in tutte le sue manifestazioni non psicologiche, in quelle cioè, che sono meglio destinate a colpire la fantasia anziché a toccare il cuore. - E in quésta parte, per quanto culto noi italiani siam tratti a dedicare ai nostri sommi compositori, Beethoven va messo al dissopra di tutti. Ben s’appose quell’arguto critico tedesco il quale, raffigurando a foggia di una piramide la scienza stromentale, disse esserne Ilaydn il piedestallo; somigliò Mozart al corpo della piramide stessa, ed il grande autore del Fidelio^ Beethoven, al culmine; e aggiunse che, guai a chi voglia spingersi più alto! el corre pericolo di precipitare e fiaccarsi. E per vero, la potente dottrina di ritrarre colle risorse dell’orchestra i possibili fenomeni fisici e morali, ossia di eccitare in modo lo spirito dell’uditore che abbiano a svegliarsi in esso le emozioni poco men che medesime, ove di que’ fenomeni fosse o spettatore o partecipe, nessuno più in là di Beethoven potè vantare finora. E questo noi affermiamo non tanto fondati sul giudizio de’ più dotti scrittori di cose musicali, ma ed anche pel profondo commovimento che di fresco provammo ai sentire l’Oratorio di cui teniam discorso. In esso, ogni idea di artifizio scentifico o di ingegnosa collocazione e intreccio di parti è in certo modo assorbita da un mi sto fli impressioni, le quali le une alle al^ Ire avvicendandosi o tra esse compenetrandosi, servono a far compiuta un illusione poco men che perfetta; e, mirabil cosa! senza sussidio di apparato o finzione teatrale. costringono quasi gli ocelli della nostra mente a raffigurarci dipinta dinanzi la scena, e per poco non ci forzano a credercene reali spettatori. Acciocché non si dica che noi esageriamo, ne sia lecito ricordare, per solo esempio tra molti, il magnifico pezzo stromentale che con mirabile insieme si annesta al coro de1 guerrieri giudei accorrenti in cerca del Nazareno nei mesti silenzi del monte, e bramosi di farlo prigione e trascinarlo in catene agli insulti, ai patimenti e alla morte. Un non so che di truce e di selvaggio ci ritrae quel breve componimento ■, e ad un tempo, mercè i misurati ed or lenti, ora incalzanti rintocchi dei timpani, e il reboato delle trombe e il rombar sordo degli stromenti d’arco e de’bassi, sembravi quasi udir suonare i pesanti lor passi pei tortuosi sentieri, e distinguere il mal represso fremito della loro ferocia soldatesca; indi il coro dei discepoli di Cristo si intreccia a queste pittoresche e vibrate armonie, e i lamentosi accenti eli qne1 miseri, e il terrore ond’ei sono compresi alla minaccia della paventata catastrofe, emergono dal contesto stromentale con si profonda sapienza di effetto e con si giusta imitazione artistica che ogni parola vien meno all’alto soggetto. Ma la sacrilega mano dei satelliti di Gaifa già si impose sulle divine membra; l inl’ame oltraggio è consumato. Le patetiche e a un tempo serene modulazioni colle quali il Cristo esulta, nel suo dolore, ilei trionfo da lui ottenuto sullo spirito del male rivelano la sovrana filosofia del compositore che seppe spargere di eletta soavità i suoi canti senza d’un punto dimenticare il carattere della sacra composizione, nè ricorrere a volgari e profane melodie. Preparata con poche battute di maestoso, nelle quali spiccano mirabilmente alcune note risentite delle trombe e dei corni, irrompe subito dopo sulf ultima stroffa, con improviso scoppio stromentale, la fuga, nella quale il coro degli angioli si effonde a manifestare il giubilo delle divine schiere per la vittoria riportata dal cielo sull’inferno. E stupenda in questo Osanna la ricchezza delle modulazioni e delle peregrine armonie che tutte collimano a trasportare lo spirito dell uditore in una nuova e più pura regione di emozioni e con somma potenza di effetto chiudono il sacro poema musicale. Troppo rade volte si offrono tra noi le occasioni di udire simili capolavori perchè non sia nostro dovere il commendare a nome dei buoni cultori della musica lo zelo dei valenti professori ed allievi che nella gran sala dell’I. R. Conservatorio eseguirono la mattina della scorsa domenica questo magnifico Oratorio Beethoveniano. Nella parte stromentale l’esecuzione fu qual poteva desiderarsi da un’orchestra poco men che perfetta e intelligente; nella; vocale si distinsero i giovani alunni cui furono affidate le parti principali: di Cristo, i Manzocchi Luigi; del Serafino, Cella Giuseppina; di san Pietro, Bartolommeo Gandini. - 1 cori non mancarono di beninsieme. Lo slancio, la giusta alternativa de" piani e dei forti, la precisione di colorito e di accordo di tutte le voci,sono pregi che di rado ponilo j vantarsi dalle più provette masse corali dei grandi teatri; e nondimeno nella mattinata musicale di cui parliamo furono più volte lodati con vera compiacenza. A raffronto del grande favore che gode in Italia la musica teatrale, e della facilità colla quale alla buona, alla cattiva e alla mediocre accordasi il medesimo entusiasmo, è troppo poco l’amore che si ha per le classiche composizioni de’ grandi maestri che nel vasto campo dell" arte si innalzano come fari di luce ad additare la giusta via a chi vuol mirare alla vera gloria e non si cura degli ingannevoli clamorosi applausi della turba. Non potrà pertanto encomiarsi abbastanza il senno e il buon volere di coloro che presiedono all insegnamento del nostro Conservatorio, se non punto allucinati dalle capricciose esigenze della moda, si propongono di ripetere più spesso che non per lo innanzi gli esempli di un culto sincero ed effettivo ai più perfetti e severi modelli. B. QUESTIONI MUSICALI Della falsa accusa di {(lamio data a Rousseau dal gig. Castil-Blaze. Un’acerba polemica ferve presentemente fra i due giornali parigini la France Musicale e la Gazelte Musicale suscitata dal sig. Castil-Blaze, il quale in un suo lungo articolo inserito al N. 8 della Frane,e Musicale pretende di togliere il vanto a Gian Giacomo Rousseau d’avere scritto la musica dell’Opera buffa le Devili dii Fillage, appoggiandosi a viete e smentite dicerie degli invidiosi contemporanei, e a tradizioni foggiate da lui non meno con evidente malizia che con pazzo astio contro il nome del filosofo di Ginevra. Noi ci saremmo leggermente rimasti d’intrattenere i nostri lettori sopra un fatto quale è questo di critica musicale poco per sè importante, e molto ridicolo pel modo onde lo tratta il sig. Castil-Blaze; ma avendo veduto che uno de’ nostri giornali milanesi di teatro (0 ha riportato tradotto per esteso l’articolo suddetto, non curandosi di farci sopra alcuna osservazione, noi ci siamo tenuti in dovere di rendere qui conto di questa polemica curiosa, mettendo in chiaro quanto saviamente il signor Emilio di Ghambrye ha osservato (2) confutando lo scritto del CastilBlaze. Le Devili da Fillage, Opera en un acte, paroles de J. J. Rousseau, citoyen de Genève, rnusique de Granet, citoyen de Lyon. - Ecco come è intitolato l’articolo del signor avvocato Castil-Blaze. I fatti poi che egli viene scaltramente foggiando in appoggio alla sua discoperta sono del tenore seguente: Rousseau passando da Lione fece amicizia con Granet, e gli promise un libretto d’Opera; attenendogli la parola, gli inviò un piccolo dramma intitolato le Devili dii Lillage, che Granet rese in musica ed inviò a Parigi diretto a monsieur Rousseau. A Parisi, dice il sig. Castil-Blaze, tanti sono i Rousseau quanti i Lefèvre, i Martin e i Robert. Però per isbaglio quella partitura venne in mano di un certo Rousseau letterato giornalista e intendente di musica, il quale aperto il piego, esaminò il lavoro che molto gli piacque, e fattolo vedere al sig. di Beìlissent uno de’ conservatori della Regia Biblioteca, conobbe non poter essere a lui diletto, tanto più (t) Il Pirata X. 75 - tS.42. (2) Revne et Gazetfe musicale de Paris. dS42 - X. 9. che in una lettera accompagnatoria era fatta menzione del libretto. Fu adunque il piego e la lettera inviata alla sua vera destinazione, a Rousseau il filosofo di Ginevra. Quest’Opera fu rappresentata la prima volta nel palagio di Versailles, ove molto pia.cque, onde il signor de la Vaupalière che primo 1 aveva da Rousseau comprata, pagandogliene franchi 6000, la presentò alla Regia Accademia di musica perchè ivi fosse ammessa e fatta rappresentare. Intanto che quel severo, difficile e invidioso tribunale metteva tempo in mezzo ad approvare quell’Opera. come è suo costume anche al presente, Granet venne a morte, e Rousseau, veggendosi di poterlo fare, si proclamò autore del libretto e della musica del Devili du l illage. Intraprese le prove, s’incominciò a mormorare che quella musica non fosse altrimenti di Rousseau; tanto che fattane la rappresentazione che ebbe molto successo, lutti si scatenarono gridando: al plagio, al ladro, e se ne fecero più libelli attribuendo la musica del Devili quale ad uno, quale ad altro maestro. Rousseau indispettito per tanti oltraggi, per provare che desso era l’autore di quella musica ne rifece molti pezzi sulle parole medesime, e fatta rappresentar l’Opera cosi racconcia, fu rimandata colle fischiate del pubblico. Quel signor di Bellisent. al quale il giornalista Rousseau aveva mostrato la partizione originale del Deviti, sentendo il gran rumore che facevano i critici oppositori di Gio. Giacomo, si risovvenne dello scambio accaduto dell’uno per l’altro Rousseau, e del nome di Granet da cui era la lettera sottoscritta. Egli manifestò il fatto di quello scambio, il quale per mera tradizione passato per una buona serie di generazioni e di nomi, è pervenuto sino a un certo Lefèvre dal quale l’apprese il sig. Castil-Blaze. Questo Lefèvre (notisi la circostanza) è morto da poco tempo. Sopra un tale ordine di fatti stabilisce il sig. avvocato Castil-Blaze che 11011 solamente Rousseau non si debba avere per autore della musica del Devia du Fillage, ma ne deriva ancora che sia una illusione il credere che il filosofo Ginevrino abbia mai avuto alcuna buona pratica e cognizione delle cose musicali, e lo viene tacciando d’impudente, di cerretano, e di sfacciato plagiario. E quanto al Dictionnaire de Musique dice che ciascuna pagina è un monumento d’ignoranza dell’arte; e che in quell’opera Rousseau si mostra inetto eziandio a copiare i suoi predecessori. E così con aneddoti fuor di proposito esposti con modi piuttosto francesi che satirici, il sig. Castil-Blaze compie il suo articolo mostrando come Rousseau siastato uomo superbo, vano, ghiottone e pieno di avarizia. Il sig. Emilio di Chambrye nella Revue et Gazette musicale de Paris, prende le difese di Rousseau rispondendo al CastilBlaze; nè meno si mostra pungente contro il suo avversario di quello che questi si sia dimostrato inopportuno e maligno detrattore del grande filosofo. Afferma per tanto altro non essere di vero riguardo alle contestazioni sulla musica del Devin du T’illage, se non che un certo Pietro Rousseau, contemporaneo e nemico del filosofo fu il primo che per invidia spargesse la calunnia di quel plagio, e reca una lettera che un amico del grande Rousseau scrisse all’altro che allora per ischerno era chiamato il piccolo Piousseau, nella quale sono rese prove evidentissime dell insussistenza di quella calunnia, ed è posto in ridicolo quel detrattore, perchè fino allora citava dei testimoni già morti, e allegava documenti che non esistevano. Mostra in oltre che nessuno dei detrattori contemporanei di Rousseau attribuì mai quella musica a Granet. bensì a Grenet e a Grauier, i quali però (per testimonianza di molti fra quali di Préville allora direttore del Gran Teatro di Lyon, di Brizard, di Noverre e di madama Lobreau, che ebbero conoscenza dei detti due maestri Lionesi) mai non ebbero a dire d’aver composto in musica il Deviti dii Pillage. Quanto poi all’essere stata riconosciuta debole o di poco effetto la seconda musica che Rousseau scrisse sulle medesime parole, avverte saviamente il signor di Chambrye che non è da farne alcuna maraviglia essendo oltremodo difficile e pressoché impossibile che le cose buone possano migliorarsi dal medesimo artista che prende a rifonderle sotto altro aspetto; e ne cita esempi luminosi d ogni genere.. Finisce l’osservatore mostrando come il sig. Castil-Blaze sia venuto in proposito di questo già smentito plagio di Rousseau per l’indignazione concepita nel vedersi rifatto dal signor Berlioz il suo grande capolavoro W il lìobin des bois. Così egli per fine indiretto non si è vergognalo di ripescare nel torbido di riprovate e smentite accusazioni di un secolo fa, adulterandole impudentemente, e contrapponendole alla fama d’un uomo grande, con un attentato miserabile che non può risolversi che a scorno di chi l’ha commesso. 11 sig. Castil-Blaze al N. -IO della France Musicale produce un altro articolo ove prosegue a dar nuove taccie alla vita privata di Gio. Giacomo Rousseau, e promette di dar quanto prima novelli schiarimenti e prove del plagio della musica del Devia du Village. Or che diremo noi di una somigliante polemica? Certo è che il racconto del signor Castil-Blaze non ha alcun fondamento di verità perchè, oltre al mancare d’appoggio di convenienti prove, pecca ancora di inverosimile. Perocché, stando al racconto, Granet viveva ancora quando l’opera fu fatta rappresentare da Rousseau a Versailles, quando fu venduta al sig. De la Voupalieie, quando fu presentata all’Accademia per essere approvata. Or come Granet non seppe niente di lutto ciò? E poi quando l’opera fu data a Versailles, la produsse egli BouSseau per sua, o no? Questo dal racconto non si sa. Il sig. Castil-Blaze se non l’ha fatta da storico, doveva almeno farla da avvocato e fra le sue ingegnose invenzioni far luogo a quella che poteva costituire una prova almeno in apparenza sufficiente, e coprir questo vano, che non sarà mai per dargli la causa altro che perduta. Ma egli è certo che Rousseau, quando fece rappresentare il Devm diè la musica per sua. Or come quel Granet che ancor viveva non ne fece alcuna lagnanza? e piuttosto quando si cominciò a mormorare del plagio, perchè non mossero le querele da Lione anziché da Parigi, da’parenti o dagli amici di Granet anziché dai nemici di Rousseau, e dagli invidi membri dell’Accademia? Quello che più è singolare è la discordanza onde i contemporanei detrattori di Rousseau lo accusarono di quel plagio. Uno voleva che quella musica fosse di’ un aliate ifPfà (1) Ciò intendasi detto scherzosamente, dacché è nolo che il Robin tles bois dei signor Castil-Blaze non è die una povera riduzione del Freischutz di Weber anonimo, l’altro pretendeva che una donna ne fosse l’autrice, e Voltaire diceva che quella partizione era stata trovata fra le carte di Gaulthier musicante di Marsiglia. Or come tutte queste contenzioni non cedettero alla rivelazione di quel Bellisent che svelò il gran segreto ch’ei possedeva dello scambio dei nomi? E come può essere che dei tanti detrattori d’allora nessuno si appoggi a questo equivoco, e a questo importante rivelo? Solo al sig. Castil-Blaze era dato dopo novant’anni ingegnosamente trovar modo ili chiarire questo punto di critica musicale rannodando e tessendo una tradizione che non poteva essere a noi trasmessa che dopo la morte di quel Lefèvre che a lui l’aveva confidata. Si perdonerà al sig. Castil-Blaze la menzogna di tante invenzioni, l’animosità dei suoi fini indiretti, e il cumulo di tanti fatti insussistenti, ma chi sarà per perdonargli il temerario ardimento di avere sbollato e posto in derisione un nome sì grande? Noi crederemmo opera perduta il difendere Rousseau dalla taccia datagli d’imperito delle cose musicali del suo tempo, non credendo che essere vi possa alcuno clic voglia dar fede alle ciance del sig. CastilBlaze a preferenza di quanto ne hanno scritto e opinato in ogni tempo i dotti dell’arte. C. M. NECROLOGIA. CHERUBINI. I. Il giorno 15 corrente questo patriarca de’ compositori di musica cessò di vivere in Parigi nella grave età di H2 anni. Non erano ancora trascorsi due mesi ila che egli crasi ritirato dalla direzione di quel Conservatorio ed era stato insignito del titolo di Commendatore dell’ordine della Legion d’onore. Per molti riguardi Cherubini emerse superiore a tutti i maestri dell’epoca, sia che si consideri la durala delP utile e luminosa sua carriera, sia che si ponga mente alla varietà ed importanza de’ suoi lavori. Egli si dedicò al teatro prima di Mozart e tuttavia lo occupava quando già, con tanto danno dell’arte, erasene ritirato Rossini: ottenne distinta gloria nel genere drammatico; meritossi 1 universale estimazione pe’ suoi precetti e per le sue opere didascaliche; si cimentò non senza lode a composizioni per camera del genere severo, e s’innalzò a maestro sovrano della moderna musica sacra. La perdita di Cherubini non potrà non svegliare una dolorosa impressione in tutta Europa musicale. In uno de’prossimi numeri porremo studio a dare un sunto biografico di un artista sì grande, che a buon dritto può annoverarsi tra le maggiori illustrazioni artistiche dell’Italia. — Con uno de’ prossimi fogli si darà uno de’ migliori pezzi del capolavoro di Cherubini Le due giornate, e per comodo de’ signori dilettanti, anche con accompagnamento di pianoforte e col testo tradotto appositamente in versi italiani. Questo pezzo formerà il N. -4.° della nostra Antologia Classica. Giovanni Enrico Màster (Articolo comunicato.) II 17 febbrajo alle ore undici antimeridiano morì in questa città Giovanni Enrico Kùster. Egli era nato in Bùckcburg capitale del Principato di Schaumburg-Lippe ai 44 aprile del 47SO. Fin dalia sua fanciullesca età aveva posto grande amore nell’arte musicale. E con quella ammirabile costanza di volere, con quella coscienziosa sollecitudine, tutta - propria dei Germani, coltivò tino allo stremo di sua vita religiosamente l’arte, ed amò. I,’indomabile desiderio di aggiungere in essa quella sommità che per lui si poteva maggiore, trasselo ancor giovinetto in Italia alia bella scuola del famoso l-’cnaroli, onde sono usciti il Cimarosa, il Guglielmi c il Palma. Degno del gran maestro non tardò a mostrarsi il bramoso discepolo. É tanta perizia nella prediletta arte acquistò e a tale eccellenza pervenne, clic presto si guadagnò c poi conservò sempre l’estimazione universale, e le sincere lodi degl’intendenti. Da Begia Accademia di musica di Stocolina 10 aggregò volentieri fra’ suoi membri. La B. Corte di Torino nel 1814 Io scelse per Maestro di Cappella. Molli Principi vollero da lui apprendere le regole della musica: fra i quali le Auguste Figliuole di S. M. Vittorio Emmanucic Be di Sardegna (t). Il Principe di Assia-Philippstahi per più anni in sua Corte ospitollo e in grande favore lo tenne e mostrosscgli quasi tenero padre. Humboldt, la Stael, Paganini l’ebbero in tanta grazia che, a nessun altro nell’amicizia loro mai lo posposero. Di molti scritti sulla teorica dell’arte sua adornò il Kiistcr varj giornali tedeschi: i quali fanno fede dell’ucutezza del suo ingegno c dei suo raro sapere. In un opuscolo elie mandò per le stampe in Torino nel 4824 sviluppò nuove c profonde vedute sul ritmo musicale, clic furono molto apprezzate (2). Da gran tempo slava egli maturando un’Opera, in cui intendeva di proporre una riforma nei metodo usato di scrivere la musica, trovato da lui, non che da altri valenti uomini, assai imperfetto. La morte lo impedì di condurla a termine. Noi non conosciamo ancora il merito del suo innovamento. Ma molto dovevamo aspettarci dal Kùstcr e molto dovremmo dolerci se i suoi trovati andassero perduti. Nò allo studio indefesso dell’arte sua ristrinse l’attenzione: che anzi volle ornare ii suo spirito di molte lettere, e in ogni maniera di discipline atte a formare la mente sana, lo ingegno solidamente applicò (3). E a questa intellettuale coltura non per ozioso pascolo o passeggiare dilettazione, come tanti fanno, andava egli attendendo: ma saviamente indirizzavala al perfezionamento morale di sé medesimo, per il clic non 6 a stupire s’egli improntò l’animo suo di tante beile e inimitabili virtù. Fu il Blister uomo d’illibati costumi, d’integra vita. Buono, schietto,caritatevole, pio: largo di consigli fedeli, di soccorsi nascosti. I giovani poveri c volonterosi ammaestrava nell’arte sua senz’altro guiderdone clic quello clic gli dava la sua coscienza nel far del bene. Dalla famigliarità dei potenti uscì ( cosa mirabile a dirsi ) intemerato. Un marito e un padre più amante e più riamato di lui avresti dilticilnicnte trovato. Nella cara compagna della sua vita che gli aveva proprio mandata la providenza inspirò ed ebbe quell’alletto per cui era formalo 11 suo cuore. I trentatre anni clic passò con lei furono un continuo ricambio di benevolenza che il tempo anzi che alTievolirc andava sempre più rinforzando. Le loro assidue cd unanimi cure nella buona educazione dei figliuoli erano degnamente ricompensate dalia reverenza e dall’amore di questi. Così il Kùster nella pace e nelle dolcezze della famiglia andava fruendo di quella felicità clic co’ suoi lumi e coila sua industria si aveva egli stesso preparata, quando morte venne a rompere questi teneri nodi. Lunga c dolorosissima sul finire fu la malattia del Kiistcr. Ogni angoscia con rassegnazione veramente cristiana patì: allorché sentì l’ora suprema avvicinarsi rasscrcnossi in viso c palesò l’elTusione di un gaudio ciic non era più terreno. Questi brevi tratti credemmo ufficio nostro di pubblicare: a satisfazionc di coloro che conosciute avendo ie inestimabili doti del Kùster reclamano per lui giusto tributo di laudi: a specchio di quelli in chi i lodati esempi hanno ancora qualche possanza; a conforto dei buoni i quali veggano che morendo essi non muore l’affettuosa memoria delle lorb desiderate virtù. k. a. (t) A queste Principesse insegnò pure la lingua tedesca. (2) L’Opera è intitolata: Dodici Variazioni per Pianoforte in tempi differenti sopra un tema del maestro Gioachino Bossini, precedute da un breve Itaqionamento sul Itilmo. Di essa diede un giudizioso ragguaglio la Gazzella Piemontese nel n." Ìi7 dell’anno ÌS24. (3) Il Jiilster voltò molti libri dall’idioma tedesco in italiano: e n’ebbe lode anche dagli stessi autori. BIBLIOGRAFIA MUSICALE. Biuove ©pere per pianoforte di JF. Ralkbrenker edite «Sa Ricor«li. Se non può negarsi che i pianisti della giornata, perfezionando le parti meccaniche dellarte, hanno dato maggior sonorità, forza e varietà al loro istrumcnto, non si può nè meno dissimulare che l’invenzione eia condotta nelle composizioni presso di essi in questi ultimi anni non han fatto alcun progresso, le variazioni e i polpourri sopra motivi favoriti, altrimenti denominati capricci, o di lenimenti, o più spesso fantasie essendo l’àncora a cui senza scrupoli con riprovevole facilità quasi di continuo si attaccano i compositori per pianoforte ora prediletti dal dilettantismo e dal pubblico, i quali ( tranne ben poche eccezioni ) sembrano paventare di cimentarsi ^ concepire le sonate, i concerti e le vere fantasie. Anche Kalkbrenner, l’illustre continuatore della scuola di Hummel, strascinato dall’impulso della moda, non ha potuto esimersi dal pubblicare varie Opere appartenenti al predetto effimero genere, per le quali il rispettabile di lui nome certamente non ebbe ad acquistare maggior lustro. Infatti uno che si faccia ad esaminare - Souvenirs des Diamans de la Couronne; 3 Fantaisies de Salon - e Fantaisie sur le Guitarrero - vi riscontrerà de’ periodi aggradcvoli per correzione c scorrevolezza, di passi c di portamenti (ciò che non può mai mancare in un lavoro di Kalkbrenner ) sviluppati in modo ben diverso di quello ch’egli usò ne’ migliori suoi componimenti. Nell’isc/io, scritto per VAlbum di Beethoven, nulla trovasi che possa giustiiìcare quel caratteristico titolo; è uno Scherzo come qualunque altro del suo autore, il quale pare averlo composto in tempo di sua giovanezza. Maggior successo degli or citati pezzi di media dillicoltà, senza dubbio è riservato alla - Grande Fantaisie sur le cor des Alpes - in cui devon riuscire di non comune interesse, oltre il patetico tema di Proch, l’elegante e pomposa seconda variazione ed il rondò, ove il sonatore senza troppo affaticarsi s’acquislcrà i caldi suffragi di chi lo sente. / sospiri delVarpa Eolia, consistono in una romanza cd in un notturno atti a suscitare le più dolci sensazioni nelle anime sensibili. La melodia della deliziosa romanza non può esser più soavemente penetrante; ed a questo pezzettino non mancano che parole esprimenti un affettuoso sentimento. 11 notturno poi è marcato a tre righe e può eseguirsi tanto a tre mani, quanto a due con accompagnamento di violino, o flauto, o clarinetto, od anche violoncello. Kalkbrenner però a differenza deila maggior parte dei pianisti moderni, ad alcune produzioni meno plausibili o di poca entità saviamente suole far succedere delle Opere di alta portata, in cui elette inspirazioni sono congiunte al gusto il più delicato e al saper il più profondo. Nuova prova ne sia il Grande Trio per pianoforte, violino e violoncello ( Op. 449 ) nello scorso anno pubblicato e che in Germania c Francia ebbe già tanti ammiratori. - Questo trio, in la >, comincia con un allegro moderato a tempo comune, nel quale il pianoforte tosto propone un’espressiva cantilena,che il violino poco dopo ripete c quindi intervenendo il violoncello gli istromenti si rimandano o connettono delle frasi, de’ passaggi e delle imitazioni altrettanto d’effetto che magistrali, ciò che addoppio si ammira nell’intermezzo in sol fra la prima e la seconda parte di questo primo tempo, nel quale il pianoforte predomina alquanto sugli altri istromenti, massime nelle due ultime pagine, in cui le idee principali vengono variate con brio e vaghezza. - L* animalo movimento del minuetto in la [>, rende più gradito il trio posto nel tuono della quinta inferiore (?*e ) ), in stile legalo, di un appassionata melodia c di modulazioni enarmoniche ben tratteggiate. - 11 violoncello e poi alla quinta battuta il violino aprono la successiva romanza in do, ove è specialmente da notarsi la ripetizione del melodico tema intrecciato fra i due istromenti a guisa di duo con accompagnamento sotto voce di graduati arpeggi del pianoforte. - Nel rondò, allegretto a 3 e 8 pure in la [>, il ritmo n ò franco e vivace; le tre parti sono fra loro con artifizio e chiarezza collegato, e tutti gli strumenti figurano, per cui difficilmente si troverà chi voglia tacciare il motivo di poca novità e distinzione. Questo trio, che può aggradire sì nelle numerose società, che fra un crocchio di intelligenti, è il quinto di Kalkbrenner e per l’incremento dell’arte speriamo che non sarà l’ultimo di questo autore, in singoiar guisa benemerito agli studiosi del pianoforte. SoMreùìir de ita VcstaSe de JfMeren» eSfamte Cr. JL. etite® S5£eor«fii. In uno de’passati giorni abbiamo sentito, insieme ad alcuni lodevoli Studj di Gambini, de’quali brevemente parlammo nel N. 6 di questa Gazzetta, la recente sua fantasia sopra temi della Testale-, composizione che verrebbe ricercata da’ più sicuri dilettanti di pianoforte, se invece del modesto nome di un italiano, la cui fama appena varcò i confini di Genova sua patria, sul frontispizio di essa si leggesse quello di un Thalberg: tanto il Gambini imitò quel pianista tipo nel contesto e ne’dettaglj del difficile e brillante suo pezzo. Noi con questa espressione crediamo fare il più bell’elogio a Gambini e ad un tempo istesso una giusta e moderata critica. Egli non ha bisogno di uniformarsi servilmente a’ modi altrui per quanto questi siano generafmente adottati ed applauditi; e perciò deve cercare di crearsi uno stile proprio, schivo il più che sia possibile da soverchia complicazione e che possa pregiarsi anche per purgata fattura. Le Opere da lui già rese di pubblica ragione ci porgono fondate lusinghe di attendere, che oltre Dhòler, l’Italia abbia in Gambini un nuovo autore i cui lavori possano esser conosciuti ed apprezzati da’ cultori del pianoforte in oltremonte. Del bolognese Golmelfi abbiamo già fatto un ugual voto. Tre pezzi per pianoforte di A. ©e RoaattsRS. Milano, presso danti. Fra noi non crasi ancora pubblicata alcuna Opera di Antonio De Kontski, giovine polacco allievo del Conservatorio di Varsavia, ed appartenente a quella famiglia d’artisti che per più anni eccitò l’ammirazione dell’Europa Settentrionale; e perciò devesi lodare chi ebbe il pensiero di far conoscere pel primo a’ nostri bravi dilettanti e maestri le composizioni per pianoforte di quell’autore, che ora vien festeggiato a Parigi eseguendo egli stesso le opere che l’editore Canti reimpresse, cioè variazioni sopra un duetto della Norma, Fantasia sulla Lucia ed altra Grande Fantasia sopra la romanza, il duetto ed il coro del prologo della Lucrezia Borgia. Questo ultimo pezzo, il cinquantesimo di Kontski, viene da noi preferito siccome più grandioso degli altri due, che pure sono d’cflètto. Non credasi però clic la maniera del nuovo autore sia originale: anche De Kontski è un fortunato imitatore di Thalberg. I. C. li© STARAT MAXEB «li Possisi, «lato a Bologna. (Estratto da una lettera del 2i corrente). a Qui non si è mai assistilo ad una solennità musicale più bella, più imponente e che abbia più profondamente scosso gli uditori, di quella delfesecuzione dello Stabat Mater di Russilii, udita nelle sere 18, 49, e-20 correnté nella gran sala dell’Archiginnasio, che non bastò a contenere la moltitudine di persone ansiose di bearsi de’ nuovi concepimenti rossiniani. E inutile l’accennare di quali strepitose prove di ammirazione e di entusiasmo fosse oggetto il Lione musicale, che parve risvegliarsi dopo un sonno di tredici anni, e che tutto modesto nella sua gloria non volle mostrarsi all’esultante pubblico che con inusitate acclamazioni insisteva per vederlo, onde fu d’uopo che Donizetti, al quale il sommo de’compositori erasi compiaciuto affidare la direziono del nuovo suo capolavoro, comparisse a dire che era assente. Anche nella pubblica via, davanti alla casa del creatore di Teli, in ognuna delle tre sere vi fu gran schiamazzc/ecc. ecc... «11 totale introito ammontante a più di dieci mila franchi, fu destinato a formare una cassa di sovvenzione per coloro che datisi alle cose musicali si trovassero in bisogno} e di questa bell’opera filantropica fu promotore l’istesso Rossini. 66 L’esecuzione dello Stabat tanto nelle sue parti, come nell’insieme non poteva riuscir migliore, e malagevole sarebbe il dire quali de’ dieci pezzi producesse una più forte sensazione. L’introduzione, Xeja Mater, il successivo quartetto (preso in un tempo quasi la metà più adagio di quello marcato nell’edizione con accompagnamento di pianoforte ) e l’altro quartettino a voci sole, deliziosamente commossero per il predominante sentimento religioso che in pieno non avrebbe potuto esser più patetico, celestiale e maestoso. La fuga dagli intelligenti fu considerata degna di coronare la bell’opera di Rossini. Il tenore Ivanoff nel suo a solo sorprese} il Conte Pompeo Belgiojoso, il primo fra i dilettanti di canto d Italia, come giustamente già si asserì nella vostra Gazze/la.rapi tutti gli astanti pel raro talento con cui eseguì il versetto - prò peccatisi - la brava dilettante Clementina Degli Antoni rese con molta bravura la sua cavatina, e Miss Clara Novello nella grande aria s’innalzò all’elevatezza della divina composizione. ì sessantadue suonatori d’orchestra, diretti dal Manetti, e gli ottanta sette coristi, tra i quali noveravansi non pochi dilettanti, gareggiarono co’ principali esecu- | tori nell’interpretare le inspirate note dello i Stabat, la cui istromentazione è una meraviglia, della quale non può formarsi una idea senza averla sentita. 66 Ora Rossini spingerà più oltre le sue escursioni nel genere sacro? Ci rimettiamo al suo insuperato genio». Abbiamo riprodotta questa lettera tal quale ci pervenne. Se v* ha caso in cui le espressioni enfatiche possano essere perdonate esso è quello di certo in cui, in un foglio dedicato in Italia all’Arte musicale, si parli di Rossini. NOTIZIE VARIE STRANIERE. Parigi. - Rivista de’ concerti. - Concerto di ChopinLiszt e Thalberg eccitano de’violenti trasporti; Chopin a nch’esso ne produce, ma di un genere meno energico, meno abbagliante, a motivo ch’egli nel cuore fa vibrare delle corde più intime e delle emozioni più dolci. Il primo imperiosamente fassi ammirare; il secondo incanta colla imponente chiarezza; Chopin promove delle sensazioni che hanno un non so che di più concentrato, di più misterioso e di meno espansivo, ma non’sono però meno deliziose. Le composizioni di questo raro artista hanno tutte fra loro una certa qual rassomiglianza di forme; il pensiero solo varia. Poeta e sopra tutto poeta tenero, Chopin ha per iscopo di far dominare la poesia: eseguisce delle prodigiose difficoltà, ma giammai a danno della sua melodia che aggirasi sempre chiara e possente, eziandio fra il continuo succedersi di modulazioni le più ricercate. Nella sua accademia nelle sale del signor Pleyel, eseguì tre mazurche, genere di musica nazionale eli’ egli si appropriò, facendosi notare siccome tipo; tre studj del suo secondo libro; un preludio, un impromptu, quattro notturni ( fra cui l’incantevole in re bemolle cd il quattordicesimo ) ed in fine la terza ballata, una delle più belle composizioni di Chopin. Nel felice intreccio de’ periodi di quel pezzo altrettanto armonioso che cantabile, regna un caldo sentimento ed una straordinaria vitalità. — Michel Angelo Russo, pianista napoletano che non tocca ancora l’età di dodici anni, col talento e col fare inspirato come lo era Paganini, nella sua accademia eseguì alcuni difficili pezzi di Thalberg e di sua composizione con precisione, nettezza e facilità prodigiosa, interpretando inoltre le melodie con espressione veramente superiore alla sua età. — Il nome di Emilio Pruderti, allievo del Conservatorio di Parigi, pe’mirabili saggi in questo inverno dati della straordinaria sua valentia, fu ad un tratto proclamato degno di esser annoverato fra quelli delle tre o quattro sommità pianistiche del giorno. Egli non si mostrò meno notevole nell’esecuzione, che nella qualità di compositore. Le sue fantasie sul tremolo di Beethoven, sulla Lucia e sul Guglielmo Teli, ed i suoi studj contengono delle cose moilo belle, quand’anche non troppo originali. — C. A. Frank nel suo concerto suonò un pianoforte della rinomata fabbrica di Pape a otto ottave. Noi annunciamo questo fatto, sebbene non siamo inclinati per le innovazioni che non servono a nulla. — In quella capitale non crasi ancor sentito un contrabbassista che al pari del viennese Hindle si fosse cattivato i pubblici suffragi, sul colossale istromcnto sospirando l’elegia e la romanza, brontolando le più astruse variazioni, ed uguagliando la dolcezza del flauto per la soavità de’ suoni armonici. Salisburgo. — Domenica 6 corrente cessò di vivere in questa città nell’età di 77 anni la vedova del celebre Mozart, Costanza Weber, ch’era passata a seconde nozze col consigliere danese Nissen. NOTIZIE ITALIANE. — Napoli. Accademia di musica nel Reale Albergo dei poveri. In quel saggio filarmonico vocale e strumentale a varj brillanti pezzi erano frammisti il VII, e X Salmo di Marcello eseguiti da 450 alunni, un coro delia Creazione di Haydn, un coro di donne ed un finale degli Ugonotti. Per intermezzo fu richiesto il maestro Mercadantc scrivere sopra una gran tabella una parte di canto da cantarsi all’improvviso dagli alunni e invitato un alto ed intelligente personaggio prescrisse che fosse in quattro parti reali. Tutti gli alunni la lessero e la cantarono con tal colorito e buon accordo, che sarebbesi detto averla già maturamente concertata. Gli applausi conceduti a ciascun pezzo, a questa furono clamorosissimi e si volle la replica. Si eseguirono inoltre la sinfonia deYAssedio di Corinto ed un’altra di I/erold. - La nominata musica, a chi comprende, non è da fanciulli, e pure fu da’ fanciulli eseguita in modo che parea venire da uomini provetti nell’arte. Tutti restarono meravigliatissimi, paghi e commossi; e venne naturale la considerazione che esseri orfani od infelici, si son fatti strumenti di utilità, di emulazione, e di gioja alle popolazioni. GIOVAMI RICORDI EDITORE-PROPRIETARIO. Siali’ I. R. Stabilimento Nazionale Privilegiato «li Cfòie®gs*afia, Copisteria e Tipografia Musicale «li GIOVAXAI RICORDI* Contrada degli Om&ioni N* 4720.

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