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DOMENICA |
DI MILANO |
J. J. Rousseau.
RASSEGNA DI OPERE
TEORETICHE.
IL VECCHIO ED IL MODERNO METODO DI CANTO
Preliminari ad un Esame Critico
sul Metodo di Canto di Garcia1.
Ove per caso a taluno cadesse
in mente di dare un’occhiata ai
cataloghi ed a’ supplementi dei
cataloghi di musica che si stampano
sì di frequente non solo
da’ nostri editori ma ed anco all'estero, per
poco ei non sarebbe indotto a credere, non
ad altro che allo studio teoretico, e diremmo
matematico musicale, siasi da qualche anno
dedicato tutto il mondo armonico, sì l’artistico
che il dilettante. E difatti quasi giornalmente
ci viene annunziato o un nuovo
trattato di contrappunto, o una nuova scuola
di canto, o nuovi solfeggi, o nuovi vocalizzi,
o un profluvio di metodi per ogni istrumento,
e troviamo persino i metodi dei metodi. Ma,
lasciando a parte gli scherzi, è fuor di dubbio
che molte e molte di queste opere didattiche
sono fondate sulle più giuste teoriche,
e riescono di sommo giovamento all’arte;
tantochè non si ponno negare gl'immensi
e quasi prodigiosi avanzamenti che fa da
poco più che vent’anni il meccanismo d’esecuzione
istrumentale. I più rigidi e severi
barbassori che non san vedere che continui
deperimenti nell'arte s'accordano con noi
sulla verità di questo fatto incontrastabile.
Dove all'incontro riscontrasi una assoluta
e curiosissima discrepanza di opinioni, egli
è sul progresso dell'arte del canto. Oh qui
i nostri antichi maestroni, i nostri vecchi
cantanti si mettono davvero le mani ne' capelli,
e compiangono altamente i nostri destini
e più ancora quelli che ci sono minacciati
dall’attuale decadimento, o anzi
peggio, dalla presente decisa rovina del canto,
com'essi degnatisi chiamarla. Se da altro
lato osserviamo invece il nostro giovane
moderno dilettantismo, lo vediamo ridersi
di questi omei, e sostenere colle più assolute
e valide ragioni che l’epoca del vero
canto è l'attuale, e che tutto ciò che facevasi
due o tre lustri per lo addietro, tutto
era barocco e ridicolo. Quanto di vero e
di esagerato, epperò di falso siavi in queste
due sì disparate opinioni è ciò che noi
ci proveremo a dimostrare. Ed è nostra intenzione,
per quanto ci sarà possibile, di
osservare e particolarizzare in primo luogo
quali sieno le differenze che distinguono
il canto moderno dal così detto antico (pel
qual antico non intendasi in genere che
quello d’una quindicina o ventina d anni
indietro): poscia, di esaminare le buone e
cattive qualità dell’uno e dell’altro, e per
ultimo di indagare in quale preciso stato
di progresso o decadenza trovisi oggidì
quest’arte, e di stabilire cosa le manchi
e di quali studj abbisogni per toccare quel
perfezionamento cui deve mirare ogni sforzo
dell’artista.
Parrà strano a taluno de’ nostri lettori che per accingerci ad una semplice critica bibliografica, noi vogliamo farci lecita questa digressione; ma per conto nostro riteniamo che per condurci a chiarire lo scopo dell’opera del sig. Garcia, sieno necessarissime queste nostre osservazioni, le quali qui ne piace premettere, a sviluppo anche della nostra qualsiasi opinione.
Non è possibile trovarsi alcun poco in un crocchio di dilettanti musicali, senza che vi accada di udir parlare di canto moderno, e di canto antico, e del tale cantante che ha un bel metodo, e del tal altro che ha un metodo vecchio da non si poter più soffrire, ecc. ecc., come se si trattasse di due foggie di cantare al tutto disparate l'una dall’altra. A nostro modo di vedere, questa differenza di metodi, che sembra sì notabile, tale non appare che per via di alcuni speciali accessorj del canto, e non già per la sua generica essenza. L’essenza del vero canto, il buon cantare insomma, è stato e sarà sempre uno; e il sommo artista di venti, trenta e cinquant'anni fa sarebbe il sommo artista anche del giorno d’oggi (ben inteso, astrazion fatta dal decadimento dei mezzi vocali), come le regole del vero bello son sempre in massima le stesse in ogni arte, per quanto la moda possa mutare di gusto. La moda in tempi di civiltà, per quanto strana pur ella si addimostri, non può esercitare una influenza, nè difatto la esercita, se non se nella varietà, per lo appunto, degli accessorj: ma non mai, lo ripetiamo, intaccherà l’essenza del vero bello, nè a questo sarà insensibile.
Or dunque per quanto ci è possibile, accingiamoci al difficile assunto di venir dettagliando queste differenze, in apparenza sì notevoli, che voglionsi far esistere fra gli esecutori cantanti della scuola del 1820 e quelli del 1840. E per tentare di rendere il più chiaro che ci è dato questo confronto, faremo a guisa de’ medici, operando anatomicamente sul vivo. Spieghiamoci meglio. Non ci pare cosa assurda il porre a tipo e ad esempio de’ due generi suindicati, due artisti luminari, da tutti i pubblici giudicati come grandi, e sui quali appoggeremo le nostre osservazioni. Sieno essi Donzelli e Moriani. Salvo alcune eccezioni che noteremo in appresso, vogliam credere che i nostri amatori non saranno di opinione dalla nostra diversa; riconosceranno cioè in Donzelli il tipo modello dell’artista cantante della scuola di vent'anni fa, in Moriani il tipo modello del cantore moderno: dappoiché tutto il mondo attribuisce a Donzelli il così detto antico metodo, e tutto il mondo accorda a Moriani il moderno. Nondimeno ambi questi artisti contano tante ovazioni, tanti trionfi, e, quel che forse più importa, tante migliaja di franchi, quante son le volte che al pubblico si espongono. Nè vale nemmeno il dire che metà d’una platea ammiri 1'uno, e metà l’altro, che anzi noi stessi abbiamo applauudito [sic] unanimi così alle patetiche note di Edgardo nella Lucia, come ultimamente alle polenti minaccie di Alamiro nel Belisario. Da ciò vogliam rilevare che se questi due generi di canto fossero due davvero e disparati, non potrebbesi porre in dubbio che almeno uno non fosse falso, nè sarebbe lecito supporre che l’ammiratore del primo fosse anche sostenitore del secondo. Egli è dunque da ciò sufficientemente provato che entrambi gli artisti nominati denno essere forniti di ciò che è la vera e sostanziale essenza del bel canto, e che la differenza che notasi in essi e che pure si rileva distinta, vuolsi attribuire a semplici accessorj, sui quali appunto faremo cadere le nostre indagini, persuasi di giudicare colla maggior possibile imparzialità.
Premesso che il vero bello dell'arte del canto consiste nel pieno e gradito sviluppo de’ mezzi vocali, nella perfetta interpretazione delle melodie, nello squisito sentimento drammatico, vale a dire nella giustezza della declamazione, nel retto accentare, ecc. ecc., pregj che non si possono contendere ad ambi i succitati cantanti, procediamo all’esame di questi che noi chiameremo accessorj del canto antico.
E primieramente ci si presenta negli artisti de’ scorsi anni un impiego continuo di quella modificazione di voce, che, come vedrem più lardi, il signor Garcia appella timbro chiuso (timbre sombre, cioè la voix sombreé de’ francesi), e che l’Italia, ne sembra, non ha mai designata d’un nome particolare. Ell'è infatti quella modificazione, o carattere, o timbro vocale, che noi pure vorremo così chiamarlo, il quale succede, allorché il cantante vuol dare volume alla sua voce, e questo ottiene rialzando il velo palatino fino a chiudere affatto l’apertura posteriore delle fosse nasali, ed accanalando la lingua, la quale è tenuta tesa alla sua base dalla laringe, che in questo timbro resta sempre immobile e alquanto più bassa che non nella posizione naturale. La forma che ne ottiene la faringe è cagione di questo maggior volume e rotondezza di suono vocale. Questa modificazione non si ottiene perfetta che sulle vocali e ed o strette, e sulla vocale u. Cantando sulle altre vocali ben chiare è impossibile conservare la forma suindicata all’organo vocale. Questo timbro, che noi ci siamo provati di spiegare, dà alla voce, come abbiamo accennato, un maggior volume, vale a dire un suono imponente, grandioso, pieno, che spinto all’eccesso diventa spesse fiate anche pretenzioso e quasi ridicolo. Questa grandiosità vocale fu grandemente accetta ai nostri cantanti passati, e tutti essi d'accordo, salvo rarissime eccezioni, unicamente adottavano questo timbro, come l’unico adatto alla maestà dell’arte musico-declamatoria. Se non che derivava da ciò il bisogno di una artefazione nella pronunzia delle vocali, alla quale artefazione tanto ci eravamo avvezzati che neppur ci saremmo sognati di supporre che uno di quegli artisti in tutto uno spartito non ci avesse mai fatto sentire un a chiaro, ed un o od un e larghi; eppure era così. Infatti qualunque artifizio di pronunzia, sia in raddolcimento di consonanti, sia in ristringimento di vocali, sia persino nell’introduzione di alcune consonanti o vocali pienamente estranee alle parole sottoposte alla musica, tutto era adoperato allo scopo del maggior volume vocale, al quale unicamente sembravasi aspirare. E vogliamo lusingarci che non ci si griderà alla bestemmia, se asseriamo, cosa in fatto da noi scrupolosamente osservata, che Donzelli, a modo d’esempio, nella sua sortita del Bravo, dove si presenta colle seguenti parole Trascorso è un giorno eterno, ecc.: non altrimenti interpretava che così: Troscuorso è un giuoreno etereno. E più sotto: Par che un nemico Iddio m'abbia sul petto - Nell’ira sua questo pugnal cacciato, che egli precisamente verteva: Por che un nemico Iddiho, m'obbio sul pettmuo nell'iro suo questo pugniol cocciolmuo. Dall’osservazione delle quali poche parole ognuno può inferire qual novella forma dovessero prendere i concetti del poeta.
Nè taluno voglia supporre che noi discendiamo a simili dettagli per gettare una specie di ridicolo nè sulla scuola, nè meno poi sul grande artista. Ciò si osserva ad oggetto è vero di notare l’esagerazione nella scuola, ma più ancora per poterne dedurre in seguito a quali concessioni sia lecito pur discendere nelle modificazioni della pronunzia, ad oggetto di servire anche un po’ agli effetti vocali, che hanno pure i loro diritti. Nè siamo lontani dal credere che forse a guisa di quel legame che unisce la poesia e la musica tra di loro, debbano parimente averne uno la pronunzia e la voce, vale a dire che siccome nell’affratellamento della poesia alla musica, è dovere d’entrambe soggettarsi a qualche sacrificio, all’uopo di ottenere più pieno effetto, lo stesso accader debba tra la pronunzia e la voce, che tanto si trovano collegate e tanta influenza esercitano l’una sull’altra. Ma di ciò ci riserbiamo di trattare paratamente. Ora proseguiamo.
Scopo primario delia vecchia scuola, come abbiamo osservato, appariva adunque quello di ottenere la maggior pompa de’ mezzi vocali, ed a questo va pure riferita la lunghezza ostentata e il più delle volte anche nojosa e pressoché ridicola delle frasi de’ recitativi, e principalmente di quelli di sortita. Date uno sguardo a tutte le cavatine scritte un pezzo fa, e le vedrete precedute da certi recitativi, che apparivano tessuti a bello studio per dar modo all'artista di sfoggiare tutto il volume della sua voce; e, per non dilungarci dal primo esempio, pigliamo ad osservare il recitativo suindicato del Bravo, il quale abbenchè non sia di vecchia data ha tutte le pompose forme della passata scuola. E meglio che osservarlo, facciamo di richiamarcene alla memoria l’esecuzione. Non avrete per certo dimenticate quelle magnifiche note, ma lunghe, lunghe, del nostro Donzelli! Nè vogliamo ora asserire che al posto ov’erano messe, non cadessero anche opportune. Ma, se ben si bada, ivi non erano per questo primario scopo collocate; bensì nella mira cui destinavansi in genere i vecchi recitativi, quella cioè, di porre in bella mostra, con note tanto fatte, tutta la potenza polmonare del cantante.
Svolgiamo più addentro il nostro tema. I lettori nostri non ponno aver dimenticato, nel recitativo in discorso, non che in ogni pezzo cantato dal sullodato artista, certe solenni stiracchiature o portamenti di voce ascendenti adoperati all’attacco delle note, i quali senza esagerazione, avevano l’estensione ascendente della decima, e spesso anche della duodecima, e talora anche molto più. E nondimeno questi esagerati portamenti costituivano uno de’ vecchi e inescusabili accessorj od abbellimenti del canto, ed adottavansi forse a coprire la supposta crudezza nell’attacco isolato d’una nota, cosa che al giorno d’oggi si ha invece in molto conto. Notar vuolsi per ultimo nell’esecuzione dei recitativi di qualch’anno addietro, quella specie di gruppetto, il quale è anzi qualchecosa di più di un semplice gruppetto, perchè comprende una maggior estensione di note incomprensibili, composto essendo di un portamento ascendente che dipartivasi da un suono basso non fisso, e che strisciando montava a guisa del gruppetto fino ad una nota, superiore d’un tono o d’un semitono a quella su cui cadeva la frase, e che precedeva di solito al terminare di un periodo, la penultima sillaba d’un verso piano. Avremo cura in seguito presentare con apposito esempio più chiaramente le suindicate foggie d’esecuzione.
Le stiracchiature o gli strisciati portamenti poco sopra accennati usavansi non solo nell’attacco delle note, ma dappertutto, poiché si credeva forse non senza qualche ragione, che fosse un togliere alla voce uno de’ suoi bei pregi lo spiccarla crudamente e di salto da una nota all’altra, senza legame, al modo che farebbe un semplice strumento da fiato. Ogni abuso però è riprovevole. Ma di ciò in seguito. Anche le così dette messe di voce adoperavansi frequentissime e lunghe, chè anzi era creduto quasi un obbligo che la nota, se appena aveva un valore significante, dovesse subire l'inflessione o della messa intera o della mezza messa crescente o mancante.
Il gruppetto netto e vero, che distinguesi dall’anzi accennato, usavasi pure molto spesso anche nelle severe e larghe cantilene ed era uno degli abbellimenti i più stimati, e questo pure in molti casi non a torto.
Ora un tratto cangiamo di vestito al nostro Donzelli e osserviamolo nell'Otello o nella Donna del lago. È egli lo stesso cantante del Bravo, della Norma? Non sentite che profluvio di note e di agilità scritte o non iscritte dal compositore ch’egli vi eseguisce?
È lasciando da un lato il tenore in questione, occupiamoci per poco di qualsivoglia spartito di Rossini, e lo vedrete tempestato di semicrome e di biscrome da farne sgomento ad ogni qualunque cantante della giornata; semicrome e biscrome destinate ad essere eseguite non solo da artisti primarii, ma ed anche da parti al tutto secondarie. Aprite, a caso od ove meglio vi piaccia, il Barbiere, la Cenerentola, la Matilde; osservale l'Assur, l’Idreno nella Semiramide, osservate la Zelmira, e voi rimarrete attoniti o poco men che spaventati a pensare come si potesse da umane gole, sia maschili che femminili, eseguire quel diluvio di note, e tanto più quando riflettiate a quelle che pur si eseguivano di soprappiù e non erano scritte, e intendiamo dire scale semitonate, trilli, arpeggi, ec.
Se non che, or ci accorgiamo di avere involontariamente fatto un tacito elogio se non ad altro, almeno all’accurato studio de’ nostri passati cantanti, senza prima darci cura di vedere quanto si faccia in giornata.
Ne pare fin qui d’aver passati in sufficiente rivista gli accessorj del canto adottati dalla scuola di venti anni fa, e che più si staccano dalle attuali forme e da queste appunto si contraddistinguono. Non osserviamo questa scuola che quindici o vent’anni indietro per due eccellenti ragioni: la prima, perchè, come abbiam detto, il canto che di presente nomasi antico, a quell’epoca e non più si riporta; e la seconda, perchè non contando noi un gran numero di annate sulle spalle, assai debolmente potremmo informare i nostri lettori di ciò che non abbiamo nè veduto nè udito.
In altro articolo studieremo di dar un’idea del tipo dell’artista cantante moderno che abbiamo asserito potersi per più ragioni produrre in Moriani. A. M.
CRITICA MUSICALE.
Altri cenni critici intorno
allo STABAT MATER di Rossini.
Crediamo ben fatto dar luogo nella nostra Gazzetta Musicale a queste altre osservazioni critiche dettate dall’egregio e colto Maestro Av. Casamorata intorno al nuovo capolavoro rossiniano, non senza avvertire una seconda volta che ammetteremo di buon grado ogni qualunque controcensura ne verrà presentata, sempre però sottinteso ch’essa abbia ad essere dettata nei termini convenienti ad una polemica dignitosa, meramente artistica e scevra d’ogni personalità.
Forse ci inganniamo, ma pare a noi che uno tra i modi più opportuni a promovere l'incremento delle Arti e a spargere di sempre maggior luce gli studii che le riguardano, sia appunto la libera e schietta discussione de’ varii e più o meno contestabili gradi di inerito di que’ prodotti delle Arti stesse che, o pel nome altissimo degli autori o per le favorevoli clamorose circostanze che ne accompagnano la comparsa, svegliano in ispecial modo l'attenzione del pubblico e lo eccitano o quasi lo costringono a prendere interesse non ordinario al contrasto de’ giudizii de’ quali sono fatti argomento. E questo nè pare appunto il caso dello Stabat di Rossini.
(Segue il Supplemento).
Coloro poi i quali in leggendo le critiche molto a/gute ond’è sparso il seguente articolo fossero inclinati a sentenziarle di soverchia severità e sottigliezza, si consolino pensando che il grande componimento criticato, malgrado tutte le osservazioni in contrai io, ogni qualvolta ebbe a prodursi così al di qua come al di là delle Alpi, tanto imperfettamente come nella sua. integrità, ottenne di svegliare sì vivo e strepitoso entusiasmo da non aversene forse maggiori esempi nella storia delle ovazioni musicali de’ giorni nostri, fuorché nell’occasione della comparsa di altri capolavori dell’insigne maestro de’ maestri. Questo siamo poco meno che certi di dover ripetere anche dopo aver udito lo Stabat nel Grande nostro Teatro. ove {a quan to si dice) se ne sta preparando l’esecuzione con tutta la pompa ed accuratezza conveniente alla natura del componimento che si eseguirà, al luogo in cui avremo ad udirlo, ed alla rinomata, orchestra alla quale sarà affidata la. parte stromentale, che, a sentenza di giudici competenti, è stimata di effetto meraviglioso. B. Firenze, marzo 4842. Ora che tutto il mondo musicale è in movimento a cagione dello Stabat ultimamente sortito in luce con musica di Rossini, non sarà generalmente sgradito sapere che la sera del di 14 del corrente questa composizione fu eseguita per la prima volta in Firenze nel palazzo dei signori Macdounell. Concertavano le signore, principessa Elisa Montecatini nata Poniatowski, principessa Nadina Lobonoff, Schwaehkeim, e Carolina Finzi-Morelli: ed i signori principi Carlo e Giuseppe fratelli Poniatowski, il cavaliere Montenegro ed il maestro Michele Giuliani. Dilettanti d’ambo i sessi in gran numero, a cui eransi uniti volonterosi scelti artisti di musica, cantavano i cori. Il maestro Andrea Nencini, professore di composizione alla Regia Accademia di Belle Arti, era il direttore. Non essendo stata ancor resa di ragion pubblica in Ralia la strumentale partizione, due pianoforti erano incaricati dell’accompagnamento, ed a questi sedevano i maestri Luigi Gordigiani ed Enrico Manetti. - Ad onta di quella trepidazione che sorge in chiunque dotato di nobili sensi si espone al giudizio di scelto affollato uditorio} adonta di una tal quale incertezza che regna sempre in una prima esecuzione, e del non perfetto stato di salute di alcuno tra i primi cantori} ad onta in fine, del caldo estremo che regnava nella sala, la esecuzione riesci degna di molto elogio, abbencliè il movimento di alcuni tempi non corrispondesse forse del tutto, almeno per quel che mi parve, all’intenzione dell’autore. Tutti i pezzi furono coronali di plausi, specialmente poi la bell’aria: Infiammaius et accensus. ecc., della quale si volle fragorosamente la replica, e che fu cantata con maestria somma sì musicale che declamatoria dalla principessa Elisa Poniatowski. Accennato così dell’esecuzione e dell’effetto, mi sia lecito avventurare alcune brevi cri li che osservazioni sul merito intrinseco della composizione (b. (t) Aveva già terminato il ’presente articolo quando, giuntomi il V■ li (iella Gazzella musicale, vidi essere stalo prevenuto nella mia intenzione dall’ottimo maestro l’erotti. Siccome però mi pare che dalla lettura delle sue osservazioni chiaro apparisca che abbiamo battuto quasi sempre una via differente, cosi credo di poter dar corso L’inno Stabat Mater, ecc., benché con la sua poetica forma, con la sua latinità accusi gl infelici letterarj tempi nei quali fu scritto, è però bello per una tinta di religiosa tristezza che tutto intero lo informa, per un sentimento di dolore straziante, soprannaturale. Ora questa caratteristica forma sarebbe di per sé favorevolissima all’effetto musicale, se sventuratamente 1 inno stesso non fosse lungo di soverchio: e questa troppa lunghezza, unita ad una costante eguaglianza d’espressione, è stata causa per cui generalmente tutti i compositori che bau preso a rivestirlo di modi musicali non hanno saputo sfuggire alla monotonia. Anche Pergolesi stesso non ne è andato esente, abbenchè il suo lavoro sia tale da poterlo citare, ad onta del lungo volger degli anni e del variato gusto musicale, come un modello di purezza e di vera religiosa espressione. - Ora, Rossini ha egli saputo sfuggire allo stesso difetto? - Sì certo: poche infatti sono le composizioni che si presentino tanto ricche di ogni genere di varietà. Se però si ponga mente alla monotona espressione della poesia, grave dubbio tosto sorge nell’animo che questa stessa varietà non sia stata raggiunta ad onta della verità e della convenienza dell’espressione. Un attento esame sui particolari pezzi nei quali la composizione del Pesarese si suddivide basterà a chiarire se giustificato o vano il dubbio stesso riesca. Prima però di scendere a questa investigazione è necessario osservare come la poesia, in mezzo alla sua stessa uniformità, offra pure un gran mezzo di diversificare gli effetti musicali dipendentemente dalle due parti nelle quali essa dividesi. Descrittiva la prima, che nei primi otto versetti comprendesi, è destinata a dipingere i dolori di Maria assistente a piè della croce all’agonia del divin figlio: lirica l’altra, che si compone di lutti quei versetti che ai primi otto succedono, e che altro non comprende che una prece alla vergine madre onde ci ponga a parte dei suoi dolori ed interceda a noi da Dio il perdono dei peccati e la gloria del paradiso. Ora, è strano a dirsi, ma è un fatto che niuna o ben poca attenzione han fatto a ciò tutti coloro, non escluso lo stesso Pergolesi, che han preso ad associare i modi musicali alle parole dello Stabat. Nè Rossini ha voluto in ciò esser molto da più che gli altri} poiché, se si eccettua il versetto Eja Mater, ecc.. e l’altro Quando corpus, ecc., riscontrasi in tutto il suo lavoro indistintamente una costante eguaglianza di modi e identità di genere, senza che la differenza tra il lirico e il descrittivo sia accusata giammai. - Ciò premesso, scendasi ai particolari. Si apre la composizione con una introduzione stromentale nella quale si annunziano i principali pensieri che poi nel corso del pezzo vengono sviluppati. Un movimento ascendente dei violoncelli con cui principia, rammenta la sinfonia del Guglielmo Teli. Entrano poi le voci e s’intrecciano con bell’effetto per mezzo di un canone all’ottava, a cui tengon dietro belle masse di pieno e variati soli. Tutto questo pezzo non manca di sentimento religioso: vi manca però il carattere descrittivo, come ho già indicato in genere di sopra} anzi la forma nonostante a queste mie poche righe, alle quali farò solo «iggiunfa|;(Ji qualche nota relativamente a quelle cose più essenziali nelle quali col ridetto signor Perotti non vado d’accordo. Nel resto aderisco generalmente alla sua opinione. canonica che vi predomina, il carattere dei (p canti, tutto vi è di un genere quasi esclu- k2 quasi i sivamente lirico. Di più almeno quattro distinti pensieri vi si riscontrano, i quali come corrisponder possano a quel solo concetto poetico che regna nella poesia, veramente non so. Tien dietro a questo primo tempo un’aria del tenore sulle parole del secondo, terzo e quarto versetto. Debbo avvertire che male, a mio credere, è stato disgiunto il secondo dal primo versetto formante subietto del primo tempo, del quale non è in sostanza che la continuazione o il complemento, come lo dimostra il senso delle parole, ( cujus animavi gementem) c specialmente il genitivo del pronome personale con cui principia riferentesi al Mater dolorosa del primo versetto. L’aria è bella, e può prestar campo al cantore onde molto distinguersi} ma rammenta un poco VAssedio di Corinto ed il Guglielmo Teli, sa ben poco di religioso, e contrasta troppo con l’espressione del primo tempo. Dello stesso difetto si risente il successivo duetto dei soprani, se non nei soli, almen nell’insieme. Più caratteristica è, particolarmente sul suo principio e nella cadenza, l’aria del basso: Pro peccatis suae gentis, ecc., bel pezzo di melodia, in cui però è un po’ troppo cruda certa modulazione in re bemolle terza maggiore (*). Succede a quest’aria un pezzo pure del basso che l’autore ha intitolato: recitativo e coro senza accompagnamento. L’effetto, nel complesso, è bello, larga e nobile l’armonia. Strano è però un certo intercalare in sestupla sulle parole in amando Christum Deuin. quantunque la lentezza del movimento possa correggere alquanto l’effetto. Stranissime poi, almeno per me, son certe risposte del basso solo sopra parole tronche in modo che mi sembra risveglino 1 idea che il cantore sia asmatico. Questo pezzo esteticamente considerato ha il Preg*° di servire assai ad indicare, per mezzo del contrasto che fa col genere dei pezzi antecedenti, il passaggio della poesia dalla forma descrittiva alla lirica. Terminata in fatti la prima parte dell’inno, serve esso di principio alla preghiera propriamente detta (2). Il successivo quartetto, che serve ad esaurire cinque versetti, cominciando da quello Sancta Mater istud agas, ecc., è certamente un pezzo di musica di effetto sicuro. Considerato però sotto l’aspetto tecnico non mi pare presenti gran che di notevole non vi si riscontrando che raramente quattro vere parti reali postochè il tenore non fa molte volte che raddoppiare all’ottava il soprano, e talora una sola univoca melodia essendovi divisa e spartita un poco per ognuna tra le quattro parti cantanti. Consideratolo poi sotto l’aspetto estetico, mi pare che sia da farsi all’autore grave rimprovero per avere espresso quelle parole di umile e tenera prece con una melodia quasi da quadriglia. Mi sembra che (1) Questa modulazione è indicata come peregrina bellezza dal signor l’erotti. Non so chi di noi due dica Itene. Io per ine, come è naturale, preferisco la mia opinione. Del resto trattasi di cosa di gusto, c in queste cose «traivi sua quemque valuptas». (2) Il signor Peroni, coinè altri prima di lui, ha criticato quésto pezzo come slegato nei concetti, c tale da poterlo intitolare una composizione a mosaico. La cosa in sè stessa è vera: infatti la intonazione dei bassi, a modo quasi ecclesiastico, con cui principia, io stesso primo motivo de! basso solo, vi sono annunziati nè quindi più se ne dà ragione, àia questa critica a dir vero non è stata prevenuta dall’autore quando ita intitolato questo pezzo! recitativo? in generale possa caratterizzarsi piuttosto come un bel pezzo di mezzo carattere anziché come una composizione religiosa (0. Segue a questo quartetto una cavatina del secondo soprano, sulle parole: Fac ut portem divisti mortem, ecc. E bella, ma rammenta troppo nella sua forma il primo tempo della cavatina del contralto nella Semiramide o quella della Donna del lago. La grand’aria con cori del primo soprano sulle parole ulnflammatus etaccensus, ecc.» è di una bella declamazione e per la sua nobile grandiosità non disdice al certo alla Chiesa. INon corrisponde però gran fatto al sentimento delle parole, poiché invece dell’umile preghiera diretta ad impetrare una grazia, sembra piuttosto il risoluto chieder cosa che ci sia dovuta e che ci venga capricciosamente negata. A quest’aria succede un quartetto senza accompagnamento in istile severo, che è uno dei non molti pezzi di questa composizione che non manca di religiosa espressione. Semplice ma bella ne è la condotta, nobile l’armonia. Taluno lia creduto tacciare come triviale alquanto la melodia adattata alle parole paradisi gloria, soggiungendo di più che ha pure il difetto di allontanarsi dallo stile che l’autore si è imposto in tutto il versetto, ciò che produce una mancanza di unità dispiacente... Checché sia di ciò, è però indubitato che nell’insieme questo pezzo è degno di molto elogio. Ij’arnen. a cui Rossini per comodo della musica ha aggiunto le parole in sempiterna sœcula che non sono nell’Inno, dà soggetto al coro finale che dopo poche battute d’introduzione si sviluppa in una Fuga a due soggetti, dopo la quale son riprodotte alcune frasi del primo tempo, che vanno a terminare in una cadenza semplice e larga, ma di bello elFetlo. Quantunque questa Fuga abbia il pregio che distingue tutta la musica di Rossini e che è la caratteristica esclusiva dei lavori del genio, quello cioè di produrre effetto e piacere anche nelle cose che analizzate si riscontrano fatte men che bene nei loro minuti particolari, pure non può negarsi che non si presenti un poco troppo comune nel soggetto, trita e intralciata nella disposizione delle parti e scarsa di artifizio contrappuntistico. Infatti, dopo esaurite debitamente le proposte e necessarie risposte, è quasi tutta condotta sopra un divertimento che l’autore passeggia e trasporta in quanti tuoni e modi gli cadon sotto la penna. Concludendo dal fin qui detto si può asserire, che se talora nell’insieme di questa composizione non manca la esterna forma religiosa, vi manca però quasi sempre intrinsecamente lo spirito di religione: e cosa è mai la material forma nelle arti di imitazione senza l’intimo sentimento?Come musica da camera e talora da teatro è bellissima, ma come musica sacra ne è tanto sbagliato il carattere, che nell’insieme non può essere neppur qualificata per tale. Mi pare in sostanza non manchino di verità le parole, quantunque alquanto severe, che scriveva già da qualche tempo un giornalista... «Maintenant, le Stabat de Rossini est-il une oeuvred’une vaste portée? Est-ce, en quelque sorte, une rénovation, une transformation du génie du compositeur, comme certains sectaires passionnés le prétendaient avant même l’exécution de l’ouvrage? D’un seul coup d’aile, Rossini va-t-il se placer au niveau de Palestrina et de Pergolèse? Va-t-il atteindre au sublime religieux comme dans Guillaume Tell il a atteint au sublime dramatique? Nous ne le pensons pas. Nous osons atlirmer que, dans tout ce que nous avons entendu, il n’y a pas même un indice du style grave et sévère qui convient à l’expression religieuse (e qui il giudizio parmi invero troppo severo e assoluto ). Le Stabat est une œuvre remarquable à plusieurs égards; mais levez la rampe, allumez le lustre, revêtez vos chanteurs des premiers costumes qui vous tomberont sous la main, substituez d’autres paroles, et le public ne s’apercevra pas de la méprise. Au théâtre, on acceptera l’œuvre; dans le temple, on la repoussera, on sentira qu’elle n’est pas à sa place, car autre est la douleur divine, autre la douleur humaine». Ora che dirassi di me, oscurissimo critico, che osai giudicare con tanta severità l’applaudito lavoro dell’illustre Rossini? Dicasi ciò che vorrassi, poco mi cale: chè, pronto volentieri a ricredermi quando mi si dimostri essermi io ingannalo, non ho creduto di dover restare in silenzio come se si fosse trattato dell’opera di qualche oscuro sconosciuto scrittore. Gli errori dei grandi debbono arditamente! svelarsi, perchè sono essi splendorHfallàci che soglion condurre a naufragio gl’inesperti giovani artisti i quali più facilmente si lasciano abbagliare da quelli, che non dai veri pregi delle opere che pigliano a modello. Molto meno poi ciò dovea farsi in Italia oggi, che di tanto vi è scaduta dal prisco splendore la musica sacra. - Mentre in troppo piccolo numero i buoni tentano con generosi sforzi ricondurre i traviati compositori di musica ecclesiastica, sul retto cammino pretermesso da loro, che ne avverrebbe se si lasciassero tranquillamente armarsi, a scusa dei loro traviamenti, clell’esempio imponente di un grande come Rossini? L. F. Casamorata. NOTIZIE VARIE. (i) Relativamente alla diversa opinione esternata per rapporto a questo quartetto dal signor Peroni, non posso clie ripetere ciò he ho detto alla seconda nota. Milano. — Nel Giuramento di Merendante dato al Carcano si distingue la signora Mattey, attrice cantante di merito non volgare. Ella a nostro giudizio si è lodevolmente investita dello spirito di una parte che, sia nel concetto drammatico, sia nello sviluppo musicale, offre una molto bene intesa progressione di tinte. - La signora Mattey sa essere appassionata nei momenti opportuni senza però trasandare le scene nelle quali la partitura non le offre di espandersi con islanci di voce e con violenti declamazioni melodiche. Ella, vogliam dire, si fa carico di tutta la sua parte, non di sole alcune sortite isolate, e ciò è merito non comune al di d’oggi in cui artisti di primo nome pare vogliano introdurre il comodo uso di non curarsi che dei pezzi nei quali hanno parte di impegno, e in tutto il resto dell’Opera si contengono con una indifferenza e sbadataggine riprovevolissima. Alla Scala la Bella Celeste del Coppola ebbe cattiva riuscita; e ciò doveva e poteva prevedersi per più ragioni che crediamo necessario tacere. - Una singolare fatalità persegue tutte le Opere che si vogliono riprodurre sulle nostre maggiori scene! E sì, non dovrebbe essere gran fatto difficile il procacciare una scelta meno sfortunata, ove si noti che FI. R. nostro Teatro va o dovrebbe andar primo a tutti nella ricchezza dei mezzi sia materiali, sia artistici I con cui assicurare il buon esito degli spet- g tacoli musicali che si riproducono. Da che 1 derivi che accada quasi sempre il contrario fi noi dobbiamo lasciarlo immaginare al let-, tore. - Ci dicono che stiasi preparando La testa di bronzo di Mercadante. Bramiamo che l’esito di questa seconda riproduzione ci dia una mentita. Nel Ballo la Gabriella di Fergy^ altra infelice riproduzione come sopra, vi ha della musica molto pregevole per opportuna applicazione. Ai tristi di che corrono per la coreografia italiana, è questo un caso da non tacersi. Malgrado però un sì valido sussidio, l’azione inimico-spasmodica che tanti anni fa procacciò molta gloria ad una esimia artista, questa volta trovò il pubblico mal disposto e ribelle a concedere le sue emozioni alle atroci sventure della povera moglie di Fayel. Parigi. — E probabilmente già noto ai nostri lettori che la Saffo di Pacini data sulle scene del Teatro italiano a Parigi, vi ebbe esito lutt’altro che felice. Creclia Lasciamo al lettor ciò che vi ha di gm essere di esageralo u ino opportuno riportare le parole colle quali il Monde musicale manifesta in breve la sua opinione sul merito dello spartito si mal capitato sulle sponde délia Senna. «La partition de Saffo contient quelques morceaux qui méritent d’être remarqués quoique ils ne présentent rien de bien extraordinaire sous le double rapport de la conception, et de l’originalité. 11 est généralment reconnu, et cela deja depuis longtemps que la troupe du Théâtre Italien (N. B.) a été, est, et sera toujours composée d’artistes de talent tout-à-faitliors ligne. Nous voudrions bien que cela fut vrai aujourd’hui, mais malheureusement il n’en est pas ainsi. Saffo a obtenu du succès sur presque toutes les principales scènes de l’Italie, et il faut bien reconnaître que le public italien est encore plus difficile que le public dilettante et doré de la salle Ventadour. Seulement, en Italie-, on s’attache presqu’autant au chanteur qu’à l’ouvrage nouveau, et très-souvent une belle exécution fait passer une faible ou une médiocre partition. — A Paris, si l’ouvrage ne contient pas des véritables beautés, il devra tomber à plat; car se ne sont certes pas Tamburini, Mario, Magliano et la somnolente M.me Albertazzi qui pourront par leur talent faire oublier ce que la partition qu’ils interprètent aura de défectueux, de commun et de trivial. On veut que Tamburini soit un chanteur parfait et exquis sous tous les rapports, et c’est là ce que nous ne pouvons pas reconnaître, car nous ne serons jamais des admirateurs quand même de personne; certes nous applaudissons la méthode parfaite de Tamburini toute surannée qu’elle soit aujourd’hui; mais nous disons que dans les Opéras nouveaux il fait tort à touts les rôles dont il se charge; que sa voix a perdu de son étendue, et qu’il est obligé de guillotiner toutes les notes qui passent le mi-bémol. Si Morelli avait chanté le rôle d’Alcandro il eût obtenu un véritable succès; et l’ouvrage y-aurait incontestablement gagné. Quant a Mario, sa voix pure, claire mais niaise, sans aucune expression et antipatique à toutes les rôles qui demandent de la force, il devrait se borner à quelques rôles qui lui vont à merveille, comme © celui de YElisir cïamore. Mademoiselle rfv Grisi seule mérité des eloges pour quel- yri ques frases dites avec beaucoup d’âme, de jPë sentiment et de passion». Lasciamo al lettor giudizioso discernere ciò che vi ha di giusto da quanto vi può essere di esagerato in questo cenno critico. lì. — Pillici M. J. E. Miquci, già conosciuto per molle opere pel violoncello, pubblicò un trattato assai ingegnoso, col titolo di A ri thmographie musicale. Questo sistema adoperato come metodo ausiliario deve rendere de’grandi servigj all’insegnamento elementare. Le difficoltà della notazione ordinaria che spesso scoraggiano gli allievi, spariscono coH’applicazione della scala rappresentata da cifre; scala che conserva gli stessi segni in tutte le ottave: i valori ordinarj e tutti gli altri segni musicali vi sono riprodotti. Dopo alcuni studi preliminari, col mezzo dell’Aritmografia che rende la teoria de suoni più facile a comprendersi, più presto s’imparerà a leggere le opere scritte nella notazione ordinaria. Questo sistema presenta niente di difficile a chiunque sappia leggere la musica: non è che un nuovo impiego delle nozioni che si hanno, giacche ogni musicante deve sapere i rapporti numerici delle note fra loro. Questo piccolo libro, molto bene impresso, del modico prezzo di tre franchi, deve servire a render più popolare la musica, estendendo il vantaggio dell’insegnamento musicale agli stabilimenti che tuttora ne mancano, come le scuole gratuite, le sale di asilo, le istituzioni religiose. Lo studio del canto ferino, col sistema di Miquci, non può riuscir più facile. L’autore col maggior successo lo mette in pratica in varj seminarj: egli pure instruiscc collettivamente moltissimi discepoli. — Vienna. Monumento di Beethoven. L’editore di musica Pietro Mochetti, sotto il titolo di Album-Beethoven, pubblicò un’elcgautissima raccolta di dicci composizioni per pianoforte de’ più accreditati autori, preceduta da due litografie, rappresentanti la prima una specie di apoteosi di Beethoven, c l’altra la casa in cui egli nacque nel 177U a Bonn, e quella iu cui morì a Vienna il 26 marzo 1827, nonché il monumento sepolcrale ad esso innalzato nel cimitero di Wahring. Dalla seguente nota de’pezzi dell’Album Beethoven, ognuno potrà formarsi una giusta idea del valore intrinseco di quella collezione, il cui ricavo dal suddetto editore è stato destinato a contribuire alle spese del monumento che si sta erigendo al gran maestro nella sua città natia, la cui esecuzione venne dellìnitivaméiite affidata allo scultor sassone Ernesto Hechnel. 4. Marcia funebre della Sinfonia eroica di Beethoven, partition de piano par Liszt. 2. Preludio. Op. 45 di Chopiti. 3. Notturno. Op. 647 di Czcrny. 4. Due Impromptus fuggitivi. Op. 39 di Dbhler. 5. Tficgcnlied di Heuselt. 6. L’Echo! di Kalkbrcnner. 7. -17 Variazioni (serieuses) Op. 54 di Mcndelshon. 8. Due Studj di Moschelcs. Op. 405. 9. Fantasia. Op. 54 di Jaubert. 40. Romanza senza parole di Thalberg. A Milano si può avere questa interessante pubblicazione dirigendosi al negozio Ricordi. — Primo Concerto di Dohler. La sala del Conservatorio riboccava di spettatori ansiosi di ammirare la bravura dell’artista che dopo cinque anni ritornava in questa città con un nome europeo. La generale aspettativa venne superata: e dopo Liszt c Thalberg nessun altro pianista ottenne un successosi grande come Dòlior. Anche comc,compositorc si trovò aver egli fatto immensi progressi. È già annunciala una seconda accademia. — Marsiglia. Thalberg continua a dare de’ concerti c ad eccitare un entusiasmo straordinario. L’ultima volta egli si fece sentir a benefizio degli infelici che rimasero orfani al tempo del colera. — Berlino. Nel suo soggiorno in questa capitale, Liszt pubblicò un opuscolo in francese intitolato Paganini, in cui l’unico violinista vien esaminato ed apprezzato, si nella qualità di esecutore che di compositore. Ora Liszt sarà forse già arrivato a Pietroburgo: e quanto prima tutti i giornali avranno a proclamare le prodigiose nuove sue prove, e l’accoglienza da lui ricevuta nella splendida residenza degli Czari, ove Thalberg in meno di due mesi vuoisi abbia guadagnato centomila rubli.ì Franco po ut e sul Meno. — 11 nostro direttore di musica Guhr diede il 25 febbraio una musicale drammatica accademia, nella quale vennero eseguiti frammenti disposti cronologicamente dallo sviluppo dell’Opera fino dai tempi di Lully ai dì nostri. Impresa stimabile, e tanto più diffìcile quanto che dovevasi produrre nulla -di nojoso e la quintessenza delle tre scuole in tre ore, inóltre dei pezzi brevi di genere misto adattati al gusto de’ cantanti. Cionondimeno il Guhr palesò di possedere bastanti cognizioni storico-musicali, tatto e gusto, per unire l’instruttivo al gradevole, e di preparare al conoscitore c al dilettante una serata piacevole. Non appartiene qui discutere fino a qual punto si possano distinguere tra esse le così dette scuole francese, italiana e tedesca, e se il gran talento non appartenga piuttosto al mondo tutto. Ne basti ora il dire che l’accademia in dicorso era divisa in queste tre scuole, come segue: „ Scuola francese. 4) Scene della Proserpina, e 2) dell’Alceste di Lully, nato nel 4633. 3) Romanza del Bevili du Village di Rousseau, 4712. 4) Cavatina della Zemira e Azor. 5) Duetto del Riccardo cuor di lione, di Gretry 4 741. 6) Aria del Vigliello del lotto, di Nicolò Isouard, 4777, c 7) Finale primo delle Due Giornate di Cherubini 4764. Ma perchè si davano due pezzi di Lully c Gretry, senza pensare anche, per esempio, a Rameau? Scuola italiana. 4) Duettinoldcl Re Teodoro, di Pacsiello, 1741; 2) Aria di bravura deVAlbero di Diana, dello Spagnuolo Martin 4 754: 3) Duetto e terzetto del Matrimonio segreto di Cimarosa 4755; 4) Terzetto della Gazza Ladra di Rossini 1790, c 5) un’Aria della Lucia di Lammermoor di Donizetti, 1796. In vece di questi ultimi due contemporanei;avremmo preferito Scarlatti 1688, Jomelli 1714, e Piccini 4728. Scuola tedesca. L’Introduzione del Medicò e Speziale di Dittcrsdorf 4 739. 2) Duetti» dcW’Assur Re d’Armo, di Salicri, 1750. 3) Quartetto finale dell’Ifigenia in Aulide di Giuck 1714; 4) Coro c terzetto dell’fdomeneo di Mozart, 4756. 5) Cavatina di Zemiro e Azor di Spohr. 6) Coro di caccia dell’Euryanthe di Weber 1787, c 7) Finale primo del D. Giovanni di Mozart. E perchè invece di annoverare Salicri fra i compositori tedeschi e far sentire due pezzi di Mozart, e uno di Sphor contemporanco, non si incominciò con Kevscr4 673, Hàndcl 1684, Uasse 1699 c Gratin 4701?... In ogni modo questo concertò è degno di considerazione riguardo alla scelta. esecuzione e concentrazione di tante stimabili forze, e il signor Guhr ebbe pur la soddisfazione di veder la sua sala zeppa di uditori. Lo stesso concerto ripetevasi alle feste di Pasqua. (Gazz. Mus. Universale) VARIETÀ WMM m II. TEWORE I I» Ili BASSO. Pensieri Fisiologici. Il celebre dottor Huflland nella sua Arte di prolungare la vita posa, in fatto di voci d’uomini, i seguenti principii: «Se vedete un uomo alto della persona, siate certi ch’egli ha la voce di basso} se, sgraziatamente per lui, la sua voce è di tenore e che si consacri all’arte del canto, gli pronostico la perdita della sua voce al1 età di trenta o trentacinque anni. Traduco tutto questo passo a memoria, ma mi faccio mallevadore della verità del suo contenuto. «V’ha nella voce dell’uomo, dice altrove lo stesso celebre medico, un segno caratteristico, così pel tisico come per il morale, che ogni compositore dovrebbe studiare con attenzione prima di distribuire le parti alle varie voci maschili e femminili destinate all" esecuzione de’ suoi spartiti. Fra tanti maestri non ho trovato che Mozart il quale, sia per naturale rivelazione, sia per isludio, ha possieduto l’istinto medico della voce umana. «Il tenore di petto è sempre piccolo di persona, largo di petto e di spalle. Ila per solito capegli biondi o castagni, di rado bruni} se oltrepassa siffatta misura, la voce di lui è meglio di gola che di petto, ed egli la perde all’età in cui la voce di petto è in tutta la sua forza. Se fossi direttore di un teatro (.l’Opera, non vorrei mai scritturare un tenore alto di persona, fosse soltanto per secondo tenore. «Ilo detto che i bassi son sempre alti di statura} ce ne hanno però anche di piccoli, e sono i bassi comici, comunemente conosciuti sotto il nome di buffi. La voce dei bassi fu per molto tempo trascurata dai maèstri} Mozart l’ha riabilitata, indicandole falla sua missione nell’arte drammatica. «La più bella eslension di voce appartiene d’ordinario ai baritoni, e lo stesso Mozart ha scritto la parte di Don Giovanni, tipo della bellezza dell’uomo, per un baritono. Non ho mai potuto capacitarmi come i maestri, rappresentando un bel uomo, un brigante, un seduttore di donne, gli dieno una voce di tenore. I tenori hanno per solito il grande vantaggio (Tesser trattati come l ussignuolo. E d uopo che un tenore faccia impressione colla sua voce e non col suo fìsico} ò’d uopo che abbia un porgere affettuoso, un’anima espansiva} è d uopo infine, che prima ancora di presentarsi in iscena, sia già amato} altrimenti non si saprebbe comprendere come lo si potesse preferire ai bassi e ai baritoni che sono giganti ed Adoni accanto a lui. «La voce deifuomo oltreciò può servire di diagnostico nei casi di malattie. Un tenore di petto è di costituzion fìsica assai più forte di quella del basso, foss’egli grande e grosso come un Golia} e il baritono, tuttoché bello, è esposto a raffreddori e ad indisposizioni di salute maggiori di quelle che soffre un buon tenore. «Rispetto ai caratteri, non si hanno regole stabilite} però, in conseguenza di numerose osservazioni da me fatte, credo che non arrecherò dispiacere a miei lettori, comunicandone ad essi i risultamenti, benché dubbiosi e indecisi. Vi può essere in un tenore la materia di un uomo grande. Alessandro il Macedone aveva bellissima voce da tenore. Un giorno suo padre gli disse: «non ti vergogni di cantar tanto bene?» e da quel momento egli non cantò più. Però il carattere di un tenore, ove 11011 sia di prima forza, è solitamente fiacco ed effeminato. Non v’ha nulla di più intrigante, di più importuno di un cattivo tenore. «I bassi cantanti son sempre stati sacerdoti, pontefici, sacrificatori, perchè colla loro persona essi impongono} le parti serie son fatte apposta per loro: perciò questi artisti m’hanno il più delle volle messo paura, quantunque, esaminati a fondo, sieno eccellenti creature, compiacenti fino all’annegazione di ogni lor volontà c di allegrissimo umore. «La voce di baritono è la voce degli oratori, degli imperatori e degli eroi} Cesare peraltro aveva la voce di tenore. Si tratterebbe soltanto di sapere se la voce di baritono si avvicini piò a quella del tenore oppure alla voce del basso, poiché pochi sono gli uomini alti di persona che sieno stati uomini grandi. «In quanto alle donne, soggiunge lo scherzoso dottore, è ben pazzo colui che ci si fida. Le loro voci 11l’hanno le tante volte ingannato, che rinunzio al pensiero di analizzarle. 11 punto d’appoggio, per istabilire il carattere della donna, 11011 é ancora trovato} è il punto d’Archimede.. Ad ogni modo, prima di morire, ho in pensiero di pubblicare a questo proposito la mia opinione, perocché nella voce della donna si trovano certi indizj i quali hanno molta analogia colla voce dell’uomo» Il dottor Ilufiland è morto vecchissimo, senza spiegarsi di piò intorno alla voce delle donne. Si è detto ch’egli abbia amato una cantante. P. BIBLIOGRAFIA MUSICALE IMO. WIN F©N 1 A-FA % TATA sm pss~ rote della Sacra Scrittura, comgtosta da Felice lUendelssolnn - Bartìimldy. IitPSiA, presso Breitkopf e Sldrtel (Partitura, e ElitMaxioue per cetnbalo colte par ti). Il sig. Mendelssohn, nolo poi suo Oratorio * Paolo» per la sua composizione del Salmo 42.° c per altri simili componimenti sacri, ha manifestata una così distinta vocazione per questa specie di musica, clic in ogni sua nuova opera si può aspettarsi con sicuro presentimento una cosa altrettanto ben sentita quanto maestrevolmente condotta. È argomento di singolare compiacenza il notare che il giovine maestro nel pieno fiore delle sue capacità si dedica con vero entusiasmo alla musica sacra. della quale per lo più si occupano soltanto i maestri d’età matura. Nò si dica ciie ii signor Mendelssohn imita le antiche scuole d’Italia e di Germania; egli ha uno siile tutto suo proprio, e se i cori talora ricordano quei di Handel e Bach., ciò è solo riguardo al significato loro, mentre quei del Mendelssohn sonojpiù semplici e di una esecuzione più facile benché tessuti con tutto l’artificio ed intreccio armonico in essi inerente. I.e sue melodie devono riconoscersi come sue proprie, libere dei tutto da ogni fare manierato. Già il testo delle sue composizioni sacre, tolto da’ passi della Bibbia, è d’indole sentimentale, pio. Tanto i cori clic i canti ja solo sono la semplice espressione del contenuto lirico delle parole, profondamente sentita,-scevra da ogni esagerazione sentimentale. A questo Bino precede un pezzo di musi a 11 Hi istrumentale quale introduzione, per cui il tutto fu detto dall’autore Sinfonia-cantata, od il pezzo istrumentale composto di tre parli occupa due quinte parli della partitura. Mavvi un certo quale parallelismo fra la sinfonia c la cantata. Beethoven scrisse aneli" egii una Fantasia ed una Sinfonia con coro, creazioni straordinarie, alle quali la presente di Mcndclssohn può stare a lato. {Estrailo dalla Gazz. Music, di Lipsia) SCOPERTE MUSICALI. BSj M1X0l’0.. Il signor Ledere qualche anno fa inventò una nuova maniera di stromenlo musicale che gli piacque chiamare Melo fono. Fu quella scoperta accolta con favore, grato ne tornò il suono a ehi l’udì, importante ne parve l’effetto ai maestri, onde il celebre compositore llalévy l’introdusse nella sua Opera Guido e Ginevra, i famosi pianisti Thalbcrg e Dòhlcr gli fecero luogo rie7 loro concerti: e finalmente nella esposizione dell’anno 1839 di Parigi fu questa scoperta onorata di una medaglia. Nondimeno da quell’epoca fin qui tacque il Melo fono, c nell’opinione di tutti fu avuto per estinto e posto al tutto in oblio: quando pur testò si è veduto ricomparire ridotto dal suo inventore a perfezione, e se gli ò presagito non pure vita durevole, ma si è dagli artisti giudicato ottimo incremento delle moderne orchestre, e degno di avervi un posto distinto. Ecco la lettera che il signor Ledere, presentando la sua scoperta al conservatorio di musica di Parigi, ha ricevuto sottoscritta dai signori Cherubini, Habeneck,. Paer, Berton, Halévy, Àuber, Zimmcrman, Baillot, e Goblin: «Signor Ledere, noi abbiamo sentito ed cspcriinentato «con molta soddisfazione!’ istromcnto di vostra inven«zione da voi appellato Melo fono. Cotesto istromcnto «per la sua sonorità, per la natura particolare del suo «timbro, e per la sua estensione deve nelle orchestre «occupare un posto ragguardevole. Però con tutto il pia«cere vi dichiariamo di essere stati pienamente soddis«fatti nel sentirlo a suonare; nè possiamo altro che in«coraggiarvi a continuare a dare ai Melo fono quella per«fezione che sarà possibile di accrescervi; poiché creando «una nuova maniera stromentalc di tentar nuovi eliciti, «voi avete dilatato ed esteso il dominio dell’arte». Questo stromento ha la forma di due casse di chitarra sovrapposte Luna all’altra; quella di sotto contiene un mantice, che nè l’agente organico, e l’altra un poco più piccola contiene la serie delie pive. LJ istromcnto si posa sulle ginocchia, e si sostiene colla mano sinistra, intanto la destra agita il mantice e regola e governa l’emissione del suono che lutto a lei è affidato. Il manico di questo stromento, che c lungo come quello del violino, e largo come quello d’una chitarra, olire tutta la serie de’ tasti che sono tante chiavette elastiche di metallo levigato. L’istromcnto comprende un’estensione di quattro ottave, e dà un suono circa qua! darebbe il fagotto unito al clarino e al flauto. Esso ha qualche somiglianza sYaccordéon ma punto non tiene della sua monotonia. Oltre a ciò il Melo fono si presta ai passi in terza, alle doppie c anche triplici ottave e ai passaggi cromatici (Fogni maniera. Vi si può esprimere lo staccalo, il tremolo, il piano, il forte, c il crescendo. Queste virtù, trattandosi di uno stromento a mantici, sono molto considerevoli; onde altro non resta che desiderare che l’uso se ne venga accomunando, e produca così nuovo vantaggio in generale alle orchestre, e dalla istromeutazione. M-i CARTEGGIO. ( Ne giova riprodurre la seguente lettera dell’egregio maestro sig. Luigi Picchiatiti di Firenze diretta alVEditore proprietario di (presta, nostra. Gazzetta: 1.° perchè in essa egli ci è cortese di parole, che suonano molto lusinghevoli sulle labbra di persona dotata di non comune dottrina e perizia musicale, 2.° perchè nella medesima ei ci promette voler partecipare alla nostra diffìcile intrapresa e accrescere di un nome tanto stimalo il novero dei distinti collaboratori che già si piacquero fregiare il nostro manifesto). SIGNOR GIOVASSI RICORDI • MI LAS O. Firenze 28 febbraio 4842. Pregiatissimo s ignore! Uniti a gentilissima sua del IG corrente ricevei i primi sette numeri della Gazzetta Musicale di Milano, che j distesamente ho letti con vero piacere. - Se la pronta | edizione, e la più estesa circolazione dei migliori proO dotti musicali dell’epoca nostra costituisce all’editore RifyZ) cordi un titolo alla gratitudine dei filarmonici, maggior ffl titolo mi sembra andare acquistandosi alla riconoscenza Wj degli artisti c degli amatori, ora ch’egli intraprende la gftb pubblicazione di un nuovo foglio periodico, che oltre tetNÈ ner dietro a tutti i movimenti dell’arte, e render noli i lavori ed i progressi musicali che vanno operandosi tanto fra noi che fra le nazioni rivali, sparge di più quello spirito di retta e sana critica, indispensabile a raggiungere i più alfi gradi di artistico perfezionamento. - Egli ò da sperarsi che le estese relazioni commerciali della casa Ricordi procureranno a questo interessante Giornale una maggior pubblicità, ed un più largo giro di quello che ha avuto fin qui un foglio di simil genere che da due anni a questa parte si produce in Firenze, e che mediante questa maggior pubblicità verranno in certo modo a porsi in contatto tutte le migliori e più coltivate intelligenze armoniche della nostra penisola, onde meglio potere insieme tendere ad un medesimo scopo, che in ultima analisi dovrebbe esser quello di rivolgere la potenza dell’arte musicale a spingere energicamente il progresso civile, morale e religioso dei popoli. La molliplicità dei miei impegni breve spazio di tempo mi lascia, non bastevole a prendere una parte molto attiva in questo nuovo Giornale milanese, cui certo non abbisogna dell’opera mia, essendo largamente provveduto di eccellenti collaboratori; pure terrommi a pregioii depositarvi ancor io la mia piccola quota, la quale se potrà accusarsi di tenue valore, la non si potrà condannare per mancanza di buon volere (1). Gradisca i miei ossequi, e mi creda Suo devot. Luigi Picchiarti. (-1) Nel prossimo foglio daremo un primo articolo favoritoci dal dello Maestro sig. Picchiatili. STIMATI SS. SIGSOR RICORDI. Vedo promesse nel vostro giornale le biografie del grande Mozart e d’altri celeberrimi compositori c teorici musicali; questo proponimento m’arrecò somma gioja in quanto che voi, e siccome amico e spassionato ammiratore di Bonifazio Asioli, non trasanderetc certo l’occasione d’offrire anche alia memoria di lui un fiore. Se appena si può tollerare che i vostri eruditi collaboratori tanto gelosi della gloria italiana si occupino a lodare delle piccole produzioni sgomentali, e tra queste alcune foggiate plagiariamente alla tedesca, mentre loro missione sarebbe l’analisi delle Opere e de’ maestri classici e non pigmei, cosa biasimevole certamente ricscirebbc ove nessuno di essi seriamente si dedicasse a tessere l’elogio di un illustre che sagriticò l’istesso suo amor proprio siccome compositore per dedicarsi meramente a schiarire la tenebrosa via, che prima di lui, dovevasi percorrere onde poscia malamente apprendere le bolgie dell’armonia, e co’ suoi indefessi sludj poter tanto da rendere positivo e un nonnulla l’apprendimento d’una scienza che precedentemente solo a tentone c materialmente potevasi acquistare, riservandosi quasi interamente alla cosi detta pratica di scoprirne le bellezze e sgombrarne i dubbj (t). Asioli ponendo a sorgente di tutti gli accordi le tre triadi maggiore, minore, diatonica o semidiatonica, provò come tutte le altre armonie derivino dai rivolti, dalie scomposizioni e dalle addizioni di quelle tre; rese così lo studio del contrappunto un calcolo, tutto classificò mirabilmente, c qualunque mediocre ingegno con un poco d’assiduità guidato da un chiaro interprete del Trattato d’armonia riesce sicuramente, se non un buon compositore, almeno un franco armonista. Ts’e siano prova quasi tutti gli allievi di codesto 1. R. Conservatorio, ancora alimentato per tradizione degli insegnamenti del benemerito Bonifazio, che se il genio negò ad essi allori nel mondo musicale, Asioli li guarentì di un sicuro pane nella chiarezza delle sue dottrine. Qual cosa più ridicola veder sortire d’accreditati istituti musicali certe povere creature che mentre accompagnano cervelloticamente i bassi più difficili dundecima c terzadccima di Fcnaroli, non sanno analizzarne pur uno, credendo fondamentali tutte le note che stanno nel basso, ammettendo così migliaja di generatori e dovendo strimpellare per mezz’ora i loro poveri pianoforti per risolvere o preparare una dissonanza!!... eppure questi aborti musicali innondano il mondo tutto, c perchè dopo quarantanni di scarabocchiafnenti poterono connettere insieme quattro melodie da farsi anche impudentemente scritturare per qualche regio teatro, pretendono ed ardiscono dar lezione di contrappunto!... Signor Ricordi, fregiate la vostra Gazzetta con quel nome da venerarsi, parlate alla mente ed al cuore dei vostri buoni milanesi perchè finalmente si pensi ad erigere a quel sommo un glorioso monumento. Perdonate questo profluvio di chiacchcre solamente ispirato da un giusto orgoglio nazionale e dalla Vostra conosciuta sofferenza; la meschinità della lingua c dello stile attribuitela ad un Dilettante provinciale! (i) Missione di guesta nostra Gazzetta è senza dubbio occuparsi principalmente delle produzioni de’ sommi scrittori musicali. ma ella deve in pari tempo tener conto de’ nobili, sforzi di coloro che anche con tenui saggi promettono all’arte nuovi frutti e sempre mag- jj gior lustro. Intenderemo senza dubbio a tributare a suo tempo i dovuti omaggi alla memoria dell’illustre! Asioli, non che a quella, di altri insigni italiani troppo! a torto dimenticati dall’ingratitudine della folla che ij profonde i suoi incensi agli idoli del giorno e non si j cura de’ benemeriti che in una modesta oscurità spe- Il forza, produce una serie di psofogeni sempre crescenti sero i loro studi a vantaggio delle scienze. j in questa, loro energia a misura che il metallo si va Ora amiamo che gli anonimi tutori del nostro ope- j facendo più duro coll’insensibile suo passaggio alla LETTERATURA MUSICALE. Esame e projioNta di ciò elte manca per la coungsiiazicme di «sa trattato di Acissfiea ecc. ( Continuazione: veggansi ifogli N. 2 e 4. ) Riserbandoci di dare in fine dell’analisi di questo libro il quadro sinottico risultante dalla nuova classificazione dell’autore, basti saper per ora, che questo quadro presenta il soggetto (l’udibile) diviso in classi, ordini, generi, specie, varietà c sottovarietà. Gli udibili possono derivare da due differenti processi: regolarmente ne’ luoghi acustici, e irregolarmente da cagioni straordinarie oltre i confini di lai luoghi, come p. c., da una causa morbosa, o d«qualche passaggiero imbarazzo dell’organo uditorio. Perciò si distinguono anche gli udibili in due classi; normali e anormali, i primi de’ quali formano l’argomento principale dell’intero quadro dell’A., mentre poco o nulla si sa de’secondi, confusi finora sotto i vaghi nomi di susurri, rombi, tinniti^ sirigmi,cornamenti, fischi, zufolamenti, bucinameutlec., e trascurati pur troppo nelle fisiologie e patologie, di tuttPv i tempi. Gli udibili normali sono un’efficienza de’ raggi acu- ’ siici, mahifcstanlcsi all’intelletto mediante l’organo uditorio. Questi raggi conservano la loro efficienza originale ed incontaminata nel solo caso di un andamento libero e diretto; essendo forzato o indiretto, vi nascono modificazioni nella velocità, direzione cd ordine; la quale modificazione nell’ordine e la qualità della materia conducente potrebbero dar luogo ancora ad una seconda efficienza combinata colla prima. Siffatte modificazioni e combinazioni fanno dividere la intera Classe de’Normali in tre Ordini distinti, il primo de’ quali contiene i prototipi (dal greco protos, primo, e typos immagine), vale a dire i raggi che arrivano a traverso de’conduttori liberi diretti: il secondo comprende i tipi, o quelli che pervengono a traverso de’conduttori non liberi o indiretti, ed il terzo gli an fi tipi (dal greco ainphi, ambidue), poiché arrivando a traverso de’ conduttori composti constituiscono tante combinazioni degii udibili tipici co’prototipici. PROTOTIPI. Questo ordine si divide in sei generi, quanti ne richiede il maggior o minor grado di semplicità reale o apparente degli udibili compresivi, e sono: elementari, aggregati, psèudo elementari, pseudoaggregati, composti. arcicomposti. I prototipi elementari si dividono in tre specie: i.° psofogeno (dal greco psophos, romorc, c gei nomai, generare), ossia efficiènza elementare dalla quale si ha ogni maniera di romorc; 2.° melogeno ( dal greco melos, canto ec. ), quella che somministra i tuoni, e per conseguenza il canto; 3.° lessigeno (dal greco lexis, parola cc. ), quella clic formando parte essenziale della voce, ne somministra gli elementi principali della parola. II Fsofogeneo. o efficienza de’raggi acustici provenienti da una sola protovibrazione, è modificabile non solo nella sua forza dipendente dalla velocità de’ protovibratori moltiplicata per le loro rispettive masse, ma ben anche in quella specie di particolare energia impressa alla stessa forza da altre circostanze. Didatti, considerando l’immenso numero de’ gradi intermedj clic passa fra la durezza del diamante e la morbidezza di una coltrice, la tenerezza di una gelatina, la scorrevolezza dei liquidi, la fluidità de’gas; fra l’elasticità dell’aria e dell’avorio, e la compressibilità del burro e della cera; fra la rigidezza del vetro c la pieghevolezza di una piuma; fra la duttilità deli’oro e la friabilità di una gleba, fra l’aridità di una pergamena assolata e l’umidità di un’altra macerata nell’acqua: tali gradi estremi e intermedi possono combinarsi sotto diverse forme e proporzioni in ciascun protovibratorc c conduttore (1). Considerando però queste inumerevoli varietà non dal lato della loro origine, ma da quello delle sensazioni che producono, in allora si possono riunire in alquanti gruppi, ciascuno de’quali rappresenta una varietà sola. L A. divide quindi tutto l’immenso numero degl’individui di questa specie di udibili in due. varietà, e due sottovarietà, vale a dire: in isoenergei ( dal greco isos, eguale, e energea efficacia), che producono sensazioni identiche relativamente all’energia di cui è parola; in eteroenergei (da heleros, diverso), appartenenti a tante varietà diverse quante se ne possono distinguere col solo ajuto dell’udito. Gli et ero fisi isoenergei (da physis, natura) sono tante sottovarietà spettanti ad una medesima varietà, e gli etera fisi eteroenergei sono tante sottovarietà di tante diverse varietà ( come si vedrà in appresso ). E. (Sarà continuato). (t) Facendo cadere da eguali altezze eguali masse di ferro, di sughero, di melma, di acqua ec. sopra un selciato o altro pavimento duro, si accorgerà ne’psofo- I geni una particolare energia indipendente dalla intensità della forza propriaménte detta. Lo stesso ferro por- j tato in istato d’incandescenza, e martellato con egual j rato ci onorino di un po’ di pazienza e aspettino a giudicare con severità delle nostre più o meno Uxlevoli fatiche allorachò colla, continuata pubblicazione del foglio, avremo potuto in più largo tempo adempire a tutte le promesse fatte così nel programma come nelle successive note. L’Esiens. temperatura ordinaria. I/acqua nel vóto del così detto martello fisico vi produce lo stesso psofogeno che vi produrrebbe un sassolino o altro simile corpo duro. 32M3r I. 15. StaSailisBaefiato AasiosaaSe IPriTiSegiafo «Si CaSeograila, Copisteria e ’ripoga’afèa Mwsieale «Si I5I€©I$SSI, Contrada degli Ommoni N. 1720.; ’
- ↑ (1) Milano, coi tipi di G. Ricordi.