< Gazzetta Musicale di Milano, 1842
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N. 15 - 10 aprile 1842
N. 14 N. 16

GAZZETTA MUSICALE

N. 15

DOMENICA
10 aprile 1842.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.

STUDJ BIOGRAFICI. CHERUBINI. pochi compositori di 111115 sica ebbero a compire una carenerà sì onorevole e dignitosa peonie quella illustrata dal granile maestro, la cui perdita è ora lamentala dall’intera Europa. Negli ultimi quattro lustri del secolo passato, e negli otto del presente, il nome di Cherubini si udì sempre pronunziato dovunque con rispetto, e tutti gli artisti di qualsiasi scuola riguardarono le sue opere quale tipo del bello musicale, perchè fa purezza e la classica perfezione delle medesime le faceva distinte da quelle concepite dietro le forme predilette dalla moda e per assecondare il capriccioso gusto del pubblico. Rossini, Meyerbeer, Auber. questi rappresentanti della maniera italiana. tedesca e mista, o francese, inchinavansi del pari a questo illustre nome, all’uomo celebre le cui opere furono da essi studiate, a colui che avendoli preceduti nella carriera, additava forse da lungi le orme che ei doveano seguire. Lo stile di Cherubini, meno italiano di quello di Mozart (e perciò da qualche critico del secolo scorso tacciato di poco melodico) e più puro di quello di Beethoven, è quasi una ripristinazione dell’antica scuola d’Italia arriccilita delle scoperte dell armonia moderna. Io credo, cosi prosiegui Adam nella sua necrologia, che se Paleslrina avesse vissuto alla nostra epoca, sarebbe stato Cherubini^ in lui la stessa purezza, la medesima sobrietà di mezzi, lo stesso risultato otténuto con cause quasi misteriose: giacché all’occhio la loro musica ofi’re molte combinazioni delle quali non è possibile indovinare l’effetto, se prima l’esecuzione non le rivela all’orecchio. Però, diversamente da que’ maestri, ai quali è dovuta una grande rivoluzione nell’arte. Cherubini non ha segnata una compiuta trasformazione di stile. Contemporaneo di Ilaydn.Mozart, Cimarosa Beethoven. Rossini,sembrò ch’ei fosse posto fra questi genj. quale un moderatore, il cui savio e fermo giudizio servir dovesse a tener sulle guardie tutti i satelliti di que’ luminosi pianeti contro il traviamento dell’idealismo. Egli rappresentò in certo modo la ragione posta vicino all immaginativa onde guidarne gli slanci, e reprimere le smodate licenze. In forza del sistema preciso e quasi matematico seguito di preferenza da Cherubini, della sua propensione a sviluppare le idee con un’accurata e larga fattura, e della sua renitenza a sottomettersi alle esigenze del momento, le composizioni di lui invecchieranno più tardi di molte di altri autori. accolte al primo lor comparire fra gli esultanti clamori del pubblico. Confrontate infatti le prime opere di Mozart con quelle di Cherubini, composte press a poco nell’istessa epoca ( essendo nati i due sommi maestri a quattro anni di distanza l’uno dall’altro), e rimarrete sorpresi scorgendo che alcuni passi di Mozart vi parranno diventati vecchi, laddove negli sparliti di Cherubini nulla troverete che vi accenni il tempo in cui furono composti. Pertanto non deve recar meraviglia se con una tale austerità di forine, Cherubini non ottenne sul teatro un successo veramente popolare se non colle Due Gioì nate. Diremmo quasi ch’ei disdegnasse gli applausi de’ suoi contemporanei. per aver miglior diritto ad essere ricompensato delle dotte sue fatiche coll’ammirazione de posteri. Cherubini ( Maria-Luigi-Carlo-ZenobioSalvatore) nacque a Firenze il giorno otto settembre 47GO. All’età di sei anni cominciò ad apprendere i primi elementi della musica, ed a quella di nove applicossi alla composizione sotto Bartolomeo ed Alessandro Felici: più tardi passò sotto la direzione di Pietro Bizzarri e di Giuseppe Castracci, e tutti questi oscuri maestri devono al chiarissimo allievo se il loro nome non cadde nell obblio. Nel 1773, prima di toccare il tredicesimo anno, fece eseguire a Firenze una messa solenne ed un intermezzo di sua composizione, a cui tennero dietro non pochi altri lavori di musica sacra ed alcune cantate. Il pubblico accolse con distinto favore que’ precoci frutti di un notevole ingegno, ed il Gran Duca di Toscana, il munifico Leopoldo II, lo accolse sotto la speciale sua protezione e verso il 1778 gli accordò una pensione, onde si recasse a Bologna a compir l’educazione musicale sotto il celebre Sarti. Ivi quattro anni d indefessi studi svilupparono il suo talento e gli diedero quella convinzione profonda dell’arte, quel superiore dominio del contrappunto e quel sentimento delicato delle varie bellezze di stile che no tarisi in tutte le opere ch’ebbe a comporre. Non guari andò ch’ei venne a sussidio del suo maestro il quale da sé solo non poteva bastare al disimpegno delle commissioni che gli giugnevano da tutte le parti; e compose molti pezzi che il Sarti, poiché li ebbe corretti, non si fece scrupolo di attribuirsi, tanto che furono applauditi sotto il suo nome, segnatamente nell Achille in Scino, nel Giulio Sabino e nel Si/ve. Nell istesso tempo e prima di abbandonare definitivamente la scuola di Sarti, il giovane artista cominciò a comporre e ad aver fortuna per proprio conto, producendo nel 1780 ad Alessandria il Quinto Fabio, e nel 1782 a Firenze Vi muda ed il Messenzio, ed a Livorno l’Adriano in Siria. Nel seguente anno rifece sotto nuova forma il Quinto Fabio, ove produsse anche Lo Sposo di tre donne; poscia ritornato a Firenze nel principio del 1784, a | quel teatro colse plausi coll Lialide, recessi quindi a Mantova per dare alle scene YAlessandro nelle Indie. L’esito di queste Opere gli procacciò di esser chiamalo a Londra verso il finir del1 istesso anno. Ivi ebbe il titolo di compopositore pel teatro del Re, poi di direttore della società filarmonica, e s’acquistò non volgar lode componendo la Finta Principessa. un Godio Sabino che questa volta era per intiero di sua fattura e fu cantato da Cr escentini ellabini; ed alcuni pezzi nuovi introdotti nelle vecchie partiture di altri compositori. Nel 1780. da Londra nel mese di luglio si trasferì aParigi, ove stretta amicizia con Viotti. il violinista riformatore, questi introdottolo nelle migliori società tra le quali veniva con entusiasmo festeggiato, lo lece decidere a fermarvi dimora. Cherubini non tardò molto a cattivarsi i suffragi di tutte le distinte persone di quella capitale, e venne ben anco presentato alla Regina. Da quell’epoca in poi egli appartenne alla Francia. E non di meno nel )788 fece un viaggio di breve durata in Italia, che non dovea più rivedere. e nel passare per Torino diresse le prove della sua Ifigenia in À alide., alla ([naie arrise prospera sorte principalmente per un bellissimo terzetto che anche a" di nostri si eseguisce nelle Accademie e si ammira dagli intelligenti. Di ritorno a Parigi, Marmontel gli affidò un suo poema drammatico, cioè quanto avvi al mondo di meno poetico; e Demojoonte (che non è da confondersi coll’altro messo in musica da Yogel), frutto della sua associazione con quell’uomo di lettere, venne rappresentato il 2 dicembre dell’istesso anno al teatro dell’Opera, e non piacque. Ciò non pertanto le maschie bellezze di quello spartito diedero argomento ai conoscitori di presentire quanto era da ripromettersi dall autore in quel genere grandioso e severo. e qual lustro egli avrebbe col tempo o arrecato alle scene francesi. Molte cause contribuirono alla infelice riuscita del primo saggio di una maniera di composizione nella quale Cherubini accennava di voler! ili 1 lidi CALE. B Bl£S£E£Cft trattato A. 2 e 4. ) di questo iiva classificali est o quadro assi, ordini, nti processi: mente da cai3 come p. e., ggiero imhaguDiio anche ali, i primi ’ intero quaecoridi, conmbij tinniti? n Gii; e ijji.ee.,!ogiadi tu tip* ’ raggi acute l’organo licienza oriandamento vi nascono ne; la quale Materia conseconda ef’iti razioni e de’ Normali» tiene i prom mafine )3 ‘ conduttori quelli che ieri o indiambidue V, nposfi confici co’ procinti ne riità reale o lementari, ali, comoda: gei nomai, naie si ha eco melos, 3 per concai, pac della vola parola, ■ivi pròveabile non de’ protoasse, ma impressa considerile passa i una colfiozza dei 1l’aria e Ila cera; una pinna gleba, nidità di ’ e interpropor- • Considal Iato che progruppi, a. L A. ividui di sottova, eguale, dentiche lenergei ìetà diio ajuto natura) ima va3varietà.sso ). E. lo). masse pra un ’ psofoi ni euro poregual sconti > alla detto rinunciare alle forme della musica italiana fin allora da lui‘seguite. Vogel era morto da poco tempo: sapevasi comunemente aver egli lasciato nelle sue carte un’Opera pur essa intitolata Demqfoonle., la cui sinfonia due volte crasi eseguita con clamoroso effetto al Circo Olimpico si aspettava quindi un’Opera degna della sinfonia, tanto clic dominati da si grande prevenzione gli ascoltatori si mostrarono severi per uno spartito dettato sul medesimo tema. Nella seguente estate prodottosi il DernoJoonle di Vogel, non fu punto più fortunato di quello del maestro italiano. La sola sinfonia sopravisse e divenne celebre. La musica di Cherubini è jjoì notevole per elaborata fattura, superiore a tutto ciò che allora in Francia conoscevasi ( è il signor Fétis che parla) e superiore alla portata dell’intelligenza ordinaria de’ frequentatori del teatro dell’Opera; il qual merito essi non credevano potesse bastare a compensare il difetto di calore e d’interesse drammatico che polevasi rimproverare all’insieme dello spartito. Nel Demofoonte si distinguono varj pezzi ed in ispecie un coro (Ah! vous rendei la vie) i quali pel merito dell’istrumenlazione, per la disposizione delle voci, e per la purezza di stile, all’epoca in cui l’Opera fu scritta, poteansi dire vere creazioni e preconizzavano una nuova scuo a. Nel 4789. Léonard, parrucchiere della Regina, ottenuto il privilegio del Teatro Italiano, associossi Viotti, che si trasferì in Italia, onde porre insieme quell’eletta compagnia che per molto tempo formò la delizia de’ parigini ed in cui annoveravansi Viganoni, la Moricbelli e l’inimitabile Raffanelli. Là direzione del Teatro Italiano volle affidarsi a Cherubini, il quale colle assidue sue cure ed i suoi consigli non solo fu giovevole all’esecuzione delle Opere che venivano rappresentate con mirabile perfezione, ma ben anco, pel vantaggio delle medesime Opere, e può darsi eziandio per soddisfar a’ capricci de’ cantanti, riprese 1 uffizio di collaboratore anonimo. Non pochi amatori ed artisti si ricordano ancora del delizioso quartetto - Cara., da voi dipendeposto ne Viaggiatori felici; dell’altro quartetto meno conosciuto ma non meno bello per l’Opera Don Giovanni-di Gazzaniga; e del trio inserito nell Italiana in.Londra squarci che, confrontati al Demofoonte ed in ispecie alla Lodoislca scritta nell’istesso tempo, attestano che il loro autore possedeva a quel tempo due maniere assai distinte: una semplice, soave e spontanea come quella di Cimarosa e Paisiello; l’altra severa, meno melodica, proclive agli effetti delle modulazioni e dell’armonia, ricca e vigorosa nell’istromenlaziono, più drammatica ed energica, ed appoggiata a felici contrasti di colorito. Questa seconda maniera è quella che caratterizza i lavori di Cherubini destinati alle scene francesi e la maggior parte della sua musica sacra. La Lodoislca rappresentassi nel 1791 al teatro Feydeau, e questa bella composizione grandiosamente condotta produsse una sensazione profonda, e giusta, il già citato Fétis, fece una rivoluzione nella musica francese, e fu l’origine della musica di effetto che tutti i compositori moderni hanno imitato con varie modificazioni. Pertanto furono veduti i maestri della scuola francese, particolarmente Méliul, Steibelt, Berton, Lnsueur, Gretry stesso, mettersi in quella nuova via ed introdurvi soltanto al’liiy, cune differenze risultanti dal loro genio. Per verità l’immortale Mozart colle ]ozze di Figaro e col Don Giovanni aveva già rivelalo tutto l’effetto che le grandi combinazioni armoniche, le belle disposizioni istromentali unite a vaghe melodie, potevano produrre: ma quelle Opere, forse intempestivamente comparse, e stiam per dire, superiori alla intelligenza degli stessi compatrioti! di Mozart, a quel tempo erano interamente sconosciute agli stranieri. Non rimane quindi dubbio che Cherubini non abbia ubbidito alle sue proprie inspirazioni nel genere da lui introdotto in Francia: il che è poi provato fino all’evidenza dal paragone del suo stile con quello dell’illustre suo predecessore. La rivoluzione.principiala dallaLodoisha all’istesso teatro, con esecutori più atti alle grida che a dar risalto alle bellezze del vero canto, venne compiuta coll Elisa o il Monte di San Bernardo (1794): nella quale Opera è notevole la magnifica introduzione col coro di frati in cerca de’viaggiatori seppelliti sotto la neve, componimento pieno di un carattere vero e toccante, non che l’originale scena della campana che senza interruzione si fa sentire dal principio alla fine del pezzo; colla Medea (1797) Opera di uno stile severo, e più completa delle precedenti; in essa madama Scio fu ammirabile; coll’Osteria Portoghese (1798) che non ebbe esito fortunato abbenchè preceduta da un’eccellente sinfonia e ricca di un bellissimo terzetto buffo; e finalmente colle famose Due Giornate. E qui si noti che non abbiamo voluto tener conto delle composizioni di secondaria importanza, come a dire la cantata in morte del Gene: ■ale Iloche., la Punizione. Prigioniero scritta in compagnia diBoieldieu, 1 Epicuro con Mehul e lo Kou/ourgi rimasto inedito, e non mai rappresentato. Si fu nel 1800 che per la prima volta apparve al teatro Feydeau 1 OperaleZW Giornate o il Portato:’ di acqua. Bovilly compose l’interessante melodramma, ben altra cosa delle ridicole ed agghiacciate azioni liriche che tanto avevano nociuto all’effetto de’precedenti spartiti di Cherubini. L’esecuzione era affidata alla Schio e Gavaùdan, e a Gaveaux, Jausserand Juliet. l’abile protagonista e Platel. Più di duecento consecutive rappresentazioni non iscemarono punto l’entusiasmo de veri conoscitori per questa composizione musicale, in modo singolare distribuita, ossia all’eccezione di un duetto e di una canzone, composta per intero di pezzi concertati e di cori. Una tale distribuzione sovverti bruscamente le abitudini che aveansi in un’epoca in cui non poche Opere si componevano presso che di sole arie. La musica delle Due Giornate si distingue per uno stile pieno di vigore e di venustà: le armonie e le parti istromentali vi sono dispostele condotte con spontaneità, forza e chiarezza sì mirabili, da superare anche oggidì ogni confronto, ove sieno messe a paragone colle composizioni moderne, nella più parte delle quali le negligenze e gli errori passano qualche volta inosservati in grazia dello strepito e della confusione che regna’ nell’orchestra e nelle soverchie combinazioni armoniche. - La sinfonia è di un carattere assai marcato. 11 magnifico finale del primo atto non potrebbe esser concepito con maggior espressione e verità drammatica e seducente varietà di colorito: questo pezzo vien annoverato fra le più grandi creazioni dell’arte musicale. Quello del secondò atto, di un genere differente. merita pure illimitati encomj: in osso soprattutto deve ammirarsi l’inesprimibile fi- & nezza de’movimenti istromentali in singoiar modo appropriati alla situazione del dramma: allorché i due offiziali dicono:Executez Ics ordres dii cèlebre Mazarin o qualche cosa di simile, l’orchestra fa sentire una marcia ad armonie religiose, una specie di canto fermo elaborato che si direbbe destinato a ricordare con finezza imitativa le gravi eminenti funzioni del prelatoministro: l’andamento delle viole al momento dell’evasione del conte, ha qualche cosa di misterioso che seduce; ed il coro, che si unisce ad una marcia brillante, è di effetto al sommo pittoresco, e si offre ricco di un lavoro armonico di gusto sì squisito che il prestigio di quella invenzione già tanto originale è a più doppii accresciuto. Il terzo alto, quasi tutto a cori, è degno del rimanente dell’Opera: i ritornelli che framezzano il dialogo ordinario, sono di una bellezza rara. Nella prima rappresentazione delle Due Giornate, allorché si udì l’inspirato slancio e la sublime transizione sulle parole - o celèste providence - del finale primo, l’entusiasmo non ebbe più limiti, e tutto il teatro rintronò d’inusitate acclamazioni e grida, ed appena calata la tela, molti allievi del Conservatorio, scavalcata l’orchestra si arrampicarono sul palco scenico e là vollero abbracciare il sommo maestro. Terminala l’Opera, Grefry, clic pur non amava altra musica traimela propria, postosi a capo de’ migliori compositori che allora si trovavano a Parigi, andò a congratularsi con Cherubini. In Germania le Due Giornate sono tuttora nel repertorio di molti teatri; quanto prima a Parigi verranno riprodotte all’O/ièra-comir/iie. In Italia, a’giorni nostri così dal pubblico come in parte anche da’ signori maestri e dilettanti, questo insigne spartito di Cherubini é abbandonato all’obblio, nel modo stesso che più non si hanno in verun conto tutte le grandi produzioni che precedettero quelle di Rossini. E quando mai avverrà che noi, che pur ci vantiamo il primo popolo musicale del mondo, sapremo rintuzzare la taccia pur troppo meritata che di continuo ci vien mossa da oltremonte, per la colpevole nostra trascuranza dei capolavori dell’arte? (’) I. C. (1) La seconda parte di questo articolo si darà in altro foglio, ad uno dei prossimi numeri si unirà parimente un pezzo delle Due Giornale. POLEMICA MUSICALE. Nell’Appendice della Gazzetta p ri Aleggiata di Milano N. 93, il signor G. R. Menini offre un cenno storico della così detta Riforma Musicale del sig. E. Gambale, dal qual cènno parrebbe doversi inferire che il pubblico tutto fu ingiusto e scortese in accogliere con assoluto disfavore la proposta innovazione, e che 1 periti della scienza, tranne alcune poche eccezioni, ebbero gravissimo torto a non degnarla cb.e di scherni e di celie. Lodiamo lo zelo del signor Menini, il quale, per essere semplicemente letterato e quindi non atto a giudicare da sé medesimo del reale valore della Rifórma Gambale, dedicò passivamente la sua penna a redigere le ispi- jHL razioni di persona troppo parziale alla Hi- | V forma stessa; ma ad un tempo non possiamo a meno di fargli osservare alcune ine- fìSSI sàttezze del suo Cenno storico. Egli avrebbe dovuto almeno farsi carico di dirne alcuna aS cosa: -i.0 Degli elaborati articoli che il signor uu Geremia Vitali nostro collaboratore, pubù blicò nel Messaggere torinese, e del minuto esame critico cui sottopose l’opuscolo del riformatore, i! quale rispose in modo ben poco persuadente allo scrittore del Messaggere. 2.° Delle dottissime osservazioni inserite subito dopo nel Messaggere stesso dal chiariss. maestro L. Rossi di Torino, non punto combattute dal signor E Gambale, cui anzi, a giudizio nostro, rimase il torto di aver replicato con soli sarcasmi a ragioni molto chiare e con ogni maggior riserbo esposte. 5.° Della dotta lettera che fino dal Luglio passato, il maestro Picchi pubblicava nella lodata Rivista musicale di Firenze, all’uopo d’esporre i molti suoi dubbii sulla validità della proposta Riforma, alla qual lettera non fu data linora veruna risposta nè dal medesimo signor Gambale, nè da altri de’ suoi fautori. Avremmo per ultimo bramato che il signor G. B. JVIenini, invece di farci consapevoli di cose già ripetute più volte sui fogli, si fosse data la pena d informarci dei felici esperimenti pratici che a quest’ora dovrebbe il sig. Gambale poter vantare in appoggio del nuovo suo sistema di semplificata notazione. Questa nostra Gazzetta tardò finora a prendere parte a questa quistione nella lusinga appunto che il detto signor Gambale avesse o tosto o tardi a saper somministrarci i mezzi di difendere la sua causa un po’ meglio che non ne sembra possibile al presente. 11 nostro silènzio vuoisi adunque interpretare non da altro consigliato che da un dilieato riguardo a persona che tanto si sforza a rendersi benemerito alla musica. Però se il sig. Gambale continuerà a non combattere i suoi oppositori che con parole prive del fondamento dei fatti, ed a credersi vittorioso per le sole attestazioni favorevoli di alcune isolate celebrità musicali (il cui voto in simile disputa che interessa tutto il mondo artistico, non può avere che un peso parziale), noi.ci crederemo autorizzali a considerare per valide le obbiezioni già emesse colla stampa periodica a carico della contrastata Riforma. e ci riterremo anzi in dovere di aggiugnc-re quelle che sapremo dettare per nostro conto e di accettarne tutta la responsabilità. PEDAGOGÌA MUSICALE. Qua unque opinione abbiasi dello stato presente dell’arte musicale in Italia, egli è un fatto incontestabile che la cultura di quest’arte vi comparisce attualmente in un grado di notabile incremento, avendo a ciò contribuito principalmente i recenti perfezionamenti dei metodi d’istruzione in ogni ramo di essa. Ed è per questi nuovi metodi che le precocità sono in oggi si frequenti tra noi da non recar più meraviglia l’incontro di impuberi giunti quasi a sormontare tutte quelle complicate difficoltà meccaniche, che presenta l’odierno maneggio di un qualunque siasi strumento musicale-, nè più la interpretazione di indigeste teorie costringe lo studiente contrappuntista a logorarsi le forze intellettuali per otto o dieci anni, oggi che nel periodo di quattro, o cinque al più. quando vi si uni«scano le necessarie disposizioni ed una applicazione conveniente, si può senza eccesso eli fatica percorrere tutti gli stridii dell’armonia, del contrappunto, e di tutto ciò che possa assoggettarsi all’insegnamento nella diffidi arte di compor musica. La didascalica musicale, che dopo il risorgimento delle arti, prima che altrove ri! comparve adulta in Italia per opera di Zarlino. in questo suolo istesso ricevè grandi sviluppamenti nel corso di circa due secoli. Ma il più forte impulso alla simpliticazione dei metodi venne a noi dalla Francia, ed è cosa ammirabile, fu dato esso in momenti che gravi calamità sociali affliggeano quella nazione. La primitiva istruzione elementare della musica, e particolarmente del canto, presso i francesi manteneasi per le cure e pei sussidii del clero, allorquando pei trascorsi della rivoluzione rimanca quello impoverito, disorganizzato, distrutto. E tale avvenimento producendo il timore della perdita di una delle più nobili arti che onorano 1 umano spirito, sollecito erigevasi un istituto di musica in Parigi, comandato per legge della Convenzion nazionale il 28 brumale, anno secondo della repubblica; nè si può non ammirare quest’atto di grande amore di civiltà che manifestavasi in mezzo ad azioni popolari totalmente opposte. La prima operazione di quei benemeriti artisti fondatori di tale istituto ( oggi Conservatorio di musica di Parigi ) fu il rivolgere la loro attenzione all’insegnamento primitivo dell arte, che equivale a riprendere una fabbrica dai suoi fondamenti per tentar di renderne più solida, più comoda e più perfetta la costruzione. Ed affinché giudicar meglio si possa dello spirito da cui quegli onorevoli membri furono animati, ci piace riportare le medesime loro parole espresse in una deliberazione de’ 12 fruttidoro anno secondo. -!.° L’Istituto considerando che la precisione e la semplicità dei prìncipii elementari sono la base costitutiva di una buona scuola; che questi prìncipii nel medesimo tempo che devoti tendere ad aggrandire il circolo delle cognizioni devono ancora essere spogli dei sofismi sistematici consacrati dalP uso - Decreta. - 2.° Gli artisti dell’Istituto si occuperanno della /ònnazione delle opere elementari per lo studio ilella musica, del canto, dell’armonia, della composizione, e di tutte le parli strumentali, ecc. In breve tempo la stampa fece circolare per tutta Europa i nuovi melodi, i quali se non comparvero allora portati ad una conveniente perfezione, furono non ostante sufficienti a tracciare una nuova strada da seguùsi nei diversi rami dell insegnamento musicale, rilasciando alla esperienza il carico di appianarla e condurla a quel punto da giungere alfine a quei risultamenti sopra discorsi. Ma in mozzo a questo movimento progressivo ci sembra scorgere una parte che di egual passo non corra. Ella è questa la primitiva ed elementare istruzione nel canto, causa per cui tra la moltitudine degli individui dotati di una organizzazione favorevole, e che si danno all’esercizio della musica vocale, scarso oggi è il numero di quelli che a prima vista sien capaci ad eseguire correttamente una parte di un Coro, di un pezzo concertalo, o di un solo, e di stare in questo rapporto a livello anche con uno strumentista comune. Questa deficienza primieramente è I da addebitarsi alla abolizione di una quandi di Cappelle Jisse che altra volta cs.«stevauo in tutta la nostra penisola, per le quali si esigevano cantori pronti e sicuri nell’esecuzione estemporanea, lo che richiedeva più fondati stridii nel Solféggio elementare di quelli che per pigrizia, o per risparmio di tempo si vogliano oggi sopportare; c< sicché la è una preziosa rarità il ritrovar fra i giovani >111 cantante, che oltre le doti naturali e la necessaria cultura dello spirito, possieda la scienza degli intervalli, conosca per principi!, e sappia praticamente valutare i rapporti modali di ciascun suono (senza di clie manca l’unico appoggio alla intonazione), che possegga la teorica dell’armonia, ecl altre cose simili, non solo di somma utilità, ma di necessità assoluta per divenire un perfetto cantore. Nè mai si voglia credere che coll’accennare tali difetti di puro sistema scolastico, sia mio intendimento il far presentire una decadenza fra noi della divina arte del canto; cosa al certo di remoto avvenimento, perchè, sia effetto della lingua del bel paese là dove il sì suona, oppur dolcezza di clima, od altra causa influente sull’organismo individuale, la dolce melodia ed il bel canto è insito nel popolo italiano, e si identifica colla sua esistenza. Neppur la mancanza di maestri abili che lo insegnino vuoisi rimproverare, giacché per ogni città d’Italia ve ne hanno eccellentissimi, presso dei quali ricorre lo straniero clic desidera l’acquisto di un perfezionamento in quest’arte. Ma abbenchè in tutte quelle particolari scuole l’uso del solfeggio formi la base degli stridii, pure i solféggi di [iredilezione sono oggi quelli che soltanto tendono al maggiore sviluppo e al faci! maneggio della voce, e che conducono all’acquisto di quelle forme di canto proprie dello stile del teatro, ove ogni studente agogna di prodursi per cingersi d’allori e per cumular ricchezze, ed ove la necessità di cantare a memoria dispensa dall’abilità di una improvvisa lettura della musica. A pareggiare i perfezionamenti della pedagogia musicale in Italia non resta dunque altro a desiderarsi, che sorgano apposite scuole di primitivo ed elementare insegnamento della musica e del canto che suppliscano a quelle che in altro tempo esistevano nei collegi, nei seminari, e nelle cattedrali, e come non ha molti anni vennero istituite nella Francia, ove ora il canto elementare va facendo notabilissimi progressi, Specialmente per un ingegnoso metodo ritrovato dal signor Williem. Questa riflessione dello studio del canto nella classe specialmente dei giovani artigiani d’ambo i sessi, se la non può contribuire direttaniente a formare artisti di musica, perché altra sorta di studii loro abbisogna, oltre un apposito organismo ed altre naturali facoltà di grado superiori al comune, lascia però intravvedere una maggiore utilità sociale. E di fatti una delle principali cagioni della moralità popolare della Germania vuoisi generalmente attribuire alle scuole di musica dei villaggi, le quali mentre occupano la gioventù in un piacevole ed innocuo divertimento, salvandola cosi dal pericolo di abbruttirsi pei vizi clic sovente l’ozio promuove, alimentano in essa anco uno spirito di pura e santa religione lo che pacifici rende ed onesti quei popoli. E come è provato che gli esercizi ginnastici contribuiscono allo sviluppo delle forze corporali, dei pari le belle arti contribuiscono al perfezionamento dei sensi; giacché avvici,e che l’occhio del pittore veda ben al trimenti e più minutamente di chi non abbia fatto studio sul disegno, come per l’esercizio della musica grande sviluppo e squisitezza ne avviene all’udito, che tra i ministri dell’anima e dell’intelletto, esso il primo fu sempre stimato dai più profondi filosofi sì antichi che moderni.

Egli è in questo punto di vista che nelle attuali condizioni sociali europee, la musica potrebbe assumere un carattere assoluto di utilità generale, e riprendere una parte dei suoi primitivi diritti, di cui ella godè nel più alto grado nell’antica Grecia.

Luigi Picchianti.




MUSICA SACRA.

Lo STABAT di Rossini dato alla Scala le sere del 4 e del 6 Aprile


Due esecuzioni di codesto Stabat hanno avuto luogo nel nostro maggior Teatro: la prima il 4, e la seconda il 6 Aprile. Esecutori delle primarie parti furono le signore Micciarelli - Sbriscia ed Abbadia, ed i signori Fedor ed Auconi. A maggior lustro e decoro di siffatta solenne circostanza fu savia intenzione quella di aumentare le masse de’ cori e dell’orchestra. Gentilmente tutti o pressoché tutti i nostri professori e dilettanti accettarono di buona voglia l’invito, e l’orchestra contava con ciò centoventi parti, e più di cento pure ne contavano i cori.

Toccheremo brevemente della seconda sola di queste due esecuzioni, come di quella, che per migliore assieme ed accuratezza di coloriti si meritò applausi più caldi e più sinceri dal nostro pubblico. L'introduzione venne eseguita con diligente accordo nel suo complesso, e il movimento del tempo preso più lento che non alla prima sera produsse doppio effetto. I piani e i forti ne furono a sufficienza osservati specialmente dall’orchestra, e fu bene inteso quel lieve incalzar del movimento all’ultimo forte, che prepara con tanta imponenza la chiusa di questo magnifico pezzo. Avremmo amato però che le ultime terzine legate dei soprani, colle quali va decrescendo a perdersi pianissimo questa grande cadenza, ed a cui rispondono nella misura susseguente quelle dei tenori, fossero state eseguite assai più legate e più sottovoce. L’aria che segue, abbenché tutt’altro che propria ai mezzi delicati del signor Fedor, fu detta pur con garbo: ma l’istrumentale oltremodo caricato ne faceva perdere notevol parte dell’esecuzione cantabile. Il Duetto de’ due soprani fu bene accentato ne’ primi due soli sì dalla signora Micciarelli, come dalla signora Abbadia. Ma nella seconda parte l’accordo mancò, in ispecial modo in quella scaletta cromatica discendente per terza, la quale oltremodo difficile ad eseguirsi, anche ben eseguita deve, ne sembra, riescire alla massa degli uditori dura ed aspra. Anche gli ultimi trilli della cadenza siti sulla vocale u della parola cum producono cattivo effetto. Nè qui incolpar vogliamo per certo le due zelanti esecutrici. Il signor Anconi interpretò pure diligentemente l'Aria che segue. Codesto artista possiede una bella ed estesa voce di basso; le sue note profonde si, la, sol, fa, anziché essere cupe o cavernose, come quasi sempre riscontransi nei bassi giusti, sono dolcissime, ma ad un tempo sensibilissime. Nè con questo disaccordano le superiori, ed anzi il carattere della sua voce vorrebbesi giudicare pressoché di baritono; se non che egli dimostra di non poter ascendere che a stento fino al mi b, in guisa che fa forza anzi, come comunemente dicesi, puntargli molte note in quest’aria, il che pregiudicò grandemente l’effetto.

Il pezzo d’assieme a voci sole Eja mater, fece viva impressione, e l’avrebbe ottenuta doppia se più accuratamente si fossero osservati i valori delle note ed ogni inflessione e chiaroscuro segnato dal compositore. E ciò che nota assoluta mancanza di sufficienti studi alle prove si è la singolare bonomia colla quale tutto il coro, alla seconda transizione dell’Ut sibi complaceam in la bemolle, non si faceva nessun carico di interpretarla come prima in la naturale. Buon per noi che nessuno de’ signori coristi avvisò di procedere dritto sulla giusta strada; epperò il pubblico nulla ebbe a soffrire da codesto grosso sbaglio, che avvertito dagli intelligenti li fece forse sorridere. Anche le crome spezzate delle ultime misure sottoposte alle sincopi de’ soprani voleansi udire molto più secche, e totalmente a mezza voce.

Il quartetto seguente non sembra dal compositore ideato a pretendere effetto piccante: però l’esecuzione ne fu netta e precisa, ad eccezione di quelle note secche del soprano secondo e del basso, le quali si prolungavano per più che mezza misura, mentre il maestro, coll’averle marcate soltanto con brevissime crome, pare intendesse non volerle in altro modo eseguite.

Anche la cavatina che succede non ne pare componimento che pretenda a grande effetto, e per verità ben poco ne ottenne, abbenché lodevolmente interpretata e colorita dalla signora Abbadia.

Forseché i suddetti pezzi furono svolti dal maestro con volontaria parsimonia d’effetto allo scopo di produrre un maggior scuotimento coll’aria famosa del soprano.

Quantunque a noi sia sembrato che la prima parte potesse interpretarsi con maggior fuoco e meno vezzosamente dalla signora Micciarelli, pure ella si merita molti elogj per l’ultimo slancio di quel do acutissimo, che poi si rimette possente sul sol, e che si stacca vivo ed ardito in mezzo a tutta la massa del coro e dell’orchestra.

Dalla diversità di tinta, a nostro parere non conveniente, che la signora Micciarelli dà all’esecuzione di quest’aria, siamo indotti a credere che ella pure siasi proposta una tal quale economia di effetti. Ma chi giudichi dall’indole di questo pezzo, deve argomentare che esso abbia ad essere eseguito per intero con caldo slancio, e a pieno impeto di voce, e diremmo quasi, con enfasi di dolore e di affetto.

Il difficilissimo quartetto a voci sole fu nella seconda sera assai bene cantato, ed il pubblico che alla prima esecuzione non aveva potuto menomamente gustarlo, ne volle quest’altra volta a gran clamore la replica. Facciamo osservare di nuovo che il quartetto è oltremodo difficile, e che molta lode è dovuta all’esecuzione quasi perfetta de’ quattro artisti.

La Fuga finale lasciò al tutto freddo l’uditorio, del che non è a darsi colpa agli esecutori. Però, non dobbiam tacere che l'ultima cadenza dove i soprani si spiccano con quelle magnifiche note acute, ci ha consolati in qualche parte dell’aridezza del primo concetto.

Ora si aggiunga: se anche noi consentiamo di lodare un sufficiente accordo nei cori, un buono ed energico assieme nell’orchestra, e più ancora lo zelo e l’accurata esecuzione de’ sullodati quattro artisti, non possiamo però acconsentire che le parti ad essi affidate, lo fossero opportunamente ed in modo da far emergere tutte le bellezze di questo decantato lavoro. Ben maturata, opportuna e insomma, perfetta esecuzione si richiede, perchè il pubblico possa apprezzare le ispirazioni di un maestro, ma questo, a nostro giudizio, osservate le cose nel tutt’insieme e cogli scrupoli di una critica esigente, non fu il caso dello Stabat di Rossini dato alla Scala, massime la prima sera. Dal che si deve inferire che del vero merito di questa composizione sì decantata noi non potemmo ancora formarci piena e giusta idea; epperò, non abbiamo saputo partecipare se non limitatamente all’universale entusiasmo. Non per tema che avesse ad essere menomamente pregiudicata la fama di Rossini, chè Rossini più non ha bisogno del giudizio d’un pubblico, ma per semplice rispetto al suo nome, pare a noi che assai ma assai più doveansi ponderare il momento ed i modi opportuni per esporre sul primo teatro del mondo questo capolavoro.

A. M.





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