< Gazzetta Musicale di Milano, 1842
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N. 48 - 27 novembre 1842
N. 47 N. 49

GAZZETTA MUSICALE

N. 48

DOMENICA
27 Novembre 1842.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.


AWERTHIESTO «Col foglio di Domenica prossima si darà ai signori Associati la tanto lodata aria «Pria che spunti in ciel l’aurora» nel Ma tu i no sto Segre to, di Cimarosa. Questo pezzo sarà lottavo dell’Antologia Classica Musicale, il ’cui primo volume di ’156 pagine verrà compito quanto prima con altro pezzo scelto». COSTUMI TEATR ALI LE OPEREDI»IP1E«0 MFUBSSiOAi inoiuSTicnc ’Ili non fossepunto informato dei!,costumi teatrali italiani d’oggidì Sscrederebbe che, allorquando si - _^va a diseppellire dal suo obhlio una vecchia partitura per regalarla al colto pubblico d’utt qualche teatro di primo ordine, questo si faccia o nel caso in cui le parti di quell’opera calzino cosi bene alla varia capacità artistica de1 cantanti cui vuoisi affidare, che costoro abbiano a farci una figura magnifica e a mettere in delizie gli uditori, ovvero nell’altro caso del merito sì splendido, sì sublime della musica, per cui anche un’esecuzione imperfetta non valga a scemarne il prestigio, e tant’e tanto l’effetto debba essere più che strepitoso.... Ma il poverino che formasse questo giudizio ogni qualvolia gli venga veduto, sui cartelli del nostro gran teatro, l’annunzio di un’opera di antica data richiamata all onor della scena dopo più e più anni di letale silenzio, si ingannerebbe della grossa. D’ordinario avviene all’incontro che la scelta delle opere vecchie che si riproducono sui primarii teatri italiani è dettata o da ragioni di camerino o da meschine convenienze tecniche, o da pretese vane e imperiose che fanno alle pugna col retto senso artistico, e mettono sott’ai piedi quell alto discernimento e criterio che presieder dovrebbe alla superiore direzione delle cose teatrali. Il pubblico è noiato dell’aver udito per chi sa quante sere uno spartito, e c’è quindi la necessità di mutare lo spettacolo musicale, e non si ha lì pronto uno spartito, appositamente composto pe’ cantanti della stagione? - La è cosa subito fatta: si misura un tanto la spanna l’estensione della voce della prima donna (per la quale di solito si hanno i primi riguardi) e sol che si trovi chela tessitura della parte di soprano di un dato spartito, nota più nota meno, si attagli alla meglio a quella dell’orgarto vocale di madama la’protagonista, e si offra a mettere in ispicco le sue così dette risorse di gola, e ci sia per pezzo di sortita una cavatina di bravura da imporne ai bevigròsso, ed infine dell’opera qualche grand’aria a strepitoso effetto, tanto per finire lo spettacolo colle consuete smanie tragiche,... e la scelta è beffe fissata! Che poi le altre parti dello spartito combinino più o men bene coi mezzi di voce degli altri cantanti, questo poco imporla; o pel meno si fa presto con quattro tirate di penna a smozzicare i passi troppo alti, a tirar su pel collo i troppo bassi-, qui a levar un’agilità al tenore se il tenore non sa cantare che semiminime a ino’ de’ solfeggi de’ principianti; là ad incastrare una cabaletta a note sincopate per il basso, se il basso ha gusto per questo genere di frasi a singulti; un’aria si abbassa d’un tuono, un’altra si alza d’un semituono; e se occorre, si taglia, si accorcia, si trasporta, ecc. I maggiori guai si presentano nei pezzi concertati! Ma non per questo c’è da prendere sgomento: a tutto si trova rimedio... ed alla peggio poi c’è la banda militare sul palco (la quale nei finali d’oggidì non manca mai, e perfino i più dotti maestri non si fan riguardo d’introdurvela, se anche la scena avvenga in una stanza da letto con alcova, o in un gabinetto!) c’è la banda sul palco, dicevamo, la quale soffierà a tutto polmone e picchierà mazzate nella gran cassa, e farà quel maggiore strepito che si può: così le stuonazioni e le [armonie storpiate, e le concertazioni contorte, e tutti insomma i guasti, ingiunti dalla necessità di acconciare le parti dello spartito alla voce e ai mezzi de’ cantanti pei quali non fu scritto, tutti questi guasti si mascherano l’un l’altro con pietà fraterna, e si smarriscono e si confondono nell’informe frastuono di una stromenlazione che gli ammiratori di certi capolavori musicali d’oggidì chiamano del genere grandioso, ma che noi diremo bravamente baccanalesco. Il pretendere poi (come vorrebbero alcuni pochi intelligenti o i sofistici della nostra stampa), che la scelta delle opere vecchie cadesse di tanto in tanto su taluno de’ pochi spartiti classici della buona scuola italiana, o su qualche grandiosa opera dei più celebri maestri oltramontani, udita e acclamata in tutte le non ultime città del mondo incivilito e non mai date in Milano, il pretendere questo la è cosa da far sorridere chi conosce e osserva da vicino l’organizzazione dei primarj teatri d’Italia, e sa quindi che per costume inalterabile non si danno fra noi opere vecchie che come Opere di ripiego, e che quando si parla di Opere di ripiego, è sott’intèso che, salvo i rattoppamenti di cui si è detto sopra, per il resto bisogna andar alla spiccia o come a dire a’ tamburo battente, nè e’è da rompersi il capo, o gettar tempo a far il numero di prove necessarie. Un tratto che i cantanti e i cori ( battuta innanzi o battuta indietro più o meno non fa) abbiano imparato a star in tempo, c a tener ben d occhio la punta dell’archetto del capo violino, un tratto che siensi fissati i punti di fermala o corone dove la cantante protagonista o il basso o il tenore si propongono di sciorinar fuori una qualche barocca volata, un tratto che siensi alla beffe meglio stratagliati a colpo di forbice o rimpastocchiati i foglietti delle parti, sia di canto che d’orchestra, tutto il resto poco conta, e l’opera, o a dritto o a rovescio, o di buon passo o zoppicando deve andar in iscena. E cosa convenuta!... Voi dunque ben vedete che guai se, dopo tanto tempo che non ci son più dati a gustare, avessero a riprodursi a questo modo i capolavori dei Cimarosa e dei Paisiello, ovvero le grandi composizioni dei Cherubini, dei Meyerbeer, degli Spontini, dei May ri, degli Auber, degli Spoor! - Dunque, e finché le consuetudini teatrali, oggidì ricevute come leggi inviolabili e venerate, non si mettano sossopra per riordinare le condizioni della scena lirica italiana su basi più conformi alla buona logica artistica, è mestieri comportare in tutta pace che le cose camminino sulle grucce come per lo addietro, e tanto peggio per coloro ai quali fa dispetto, anzi ira, il veder la povera Musa delie crome e delle biscrome troppo spesso malmenata e invilita come fosse una fantesca da bettola, o una eroina da burattini. B. CRITICA»E’ («Mi’OsrroHi-iMixisri 1TALI1VI ed in isjMscie di I/Italia che in ogni ramo delle belle arti ebbe preminenza, ed alla quale le altre nazioni sempre si rivolsero in traccia del bello che in essa si ha e si sente, e di cui altrove si disputa, l’Italia- la terra dal genio prediletta, ebbe ben anco a produrre i primi saggi di composizioni per cembalo, istromento contrassegnato dapprima con varie denominazioni come di c lavici te rio, spinetta, clavicembalo e finalmente mercè le importantissime modificazioni ed aggiunte del nostro Bartolomeo Cristofori, da istromento a corde pizzicate divenuto di percussione, prima della metà del secolo XVili, venne chiamato pianoforte. Nelle Toccate e partite cTintavolatura per cembalo pubblicale in Roma nel 1615 dal ferrarese Girolamo Frescobaldi si osserva che lo stile della musica destinata a questo istromento cominciò a distinguersi da quello adoperato ne’ pezzi per organo, e perciò il Frescobaldi dai migliori scrittori è tenuto come il capo della prima epoca musicale per cembalo, e le sue Toccate verranno ognora additate quali memorabili monumenti d’arte.-Poco dopo Bernardo Pasquini, Polarolo, Lotti, Vinacesi e Casini mostraronsi non meno abili compositori per organo, che per cembalo. - Gasparini quindi, approfittando delle invenzioni de’ suoi predecessori e coetanei, nelVarmonico piatirò al cembalo, edito nel ’1683, porgendo le regole per formare un sicuro accompagnatore, stabilì ben anco alcuni principj di digitazione ed introdusse adequale norme relative alla cavata di suono. Egli ebbe il vanto di essere stato uno dei maestri dell’incomparabile Benedetto Marcello, che pure ideò varj forbiti squarci per cembalo, e di aver formato il celebre Domenico Scarlatti, le cui Lezioni colle fughe, preclari modelli di musica classica, vennero ammirate ed imitate in tutta Europa, ed oggidì ancora con profitto consultansi dai veri studiosi. L’eruditissimo Padre Martini, pubblicò a Bologna alcune difficili sonate di uno stile originale e pregiate come concepimenti di un ordine sublime. - Orazio Mei lasciò in manoscritto de’ concerti e delle fughe che nella loro novità aggradirono agli intelligenti. - Verso il 1730 tributaronsi infiniti elogi a Maria Teresa Agnesi (sorella della tanto rinomata Maria Gaetana) la più abile pianista de’ suoi tempi in Italia: essa dedicò molte applaudite sue sonate all’Imperatrice Maria Teresa, procacciandosi grandi onori.-Manfredini, Ruttini, Boutempo, Gherardeschi e l’aureo Boccherini, il precursore di Haydn, arricchirono la musica per cembalo di non pochi pezzi, ch’ebbero qualche voga presso i cultori del secolo passato. - Sarti, Galuppi e più recentemente Paisiello ed altri autori drammatici, che troppo lungo sarebbe qui nominare, non isdegnarono rivolgere i loro studj all’istromento che serviva di fido interprete alle loro inspirazioni prima che venissero prodotte in teatro. Da questa enumerazione di quelli che fra noi con maggiore o minor successo lavorarono pel cembalo prima del celeberrimo Clementi, ognuno agevolmente può convincersi che in Italia nel XVII e XVIII secolo non fuvvi penuria di compositori pianisti. Cordicelli, allievo dello Scarlatti, trasmise gli eccellenti precetti del suo maestro a Clementi, da’ suoi contemporanei onorato del titolo di Padre del piano forte. Di questo sommo ILalkbrenner, nel suo giovevole Metodo, ragiona ne’ seguenti termini clic noi godiamo riportare, affinchè col savio giudizio di uno de’ più grandi pianisti alemanni, i nostri lettori possan esser fatti consapevoli della superiorità in rapporto alla musica di pianoforte acquistata da un autore Italiano. «Quegli che meglio di ogni altro ha scritto per pianoforte, ed il quale ha per così dire tracciato il sentiero che noi teniamo, egli è Clementi. Nato a un di presso all’epoca dell’invenzione del pianoforte, e dotato di un genio superiore, conobbe tantosto il vantaggio che Irar si poteva da tale istromento: la sua opera seconda composta 72 anni or sono (1770), attesta ciò ch’io dico. La seconda sonata in do, il cui principio è per ottave, e la quarta in la, sono da sè capi d’opera e fanno chiaramente scorgere quanto abbia il Clementi lasciato indietro i suoi predecessori. Le sue opere più rinomate sono gli Studj o Gradus ad Parnassum, e le Sonale, tanto queste che quelli mirabilmente adatti onde conseguire un perfetto meccanismo e formarsi ad una buona scuola. Clementi è il più vigoroso pianista da me sentito: egli a meraviglia eseguiva le ottave sebben di braccio; il suo meccanismo nulla lasciava a desiderare.» Le composizioni per cembalo che per lungo tempo erano rimaste circoscritte ad un genere più o meno legato, in cui le dita delle due mani spessissimo suonavano a quattro o cinque parti reali in un sistema più armonico che melodico e con un risultato alquanto arido, all’apparire del romano pianista variarono di carattere, si svincolarono dalle sofisticherie contrappuntistiche, acquistarono nell’istesso tempo maggior dolcezza ed energia, e divennero ad un tratto più brillanti e cantabili come si conveniva alle notevoli innovazioni introdotte negli stranienti, i quali allora pervennero ad una potenza ed estensione di suoni non mai prima raggiunte. Ognuno potrebbe supporre che il nome ed i lavori ’(eli Clementi avesser dovuto eccitare molti studiosi italiani a seguirne le traccie. Tutt’altro avvenne. L’autore del Gradus ad. Parnassum fra noi non ebbe molti imitatori-, nel novero di questi, se male non ci apponghiamo, indicaronsi solamente un Ferrari, un Luigi Lamberti, un Agostino Perotti ed un Asioli di cui più innanzi parleremo, e l’arte del pianoforte in Italia, dall’epoca di Clementi a tutta la prima terza parte del corrente secolo, non contò alcun seguace che abbia conseguito di accrescere le glorie del proprio paese presso le oltrealpine nazioni. Pertanto le opere di Cramer, Dussek. Steibelt, Beethoven, Weber, Ilummel, Field, Moscheles, Kalkbrenner, Herz, Czerny, Bertini, Chopin, ecc., soverchiarono di tal fatta le scarse produzioni indigene, che, regnandovi quasi da dispotiche, indussero trascuranza e disprezzo per le composizioni de’ nostri pianisti, i quali certamente sarebbero meglio riusciti se il pubblico colle lodi li avesse incoraggiati e se ogni sorta di lucro non fosse stato conteso alla maggior parte di quanto essi pubblicarono. Infatti l’illustre Asioli, che all’età di otto anni aveva già composto e suonato varj concerti, ed a cui devesi un compiuto Metodo per clavicembaloBasily e Soliva forse avrebbero potuto emulare i più insigni autori esteri, se a preferenza si fossero applicati a scrivere per pianoforte. Lanza, Negri e Trevani si sarebbero innalzati a più onorifica meta se, per trarre qualche profitto dal loro ingegno, non avessero dovuto consumare le intere giornate a dar lezioni. I pochi quantunque ottimi lavori pubblicati dal Manna non bastarono per dare speciale fama al nome ed alla patria di lui. Se si vuole potrebbero pure nominarsi, Giorgetti pe’ suoi sestetti, Calegari, Colla Gordigiani, Andreatini, Matthey, Borgata, Macario ed altri de’ quali ora non ci sovviene. L’esimio Fauna, Cerimele e Corlicelli nell’ora scorso decennio furono i più fortunati: le loro opere vennero dai nostri dilettanti ricercate ed alcune ben anco ristampate in Francia ed in Germania; così dalle loro fatiche avessero potuto ricavare un congruo utile! Non deve tacersi di Pollini il quale pel lungo suo soggiorno in Milano, e per aver qui composto e fatto pubblicare tutte le sue opere, quand’anche di origine alemanna, potrebbe quasi esser ascritto fra gli italiani pianisti che fiorirono poco dopo Clementi. Lo stile di Pollini è puro, legato e sempre accurato: nelle composizioni di lui trovansi spesso eccellenti brani a varie parti distribuite con singolare maestria. Questo chiarissimo autore si rese assai benemerito all’arte pel suo diligente Metodo, adottato da tutte le scuole d’Italia. Eccoci finalmente all’epoca in cui la musica di pianoforte da Talberg e da Liszt venne portata ad esser simultaneamente melodica e brillante, ed insieme forte di variati accompagnamenti, spingendola ad un punto tale di difficoltà e di complicazione da sembrare che oramai due sole mani non possano più bastare ad eseguire l’inestricabile sciame di note da cui sono piene zeppe le nere pagine de’ più recenti pezzi per pianoforte, ed eccoci eziandio all’epoca nella quale i nostri pianisti già conosciuti, come per esempio Fauna, raddoppiarono i loro sforzi e cambiarono di maniera per uniformarsi alle esigenze della giornata, ed in cui si osservarono non pochi giovani italiani entrare animosi nell’arringo pianistico, producendo de’ pezzi che per effetto, se non per originalità, potrebbero gareggiare colle applaudite fantasie in questi ultimi anni a noi pervenute da Parigi e da Vienna. Primo tra questi si è Dohler, come tutti sanno, nato ed educato a Napoli, non solo per la sorprendente sua esecuzione, ma ben anco per le belle sue produzioni posto nel rango delle sommità del pianoforte, ora più festeggiate in Europa. Di esso abbiamo già ripetutamente parlato in questo stesso giornale. Devonsi poi encomiare il conte De Alberti, e GamLini, i quali, dilettando sè stessi, riescono di soddisfazione e giovamento a coloro che ricorrono alle scelte loro pubblicazioni; e a titolo d’incoraggiamento si ama far menzione del torinese Unia, allievo di Ilummel, di Maglioni, Fontana, Magazzari, Fasanotti, Croff, Sangalli ecc., per finire con Golinelli, precipuo scopo di questo articolo. Is. C. (Sarà continuato) CRITICA MELODRAMMATICA BIAWCA lil BEEMOSTE, tragedia lirica del sig. A. Cvrozzi, musicata dal giovisie maestro Big. Carlo Imperatori. (’Milano I. It. Teatro alla Scala, la sera del TI corr.J Fallaci opinioni dominanti in fatto di generi e scuole musicali. - Spirito d’esclusione dannoso al progresso dell’arte. - Applicazioni, ecc. Il poco felice esito di questa Bianca di Behnonte fu da taluni attribuito all’avere voluto il giovine maestro farsi seguace, nel suo primo saggio melodrammatico, di una scuola musicale al tutto contraria alla italiana, sia nelle forme, sia nel concetto. A nostro giudizio questa opinione è doppiamente erronea, ed è figlia di un pregiu dicato spirito di esclusione che tra noi non sarà mai abbastanza combattuto. Ciò che veramente costituisce il reale valore di ogni musica non è già l’appartenere essa piuttosto a un genere che ad un altro, l’essere piuttosto della maniera italiana che della francese o tedesca, ma sì la maggiore o minore ispirazione, il più o men vivo e profondo sentimento, il gusto più o men fino e sagace con che ella appare dettata. Il vero bello dei prodotti artistici risulta non da altro che dalla essenza intima del pensiero, e questo se scaturisce veramente da una fantasia e da un cuore ispirato, non può non vestirsi della forma ad esso più conveniente e foggiarsi al modo più conforme alla sua natura. Ora codesta forma, codesto modo, sian pure piuttosto d’una che d’altra indole o essenza, ma dal momento che nacquero contemporanei al pensiero, dal momento che furono, come a dire, una condizione necessaria della sua generazione, non si potrà mai se non a torto affermare che e’ non sono nelle sane dottrine dell’arte, nè ammissibili dal buon gusto. - Certamente che un compositore non giugnerà mai a questo punto di poter dar vita a’ suoi pensieri musicali nel modo il più conforme alla natura di questi, e pertanto il più acconcio ad offerirveli sotto la più efficiente loro sembianza, se prima non avrà compiuta la sua tecnica educazione in modo che, all’atto dello scrivere, la scienza gli sovvenga quale ministra fedele e vigile, e come ajuto possente ad ogni bisogno della incerta e agitata fantasia.

Ma data la supposizione che lo scrittore di musica sia sicuro di tutti i mezzi della dottrina, si sieda pure al tavolino ne’ momenti che il suo cuore gli batte per caldo affetto, e l’istinto di creazione si agita nella sua mente, e non dubiti che quanto gli verrà vergato dalla magica sua penna non sia conforme alle alte norme del bello dell’arte, indipendentemente da ogni puerile o sofistica distinzione di generi, di scuole o di maniere. Verità e sentimento, ecco le due condizioni neccessarie a che la fantasia, assorellata alla scienza, dia alle produzioni artistiche il diritto di commovere gli animi e rapire l’ammirazione. E per quanto riguarda in più peculiar modo la musica, fate un tratto ch’ella non manchi degli elementi or accennati, indi state pur certi che, indipendentemente dalle vane distinzioni di genere e di scuola o italiana o tedesca, od araba, se vi piace, ella sarà nè più nè meno quel che deve essere per trascinarvi ad applaudirla come incantevole.

Rossini, che in tanti suoi capolavori del pretto genere italiano, vi rapiva all’entusiasmo, scrisse pure Le Comte d’Ory, Le siège de Corinthe, Le Moise e Le Guillaume Tell, opere insigni nelle quali le forme e e i disegni di foggia straniera non tolgono per nulla all’efficacia di una ispirazione sfavillante, ma anzi la soccorrono e la avvigoriscono perchè elle sono appunto le forme e i disegni che nacquero spontaneamente e ad un getto medesimo coi pensieri e colle immagini, e quindi nè altre nè diverse da quel che sono e potevano essere. - E senza ricorrere all’arciflamine de’ compositori, limitiamo pure i nostri esempj a Donizetti, ed anche, se volete scendere un po’ più abbasso, a Marliani! Quanto, dal più al meno e secondo la diversa portata dell’ingegno, non furono essi immaginosi, ridondanti d’affetto e geniali nelle loro musiche del genere francese! - Or perchè questo, se non se per la semplice ragione che seppero essere ispirati prima di tutto, poi sagaci nell’avventurare i loro pensieri musicali sull’ali di forme nuove e ardite, ma felici perchè appunto più convenienti all’indole di quei pensieri musicali? Ed ove voleste obbiettare che essi recarono alcun chè del fare italiano nelle forme della musica francese, noi replicheremmo che coll’avere ottenuto il generale applauso appunto con questa specie di fusione dei due generi, dal quale ne derivò un terzo al tutto nuovo, provarono con argomento abbastanza vigoroso la vacuità dell’opinione di coloro che impor vorrebbero un’esclusione o, come a dire, un monopolio di genere e di scuola!

Or, per tornare al punto dal quale abbiamo preso le mosse, diremo che non è già da farsi rimprovero al giovine esordiente signor Imperatori d’aver seguito le orme piuttosto dei migliori tedeschi compositori anzichè degli italiani nella scelta delle forme dei pezzi e delle maniere dello stile, ma sì piuttosto, che nè la fantasia nè il sentimento non siano venuti in soccorso a lui come venivano a quegli insigni, e che l’essersi appigliato piuttosto alle norme dell’una che dell’altra scuola fu effetto di una determinazione calcolata, anzichè bisogno o parte della ispirazione stessa. - In oltre poi, osserviamo che l’autore della Bianca di Belmonte addimostra bensì, in alcuni squarci e in ispecie nei primi pezzi della sua partitura, di avere a lungo e molto studiosamete versato sulle opere degli Haydn, dei Mayer, dei Mozart, ecc., ma in altri, in ispecie nelle arie, ei non si chiarisce punto contrario alle più note fogge italiane, ed adopera anzi strutture e disegni, anzichenò usitati, e quasi dicevamo volgari. Ommettendo di occuparci a spingere più addentro le nostre osservazioni analitiche intorno ad un’opera destinata a non più ricomparire, almeno per ora, sulle nostre scene, riassumeremo il giudizio che di essa vogliamo proferire, nelle seguenti parole.

Il signor Imperatori, a nostro credere, nel suo primo saggio, anzichè di assoluta incapacità o povertà di dottrina, diede prova di inesperienza, e di timidezza o renitenza di ingegno. Di inesperienza, in quanto che ad ogni piè sospinto si addimostra ignaro non solo, dei grandiosi effetti teatrali, ma e ben anco delle più ovvie malizie sceniche; basti osservare la sovverchia lunghezza dei pezzi, il loro procedere tardo e stentato, la monotonia degli sviluppi melodici, e dei giuochi stromentali, il farraginoso ingombro degli accompagnamenti1 che ben di rado lasciano la voce del cantante espandersi in una libera e dolce atmosfera, ma la soffocano nella densa nebbia di accordi talora troppo astrusi, talora disgustosi per dissonanze scorrette e inconvenienti: di timidezza e renitenza d’ingegno, in quanto che, forse pieno della buona voglia di liberarsi al tutto dalle pastoje del vecchio formalismo melodrammatico, e tentare i vigorosi effetti di uno stile teatrale per eccellenza e pittoresco, non osò porsi in piena e dichiarata opposizione col gusto di coloro che tra noi condannar vorrebbero l’arte a rimanersene stazionaria, e procedette quindi esitante, pauroso, anzi sgomentato tra i vecchi e i nuovi modi, tra le forme convenzionali e ormai viete, e quelle che imperfette gli suggerì la memoria degli studj fatti su buoni modelli, e non seppe stampare verun’orma nè originale nè sicura, ma si smarrì in un inestricabile labirinto di elementi eterogenei.

Non sappiamo in vero, nè ci cale di sapere quel che penseranno i lettori superficiali di ciò che or stiam per dire, ma non esitiamo ad affermare che, malgrado le severe censure cui sottoponemmo lo spartito del sig. Imperatori, noi crediamo scorgere in esso qualche promessa di un onorevole avvenire. Sono assai pochi coloro tra i giovani compositori italiani, i quali accennino di possedere la forza di ingegno e di volontà e la dottrina necessaria a soccorrere ai tanti bisogni attuali della musica teatrale italiana. A nostro credere sarebbe ingiustizia il negare al giovine autore della Bianca di Belmonte il diritto di pretendere pel futuro a un piccolo posto tra costoro.

Egli, non ne dubitiamo, saprà persuadersi che lo studio de’ grandi compositori, a qualunque scuola appartengano, per riuscire a buon frutto debb’essere non servile nè pedantesco, ma guidato da fino discernimento e buon gusto, e che nelle arti, ove manca l’ispirazione e il sentimento naturale del bello, ben difficilmente può supplire il solo sforzo della scienza.

La scienza, anche quando è somma, deve farsi aiutatrice del genio, non pretendere a surrogarlo: quando poi è imperfetta o dubbia, diventa funesta a chi si pensa di potere sostituirla all’ispirazione e al sentimento naturale del bello.

B.




NECROLOGIA.



Francesco Clement, Primo Violino, Direttore d’Orchestra al teatro della Wien a Vienna, nato quivi nel 1787, è morto nell’or decorso ottobre. Artista affatto singolare egli fu uno de’ più felici improvvisatori sul pianoforte, quantunque non facesse mai professione di questo stromento. La ben difficile ouvertura del Flauto magico fu da lui eseguita sul pianoforte in ischerzo con tempo tanto rapido, che niun violino poteva raggiungerlo2. Le sue fantasie sul cembalo erano interessantissime; egli svolgeva, all’improvviso, al cospetto del rapito uditore, una serie di bei motivi delle opere antiche e moderne, suggeritigli dalla sua rara memoria. Sembra incredibile, eppure è cosi: Clement, dal sentire una sola volta anche componimenti grandi, li eseguiva all’istante sul pianoforte con una giustezza stupenda, e con le più sfumate gradazioni. In qualità di concertista di violino seppe nella sua gioventù vincere difficoltà grandi e straordinarie sul suo istromento. Ebbe poi una particolare abilità nel sonare a vista le cose più difficili. Invitato una sera ad eseguire un quartetto di Mozart, la sua parte cadde casualmente in terra, sonate appena le prime battute; il domestico, levandola tosto la mise sul leggio a rovescio, ed egli eseguiva medesimamente il primo allegro. Poichè gli astanti gliene manifestarono la loro ammirazione, ci disse esser ciò per lui una bagatella, ed eseguì l’intero quartetto colle note a rovescio. Clement possedette pur anco una grande abilità di formare sull’istante una specie di armonica con bicchieri (aumentando e diminuendosi il liquido), e di eseguire su di essa le più difficili variazioni. Invitato a lauti pranzi e fra amici, seppe sovente rallegrarli con siffatte sonate umoristiche. La fisionomia di questo artista straordinario era molto interessante e geniale; il suo contegno semplice, e la sua conversazione gradevole (egli somigliava alquanto a Bellini).


NOTIZIE VARIE.

— Milano. La mattina della scorsa domenica il nostro Ricordi diede nelle sue sale un molto distinto trattenimento musicale. Si cominciò colla Sinfonia della Linda di Chamounix dell’illustre Donizetti, eseguita ad otto mani con bella maestria dai signori Mazzucato, Fasanotti, Croff e Ricordi. Piacque non poco agli intelligenti questa stromentale composizione del genere elaborato. Libera e sicura ne c la forma, lo stile non ridondante di frasi piccanti nè troppo caldo di movimenti ispirali, procede però con singolare eleganza e chiarezza. Piene, vigorose e con fino gusto intrecciate ne sono le armonie. Insemina questa sinfonia, se non è la più gustosa e popolare (nel significalo più umile di questa parola) tra le tante del fecondissimo Donizetti, vuoisi dire la più studiala, anzi la sola del gran genere i cui modelli ci furono dati dal sommo Mozart; Con questa nobile sinfonia il Donizetti ha mostrato di saper gareggiare nella fina e sentita elaborazione sgomentale coi migliori tedeschi. 11 suo ingegno potentemente ricco di risorse sa piegarsi a tutte le esigenze dell’arte c far pompa di fantasia e di scienza quando o l’una o l’altra o entrambe collegate occorra mettere in chiaro. Nella mattinala musicale del Ricordi si distinse il signor Hermann, il quale esegui con agilità e sicurezza di mano una sna fantasia per pianoforte sopra due motivi di Bellini, indi due altre fantasie su pensieri del Nabucodonosor. L’ultima di queste tre composizioni piacque per gustoso intreccio di pensieri melodici e di armonie. Madamigella Bertucat, distintissima artista, eseguì con rara finezza di tocco c con molto sentimento due pezzi per arpa, il primo di sua composizione l’altro di Labarre. La direzione della parte vocale dell’accademia fu come al solito saviamente affidata al bravo maestro Mazzucato. La scelta dei pezzi parve conveniente ai mezzi dei distinti cantanti tra i quali brillarono gli egregi dilettanti signora C e sig. Besana, non che il distinto tenore sig. Paglieri e la signora B — Vienna. (Da lettera 15 coll’.). Giovedì scorso più di mille parti nella vastissima Cavallerizza dell’1. R. Corte eseguirono il Giuda Macabeo di Haendel. Bisogna proprio venir qui per sentire come va interpretato quel sublime genere di musica! Gli italiani non possono aver giusta idea di una esecuzione sì colossale e nell istcsso tempo sì perfetta: sembrava una voce, un istromento solo, tanto era l’accordo nel complesso, il colorilo nei piani e ne’forti, e la precisione negli staccati: in somma era una vera meraviglia. I cori di questo imponente oratorio piacquero a preferenza degli a soli, che bisognerebbe udire più volte per gustare pienamente. Corre voce a Vienna che finalmente nella splendida capitale.della Lombardia si pensi ad avere una Società filarmonica per la musica classica. Si bramerebbe che un tale lodevolissimo progetto fosse presto posto ad esecuzione. L’arte non può che guadagnarvi molto (I). E IL — Parigi. Académie royale de musique. - Le Vaisseau-fantôme, opera in due atti, poesia de! sig. Foucher, musica del sig. Dietsch, fu variamente giudicata dai giornali parigini. Quanto al soggetto del libro, basti a noi il dire che da una leggenda marinaresca che si trova nei racconti fantastici di Grulzen, scriltor irlandese, Marryat, il celebre romanziere-capitano, trasse l’idea e le principali scene del suo romanzo thè Fantòm-Ship, e che da questo il sig. Foucher, alla maniera dei poeti melodrammatici d’oggidì, cavò la materia prima di un discreto pasticcio scenico nel quale l’interesse, la passione, il misterioso ed il cupo sono alia meglio manipolati e si couchiudono con una apoteosi a fuoco del bengala, in mezzo alla quale si vedono i due protagonisti, dopo lunga serie di travagli, premiati con una felicità irreperibile! Ma e la musica? - Oh quanto alla musica, esclama la France Musicale, quanto alla musica c’è molto da dire: essa è profonda, e dotta; è corretta e robusta, massimamente quando cantanoicori. - E poi? - Oh non chiedete l’impossibile: poiché vi ho detto che la c profonda, dotta, corretta c robusta, che cosa volete di più?... - Voi riedite quel ch’essa è, ma dimenticate di dirne quel che dovrebbe essere; spiegatevi. - Dunque colle spiccio, vi dirò prima di tutto ch’essa non è punto originale, poi ch’essa non è punto gaja, poi ch’essa non è nè troppo aggraziata nè troppo drammatica. Ricapitolando le idee conchiuderemo in breve: la musica del Fantòme è un’opera di coscienza molto elaboratamente scritta e che farebbe onore ad un professore di contrappunto. Ma il fuoco sacro, quella piccola cosa che in buon volgare si chiama ispirazione, venne meno al compositore. E un primo saggio, si dirà: questo è vero; opperò bisogna dar merito al si^. Dietsch di aver saputo torsi con sufficiente abilità dagli impacci di un poema anzi che no antipatico e vuoto di idee drammatiche. La Gazette Musicale de Paris ohe professa principii d’arte diversi da quei della France Musicale si esprime in questi altri termini. «La musica del sig. Dietsch reca l’impronta di molto studio e scienza; essa spira un’aura distinta di buon gusto e d’eleganza e non difetta di tinte vigorosamente segnate. Le cantilene melanconiche e vaporose si mischiano a dei cori pieni di energia... - Con un po’ più di esperienza drammatica, il sig. Dietsch avrebbe sentito il bisogno di mettere maggiore varietà in una sequela di pezzi, i quali tutti dal più al meno, e salva l’eccezione or accennata, si rassomigliano dal Iato dell’ispirazione e del carattere. La sua partitura pecca in ispecie di monotonia. Magnus e Troll vi cantano quasi al modo stesso, eppure nessuna analogia di linguaggioe di costumi può esservi tra questi due personaggi.^ In conchiusione però il sig. Dietsch ha composto un lavoro. (1) Ne fu fatto cenno nel N. 46 di questa Gazzetta e ne riparleremo. onorevole e che gli sarà messo a conto e gli gioverà pel suo avvenire». — Al teatro reale dell’Opéra-Comique fu riprodotto giorni fa il capolavoro di llerold, il Zampa, questa musica deliziosa nella quale le elaborate bellezze del contrappunto sono profuse al solo scopo di dar più vivo spicco all’originalità deliispirazione melodica, e di prestare al linguaggio musicale il vigore necessario alle molteplici esigenze della scena. - «La musica di Zampa, «così si esprime la G. M. de Paris, collocala nostra «scuola all’altezza ch’essa deve occupare nell’Europa <«musicale, e la riproduzione di quest’opera è una «buona ventura pei partigiani della nostra musica na«zionale non che pel teatro (ìeVOpéra-Comique». Quando questa bellissima opera di llerold si diede anni fa alla Scala, il pubblico non ne potè gustare i pregi distinti che la fanno si stimata nel concetto dei buoni intelligenti, e ciò fu in parte per colpa dell’imperfetta esecuzione, in parte per forza dei pregiudizii che allora, più che al presente, dominavano contro ogni musica di genere non italiano. Ma se a’ dì nostri lo Zampa di Herold si riproducesse e lo si eseguisse coll’accurata precisione, gusto e lina interpretazion drammatica che esige, ben saprebbe comprendere la sana parte del pubblico che la musica di tutte le scuole e di tutti i generi deve essere ammirata quando unisce l’eleganza dello stile e una giusta libertà delle forme, e sa toccare il cuore c.scuotere lo spirito mercè la originalità dei pensieri, la grazia eia ricchezza dell’ispirazione; all’opposto la musica, di qualsiasi scuola o genere, vuoisi bandire c condannar all’obblio, quando annoja e disgusta la ragione, sia colla pedantesca ripetizione di forme vecchie e disusate, sia colla insipidezza dei motivi, sia colla sciocca manumissione del buon senso e della verità drammatica. Su questo soggetto della varia e pregiudicata distinzione di generi di musica e di scuole che si fa dai chiacchcrini superficiali, oltrì il già detto nell’articolo sulla Bianca di Belmonte, torneremo quanto prima con proposito più risentito. Dal fare che il pubblico musicale della nostra Italia si formi. un’idea più o men giusta del modo di sciogliere questa quistione, dipende, a nostro giudizio, in gran parte l’avvenire dell’arte melodrammatica italiana. Parrà questa a primo tratto una proposizione troppo ardita, ma chi ci pensi con attenzione ci troverà il germe di una importante verità. — Al Teatro Italiano si dispongono le prove ddl’^nna Bolena di Donizetti. Il genio fecondo del celebre nostro maestro sta per fare nella corrente stagione le spese principali di quella scena, dedicata al culto delle migliori nostre produzioni melodrammatiche. L’Elisir d* Amore, già data, La Linda di Chamounix (I), e la nuova opera espressamente composta e della quale non sappiamo ancora il titolo, e per ultimo l’Anna Bolena, ecco gli spartiti di Donizetti che il pubblico eletto del Teatro Italiano di Parigi avrà uditi in breve giro di mesi. (I) Leggiamo ora nei giornali parigini che la Linda di Chamounix fu data al Teatro Italiano la sera del 18 corr. e v’ebbe esito felicissimo. Il Moniteur lodale forme e lo stile di questo spartito per una severità e gastigatezza superiore a quanto offrano in questo proposito le altre opere di Donizetti scritte per l’Italia. Nel jmossimo foglio daremo notizie più particolari di questa nuova gloria del celebre nostro ^maestro. — Il detto Teatro Italiano di Parigi ha riprodotto ultimamente la Norma di Bellini nella cui parte di Adalgisa esordì felicemente madamigella Niscn. La Grisi’ nella parte protagonista (così la G. M. de Paris) fu energica, passionata, impetuosa come al solito. Solo si teine che quanto prima ella esageri il sentimento per volere di troppo spingere l’espressione drammatica. Per ciò che riguarda il canto, ella non pecca ancora di questo eccesso. Finché saprà conservarlo puro come sempre il conservò, non vi sarà nulla a dire in contrario. Madamigella Grisi, nella parte di Norma, sa molto saviamente contenersi all’espressione di un terrore imponente e grandioso! Il detto giornale parigino si lagna che la Direzione del Teatro Italiano, sì mal fornita come di bassi, siasi lasciato sfuggire Ronconi. — Trascriviamo dal giornale dei Debats le seguenti righe: «Dagli Huguenols in poi Meverbeer non aveva più pubblicata in Francia veruna sua composizione di importanza. Ora l’autore del Robert le Diable ha regalato i suoi ammiratori d’un pezzo, di somma bellezza intitolato Canlique du Trappiste. E una melodia religiosa composta espressamente per la voce di Geraldy. L’estro, l’originalità e la forza del celebre compositore si trovano congiunte in questo bellissimo pezzo in istile sublime». - La France Musicale annunzia come sua proprietà questa nuova composizione di Meverbeer. — Londra. La Società d’Armonia sacra aprì ultimamente la sua stagione invernale col celebre Oratorio di Haendel, il Sansone, capolavoro che compie ora un secolo d’esistenza, essendo stato composto nel 1742 dall’illustre maestro al suo ritorno dall’Irlanda. La sala dei Concerti, per quanto vasta era zeppa. A Londra è maggiore di quel che si crede il numero di coloro che saniio comprendere ed apprezzare le severe bellezze della musica sacra. Questa Società. d’Armonia sacra e l’altra The Musical Àntiquarian Society adoperano con molto lodevole zelo a conservare e coltivare questo amore alle classiche composizioni. La seconda riunione annuale della Società degli Antiquarii in musica, ebbe luogo il 2 novembre nelle sale della Società reale dei musici. Il rapporto del consiglio riferì che la società aveva raggiunto il numero completo di 950 membri, cui è limitata dagli statuti, e che molti altri candidati aspirano a divenir socii. II totale degli introiti e delle sottoscrizioni nello scorso anno ammontò a 977 lire sterline, (oltre 24000 franchi) Qual esempio e qual soggetto d’emulazione per Parigi! così esclama il foglio francese dal quale abbiam presa questa notizia. | — Leggiamo nella G. M. de Paris. • La sinfonia funebre del sig. Berlioz ottenne lunedì scorso all’Opéra un successo trionfale. Le due orchestre dirette, una dal sig. Habeneck, l’altra dal medesimo sig. Berlioz, gareggiarono di calore e di precisione, e il solo dell’orazione funebre venne eseguito con superior talento dal sig. Dieppe. I cori non erano forse abbastanza numerosi per dominare come voleasi le due orchestre: e nondimeno quando i tre gruppi di coristi si unirono nella rientrata del tema dell’apoteosi, l’effetto fu sì grande, che gli applausi da ogni parte, interruppero per un momento l’esecuzione. AI line il sig. Berlioz dovette presentarsi due volte a ricevere le acclamazioni del pubblico e degli artisti. — Leggiamo nel suddetto giornale^: «Rubini trovasi ora a Weimar. La Granduchessa gli manifestò il desiderio di udirlo alla Corte. È noto che in questi (giorni grandi feste si celebrano in occasione del matrimonio del Granduca ereditario colla figlia del Re d’Olanda. Rubini si alTrettò di accondiscendere a! desiderio della Granduchessa. e cantò per la prima volta la domenica 23 dello scorso mese. L’entusiasmo fu strepitoso. L’incomparabile tenore si fece udire in un pezzo del Don Giovanni di Mozart e in un altro dello Stabat Mater, non che nella famosa aria della Niobe. II 27 susseguente doveva cantar di nuovo». — Leggiamo in diversi fogli francesi che negli ultimi concorsi ai premii del Conservatorio di Parigi si distinsero diversi allievi del nostro Bandcrali, il quale nel suo insegnamento seppe recare tutta la purezza ed eleganza del metodo italiano perfezionalo dallo studio sugli ottimi lavori tecnici e pratici di Garcia, ed altri stimati professori francesi. — Quasi tutte le città dipartimentali della Francia vantano la loro Società Filarmonica alla quale, oltre i primarii professori istromcntali ed artisti di canto sono iscritti i più distinti signori del paese, e quasi tutti i dilettanti. Fra queste società filarmoniche sono principali, quella di Lione, quella di Digione e quella di Bordeaux. DIZIONARIO MUSICALE CBITSCO IIMOBIS1TCO (Vedi i N., 2, 29 e 43-44.) Ambizione. - Questa passione che non di rado apin*e uomini più grandi che alti a magne cose, talvolta a basse ed anche ad abbomincvoli, e che porta i più tondi che aguzzi a guadagnarsi il derisorio disprezzo, trascina troppo spesso gli artisti di musica e in ispecie cantanti alle più golTc caricature, e li copre di ridicolo dal capo ai piedi. Lasciamo da un canto quelli che, per giungere:alle;loro malintese ambizioni impiegano i mezzi vili della maldicenza a danno dei colleghi, fan giuocare l’intrigo, le cabale concertate coi Claqueurs di professione, coi Procoli, o con vendibili Giornalisti (V. Claqueur - Giornalista - Procolo), lasciamo costoro che sono la feccia, la mondiglia del ceto filarmonico (ceto stimabile perchè esercente una delle arti liberali, arti nobili), e consideriamo per esempio quella Prima donna assoluta che vuole ad ogni costo dall’Impresario un abito in seta coi ricami in oro anche quando debba rappresentare una castalda, una pastorella, che vuole lo strascico di velluto quando sarebbe in carattere colla veste corta di umile stolta, non è ella una esimia ridicola?... Crede la poveretta“di fare bella mostra di sè, ed invece il buon senso vede in lei una povera vanarella, che vuol coprire col lustro dell’abito la pochezza dell’ingegno, che vuol mostrarsi tanto ignorante da non sapere che l’acconciarsi in carattere è di grandissimo ajuto all’illusione scenica, da non sapere che una Perpetua p. e. vestita da serva potrà essere interessante per tutti gli spettatori che han sale in testa; ma se avrà il guarnello di moerro, e per giunta un po’ di frangia, non lo sarà che pei suoi spasimanti acciecati dalle sue attrattive. (V. Abbigliamento). E quanto non è mai ridicola l’ambizione di quel Primo Tenore che si gonfia come la rana d’Esopo, e pretende agli applausi anche degli intelligenti, e vuole articoli con l’Egregio, ed aspira persino al ritratto (V. Ritratto), non già perchè presuma di cantare con bel metodo, con pronunzia giusta e chiara, con azione animata e vera, ma perchè (oh! risum...) perchè sa buttar fuori un classico si di petto, pregio che madre natura regala anche ad un professore di scarpe senza obbligarlo a pagar il maestro di solfeggio. E quel Primo-A ssoluto-Basso-Cantante-Serio che vi rappresenta Belisario coi capelli à la renaissance, col belletto alle guancie, come se l’antico Capitano avesse fatto un regresso sulla fresca età delle sue glorie, non è esso un vanerello che per ambizione ama meglio comparire un ignorante che non ispiacere forse a qualche svcntalella sotto le simulate sembianze di un vecchio?... E quel?... ma sarebbe troppo lungo il novero delle ambizioni poverine che spingono molti dei musici, singolarmente Cantanti, e più di tutto Cantatrici, a fare assai maggior caso di certe apparenze sceniche, di preminenze, di titoli incompetenti, che non de’veri pregi dell’arte, della fama di bravi, discreti, ragionevoli, educati, e perciò giustamente distinti e stimati artisti; poverini che non pensano che quelle cose che essi chiamano Convenienze sono riconosciute veri capricci fastidiosi, ridicoli pettegolezzi, impertinenti presunzioni, goffe inconvenienze! Di queste ambizioni che mettono in ridicolo non pochi de’ Musici di professione, ed anche qualche dilettante, si troveranno dettagli in altri articoli del Dizionario, e specialmente sotto i vocaboli ConvenienzePreminenze - Pretese - Primario - Assoluto - Sortita Bravura-Dilettante - Accademia. N. E. Cattaneo. GIOVACI E*IC©I*DS EDÌTORE-PROPRIETARIO. Ball’I. B. Stafoilfimcnto 3Vazioaaa3e Privilegiato di Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale di BlOYiJìKI BK)©BM Contrada degli Omenoni IV. 4720.

  1. In proposito dello stromentale del sig. Imperatori osserveremo che, sebbene in taluni luoghi del suo spartito sembri pretendere alla elaborazione tedesca, è molto lontano dal poter vantare la dotta e ben calcolata semplicità e grazia e vigore sempre caratteristici dei buoni compositori di questa scuola.
  2. E il traduttore di questo articolo, preso dalla Gazzetta musicale di Vienna, si ricorda, ancora molto bene di esser stato presente un giorno all’esecuzione del Flauto Magico, in platea, precisamente dietro Clement, il quale dirigeva come capo d’orchestra. Alla metà della sinfonia gli si ruppe il cantino (corda di mi). Il suo vicino gli esibì tosto il suo violino; ma Clement lo ricusò, e diresse quasi l’intero primo atto con sole tre corde sul violino.
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