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Gente noiosa e villana
e malvagia e vil signoria
e giùdici pien’ di falsia
e guerra perigliosa e strana
5fanno me, lasso, la mia terra odiare
e l’altrui forte amare:
però me departut’ho
d’essa e qua venuto;
e a la fé che ’l maggio spiacimento
10che lo meo cor sostene
e quel, quando sovene
mene d’essa, o de cosa
che vi faccia reposa:
tanto forte mi è contra talento.
15Certo che ben è ragione
io ne sia noios’ e spiacente,
membrar ch’agiato e manente
li è ciascun vile e fellone,
e mesagiato e povero lo bono;
20e sì como ciascono
deletta a despregiare
altrui più ch’altro fare;
e como envilia e odio e mal talento
ciascun ver’ l’altro ei porta,
25e ch’amistà li è morta
e moneta è ’n suo loco;
e com’ solazzo e gioco
li è devetato, e preso pesamento.
Membrar noia anche me fae
30como bon uso e ragione
n’è partuto e rea condizione
e torto e falsezza li stae;
e che scherani e ladroni e truianti
meglio che mercatanti
35li vede om volonteri;
e com’ no li ha misteri
om ch’en altrui o ’n sé voglia ragione,
ma chi è lausengeri
e sfacciato parlieri
40li ha loco assai, e quello
che mostrar se sa bello
ed è maestro malvagio e volpone.
Donque può l’om ben vedere
che, se me dol tanto membrare,
45che lo vedere e ’l toccare
devia più troppo dolere:
per ch’om non po biasmar lo me’ partire;
e, s’altri volme dire:
«Om dia pena portare
50per sua parte aiutare»,
eo dico ch’e vertà, m’ essa ragione
e[n] me’ part’è perdita:
ch’eo l’ho sempre servita
e, fomi a un sol ponto
55mestier, non m’aitò ponto,
ma fomi quasi onni om d’essa fellone.
Parte servir ni amare
d[ev]ia, ni spezïale amico;
ché segnore ni cap’ho, dico,
60per cui dovesse restaurare;
ni ’n mia spezialitate a far li aveva,
ni la guerra voleva;
la casa e ’l poder ch’eo
li avea era non meo,
65mai lo teneva dal comune in fio
sì, che dal prence en Bare
lo poria a men trovare;
per ch’amo ch’el sia strutto
com’ me struggeva al tutto,
70sì che nemico non avea più rio.
Estròvi donque, perdendo
onore, prode e plagire,
e rater[r]òmi di gire
ad aquistare gaudendo?
75No: stianvi quelli a cui la guerra piace
e prode e bene face;
tutto che, se catono,
com’eo, potesse a bono
partir, piccolo fosse el remanente;
80ma l’un perché non pòe
e l’altro perché a ciòe
istar tornali frutto,
biasma el partire en tutto;
ma so che ’l lauda en cor lo conoscente.
85Non creda om che paura
aggia me fatto partire,
ché siguro istar e gire
ha più vile ch’eo tra le mura,
m’e ciò c’ho detto con giusta cagione;
90e se pace e ragione
li tornasse a durare,
sempre vorria là stare;
ma che ciò sia non veggio, enante creo,
languendo, megliorando
95e ’n guerigion sperando,
d’essa consommamento:
per che chi ’l partimento
più avaccio fa, men dann’ha ’l parer meo.
Solo però la partenza
100fumi crudele e noiosa,
che la mia gioia gioiosa
vidila in grande spiagenza,
ché disseme piangendo: «Amore meo,
mal vidi el giorno ch’eo
105foi de te pria vogliosa,
poi ch’en sì dolorosa
parte deggio de ciò, lasso, finire,
ch’eo verrò forsennata,
tanto son ben mertata
110s’eo non fior guardat’aggio
desnore ni danaggio
a met[t]erme del tutto in tuo piacere.»
Ma, como lei dissi, bene
el meo può pensar gran corrotto,
115poi l’amoroso desdotto
de lei longiare mi convene;
ma la ragion che detto aggio di sovra
e lo talento e l’ovra
ch’eo metto in agrandire
120me per lei più servire,
me fa ciò fare, e dia portar perdono:
ché già soleva stare,
per gran bene aqulstare,
lontan om lungiamente
125da sua donna piacente,
savendo lui, ed a·llei, forte bono.
Va’, mia canzone, ad Arezzo, in Toscana,
a lei ch’aucide e sana
lo meo core sovente,
130e di’ ch’ora parvente
serà como val ben nostra amistate:
ché castel ben fornito
e non guaire assallito
no è tener pregiato,
135ma quel ch’e asseggiato
e ha de ciò che vol gran necestate.
E anco me di’ lei e a ciascuno
meo caro amico e bono
che non dia sofferire
140pena del meo partire;
ma de sua rimembranza aggio dolere:
ch’a dannaggio ed a noia
è remesso e a croia
gente e fello paiese;
145m’eo son certo ’n cortese,
pregi’ aquistando e solazzo ed avere.