< Giacinta < Parte prima
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XI.

Da quella sera in poi la tristezza di Giacinta si era quasi raddoppiata.

— S’ammalerà di nuovo — le diceva Marietta.

E tentava di svagarla:

— Signorina, stia a sentire. Spauracchio, giorni fa, mi domandò di lei. Voleva sapere, in confidenza...

— Chi è Spauracchio?

— Il figlio del Porati. Non le pare una pertica con su una tuba e un vestito per far paura agli uccelli?

— Zitta!

Ora sorrideva appena alle bizzarrie di Marietta. Lottava dentro di sè, terribilmente. Quegli sguardi di Andrea, che pareva chiedessero pietà, la perseguitavano ovunque. Di notte, prima che si addormentasse, le luccicavano dinanzi, nel buio, sempre chiedenti pietà.

— Come non capiva quel Gerace che così la torturava?... Ma già, poteva anche darsi... chi lo sapeva... che non fosse sincero neppur lui... E poi?... E poi?...

Uno solo le appariva buono, compassionevole, sincero; egli solo non le destava invincibili repugnanze e neri sospetti nel cuore...

— Perchè no?... Perchè no?

Si faceva forza ogni giorno, per abituarsi a quest’idea.

— Essere amato per gratitudine!... non le chiedeva di più e glielo lasciava scorgere in tutti i suoi discorsi, tutti i giorni. Che poteva significare, se non che tal amore per gratitudine già lo sperasse da lei?... Con gli anni cresciuti, a lui senza famiglia, il celibato pesava... E l’altra volta non glielo aveva detto quasi apertamente? Non le aveva detto: nel tuo caso, hai bisogno di una protezione speciale, di un affetto capace d’aumentarsi e non di venir meno col tempo; di un affetto senza illusioni giovanili, senza pregiudizi sociali?... Le aveva detto così... Aveva ragione, pur troppo!... Aveva ragione!

E la penetrava un senso di tenerezza filiale per quella secca e angolosa figura del Mochi che sapeva generosamente compatirla, e non era ingiusto come gli altri!

— Infine, che colpa ci ho io?

Vi eran dei momenti, dei terribili momenti, che non riusciva a rassegnarsi. S’impennava.

— È un’infamia! Una mostruosa ingiustizia! — andava ripetendo, andando su e giù per la camera, come un’anima dannata, diceva ella stessa.

— Ah!... forse, con minor fierezza di animo, vivrei tranquilla, anche felice!... Ma, Dio mio! come perdonare al miserabile che — dopo, anche in un momento di collera — avesse la viltà di rinfacciarmi...?

Questa possibilità le agghiacciava il sangue.

E chiudeva gli occhi per non vedere gli sguardi di Andrea chiedenti pietà, che l’assediavano con insistenza, quasi importuni, turbandola profondamente...

— Come se ella non fosse debole abbastanza, o Signore! E non avesse anzi bisogno di conforti pel gran sacrificio a cui si era disperatamente risoluta!... Ma perchè il Mochi indugiava a strapparla da quello stato di angoscia che la uccideva a poco a poco?... Si era forse illusa?... No, non poteva essere! Non si era illusa!

Allora, nel mezzo della nottata, nel pauroso silenzio della camera fiocamente illuminata dalla lampada riaccesa quando l’insonnia si ostinava a tenerle sbarrati gli occhi — l’angolo della stanza rimasto in ombra le si popolava di allucinazioni, come se il suo intelletto acquistasse in quei momenti la felicità della seconda vista.

...Eran passati degli anni! Avvizziva, anima e corpo, inchiodata a pie’ del letto dove quel vecchio, colpito da incurabile malattia che non gli concedeva un’ora di tregua, languiva. Gli faceva da infermiera, paziente come una santa; ma gli moriva dietro, assottigliata da uno sfinimento senza nome... E mentre colui rantolava, rantolava, dai cristalli della finestra entrava il sole a traverso una larga striscia di pulviscolo turbinoso e luccicante... Ah, quel sole!... Ah, quell’alito di primavera!... Ma la sua giovinezza era ormai perduta... Lei non si riconosceva più nemmeno allo specchio, con quei capelli mal ravviati, con quelle mani scarne, con quegli occhi senza vita!... E non si lagnava, nè si rassegnava, indifferente... Era il suo cattivo destino... Doveva essere così!... Lo aveva già previsto!...

Oh, no, non era così!... La sua giovinezza fioriva tuttavia, il suo povero cuore palpitava ancora!... Il Mochi la trattava da figliuola, poco esigente... Chi del resto, nell’intimo, le impediva d’amare un altro?... Il passato le ritornava alla mente come un conforto...Quel ballo, quella canzone napoletana, quella terrazza al lume di luna e quel giovane bruno dagli occhi neri, dai capelli neri e crespi, che le mormorava nell’orecchio parole dolcissime, indimenticabili... Ma non commetteva ella, a quel modo, un’infedeltà senza scusa?... E Andrea perchè veniva a cercarla fin nella solitudine dove volontariamente s’era condannata?... Che pretendeva dunque?... No, non era generoso!... Voleva abusare della propria forza, della fragilità di lei?... Ed ella resisteva, lottando, mascherando con la bruschezza la debolezza che invadevala... Sarebbe stata un’indegnità!... E fiera della sua vittoria, si attaccava ancor più al suo liberatore, al suo benefattore... Non lo chiamava mai suo marito.

I tocchi di un orologio che arrivavano lenti e fiochi, come da una gran lontananza, la riscuotevano qualche volta. Per terrore di quel silenzio turbato un istante, rivolgeva gli occhi alla palla di porcellana dentro cui la fiamma della lampada guizzava, a intervalli, con luce fredda, rischiarando i mobili scuri, dando un aspetto strano ai disegni della tappezzeria. Poi i suoi occhi attratti, tornavano, verso quell’angolo, dove l’ombra si addensava; e da lì a poco l’allucinazione riprendeva il suo corso.

... Che! Che! Quel vecchio assorbiva il giovane rigoglio di lei; e diventava rubizzo, ma geloso, riottoso, brontolone, dai modi bruschi e villani... Una serva sarebbe stata trattata meglio!... Che calice di avvilimenti e di amarezza non le toccava di tracannare giorno per giorno!... Ella non aveva più lagrime... Non osava lamentarsene neppure in segreto, dalla paura che quello glielo leggesse in viso... E così la vita le si consumava, lentissimamente... ma al fine, si consumava!... E si sentiva mancare presa da un torpore gelido... Che interminabile agonia!

Spesso, quando l’allucinazione confondevasi col sogno, Giacinta si levava da letto sbalordita, spossata dalla inconsapevole fatica.

— Aveva sognato?

Però la luce del giorno le infondeva coraggio:

— Commetto una specie di suicidio? Lo so. Poichè non sono buona ad ammazzarmi davvero!...

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