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XV.
Il dispaccio telegrafico era arrivato di sera, mentre il salotto della signora Marulli era ancora pieno di gente.
— ... Una cattiva notizia? — domandò la Villa vedendole fare una piccola scossa.
— Sì — rispose la signora Teresa. — È morto a Parigi quel mio parente...
E le porse il foglio.
— Oh!!!
La signora Villa non aveva saputo frenare un’esclamazione di meraviglia.
Il dispaccio del notaio annunziava anche un legato di trecento mila lire per Giacinta, tutto in cartelle, già in deposito presso di lui.
Nella confusione che accadde nel salotto, perchè tutti volevano leggere il dispaccio, far le condoglianze, per mostra, e rallegrarsi della inaspettata fortuna toccata alla ragazza, Andrea era rimasto in un canto, impensierito di quella notizia, senz’avere il coraggio di avvicinarsi alla signora Marulli e a Giacinta per imitare gli altri.
— E ora? — si domandava. — E ora?
— Eh? — gli disse il Ratti, battendogli sulla spalla. — Ecco una disgrazia che probabilmente non capiterà nè a voi nè a me, caro Gerace!
Andrea rispose soltanto:
— Ma...!
E guardava, con una grande stretta al cuore, il signor Marulli che, accorso tutto commosso dalla sala da gioco, abbracciava in quel punto la figliuola come se gli fosse tornata fra le braccia da morte a vita.
— Paolo! — disse la signora Marulli, con un’occhiataccia per rammentargli di mostrare più contegno.
Ella era contegnosissima, indispettita contro quel parente che aveva preferito Giacinta.
— Perchè poi?
Non trovava una spiegazione; e se n’indispettiva maggiormente.
Andrea, intanto che gli ultimi rimasti andavano via, si avvicinò a Giacinta che veniva, ancora un po’ sbalordita, verso di lui.
— Ah, io non mi rallegro! — le disse.
— Perchè? — rispose Giacinta che non aveva compreso.
— Ora sei troppo ricca...
— Tanto meglio!
— Chi lo sa?
— Dubiti di me?
— No! — soggiunse Andrea, titubante.
— Dunque?
Dopo qualche mese egli non dubitava più.
Dinanzi alle persone si trattavano con la loro solita riserbatezza. Ma Andrea, riprendendo nell’anticamera il cappello, prima di metterselo in capo, ne tastava ogni sera la fodera se mai non vi fosse un biglietto o una letterina di Giacinta. Ella, dalla stretta di mano che Andrea le dava arrivando in salotto, era avvertita che, al noto posto, il tavolino dell’altra stanza già nascondeva o da lì a poco, avrebbe nascosto qualcosa per lei.
Quel giuoco al segreto li divertiva.
Le sere che intrattenevansi un po’ più del consueto, in disparte, Giacinta lo avvertiva:
— Ora lasciami.
— Farò la corte alla signora Rossi. Muori di gelosia! Quei begli occhi mi fanno ammattire!
E faceva il verso allo strabismo della Rossi.
Giacinta ridendo:
— Serviti pure!
Gli bastava che per buona parte della serata ella lo cercasse, di tanto in tanto, con lo sguardo.
Una volta Andrea si era accostato al gruppo di giovanotti che, sapendola ora con quella dote, si disputavano più accanitamente le occasioni di entrarle in grazia. Giacinta gli disse:
— Guardi! Lei solo non mi fa la corte.
— Se non mi dànno neppure un minuto di tempo! Largo, largo signori!
Ella era felice di queste maliziette che davano maggior sapore al loro dolce segreto.
Provava una tranquillità grande. Non si voltava più indietro per guardare il passato; non tentava d’afferrar qualche barlume nel buio fitto dell’avvenire. La sua sorte era fissata. Ma non voleva occuparsene... Esitava... Aspettava. Che cosa? Non lo sapeva neppure. Le sembrava già molto il sapersi riamata davvero per sè stessa, soltanto. Ne aveva avuto la prova nei dubbii, nei timori di Andrea, quando da quella subita fortuna giunta così a proposito ella era stata messa in uno stato d’indipendenza quale non l’aveva mai fantasticato. E come la stomacavano tutti quegli imbecilli che ora, uno dietro l’altro, chiedevano la sua mano, come se le trecento mila lire l’avessero già purificata dalla macchia per cui prima tutti arricciavano il naso!... Vili prima e dopo.
— Ma insomma...? — le diceva spesso sua madre, con la voce irritata — È una vera follia!...
— Voglio attendere... stare a vedere...
Si cullava in quella decisione, e le sapeva forte l’uscirne. E siccome neanche Andrea arrivava a spiegarsi quell’eterno esitare:
— Non tormentarmi anche te! — stizzita, gli rispose una sera. Andrea non si tenne lì.
— Senti: quel capitano Ranzelli ti sta troppo attorno.
— Ti dà ombra?
— Un pochino.
— Infatti è un bell’uomo, colto, elegante...
— Non scherzare!...
— Dico davvero.
Ma soggiunse subito:
— Sei sempre un ragazzo!
Un po’ di amarezza tornava a mescersi in questo modo nella coppa della sua felicità, che grado grado s’attossicò intieramente.
Quella sera che si vide stretta da tutti i lati: dalla dichiarazione del capitano, dalla ingiusta gelosia di Andrea, dai sospetti e dalle rampogne della madre, ella sentì a un tratto riaggravarsi addosso il peso opprimente della cattiva sua sorte.
Marietta, andata a chiamarla per la cena, la trovò sul punto di spogliarsi.
— Si sente male?
— No.
— Vuol cenare in camera?
— Non ceno.
— Burrasca! — disse Marietta dentro di sè.
E stava per andar via; poi si voltò:
— Le darò una buona notizia, ma voglio la mancia. Rida!... Sa che mi ha detto stamani il conte Grippa?... Mi ha detto: Se la tua padroncina volesse diventare la Contessa Grippa di San Celso!
E scoppiò in una risata.
Ma Giacinta aveva alzato la testa, riflettendo, intanto che la Marietta, prese con la punta delle dita le cocche del grembiule bianco, le faceva una comica riverenza:
— Signora contessa!!!
— Chi lo sa? — pensava Giacinta.
E con lo sguardo balenante pareva cercasse qualcosa nel buio dell’avvenire.