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XIV.
— Calmatevi, figliuola mia, calmatevi! — le diceva di tanto in tanto con voce tremula il vecchio confessore, dalla grata del confessionario dove appoggiava la testa.
Giacinta arrestavasi un momentino, quasi soffocata, poi riprendeva a parlare.
E tutta la sua vita — dolori, illusioni, disinganni, speranze agonizzanti — tutta, continuava a ripassarle dinanzi agli occhi, rapidamente, come una visione, come un terribile sogno... Un sogno che finiva lì!
— La vostra risoluzione, figliuola mia, è dunque ben ferma? — disse il prete.
— Sì, padre! — Però mi avete detto che è nata soltanto da pochi giorni, sotto la tortura di un gran dolore...
— È vero; ma non importa. È come se io mi vi fossi deliberata da un pezzo.
— Speriamo che sia così. La grazia divina ha fatto miracoli assai più grandi di questo. Però la prudenza consiglia di non fidarsi troppo di un proposito di primo impeto.
— Padre, non mi tolga il coraggio!...
— No; ma debbo farvi riflettere che un passo inconsideratamente fatto potrebbe arrecarvi dolori assai più grandi di quelli sofferti finora. Il Signore è molto geloso delle anime che si consacrano a lui. Prima di accettarvi tra le sue braccia di misericordia, vuole essere certo che voi non vi rifugiate in lui per un dispetto passeggiero, per il turbamento di una passione contrastata, d’una speranza venuta meno...
— Mi sento già distaccata da tutto, interamente.
— Può essere un’illusione che starà poco a svanire. L’amor di Dio, figliuola mia, non ha profonde radici nel vostro cuore. Siete vissuta, fino a pochi giorni fa, senza darvi alcun pensiero di Lui, come se egli non esistesse...
— Ah, padre! Non me n’hanno parlato quasi mai, neppure quand’ero bambina... Mia madre non pratica in chiesa; è troppo distratta dalle sue cure mondane. Mio padre odia i preti...
— Che gli hanno fatto di male?
— Nulla... non so.
— Povera creatura!... Voi avete ragione. Ebbene, figliuola mia, cominciate dal rassegnarvi ai valori di Colui che è il padrone di tutto, della vita, dell’anima vostra... I vostri parenti dunque ignorano?...
— Sì; ma non c’è da temere nessun contrasto da parte loro. Mia madre sarà... forse... anche contenta di sbarazzarsi di me...
— Non accusate nessuno. Riconoscete in ogni avvenimento la volontà suprema di Dio. Preparatevi intento ad esser degna di Lui.
— Che dovrò fare?
— Pregate, anzi tutto; pregate che Dio vi dia la forza a persistere nel proponimento di consacrarvi al suo santo servizio. Egli saprà disporre ogni cosa come meglio crederà conveniente alla sua giustizia e alla sua misericordia. Il Signore fa tutto bene. Le piaghe da lui inflitte sono piaghe di vita. Egli ci prova, ci purifica con esse; non spetta a noi altri, miseri vermi, il giudicare delle sue vie!
— Sì, sì, padre! — disse Giacinta, a cui quel linguaggio così insolito metteva sgomento.
— Siate dunque umile, rassegnata alla sua divina volontà. E se gli piacesse di richiamarvi a Lui con altri mezzi, non vi perdete d’animo; confidate nel suo affetto di padre. Voi paventate un’umiliazione; vi rivoltate alla sola idea di poter essere, un giorno, insultata per una trista circostanza in cui la vostra volontà non ebbe e non poteva avere parte... Ma nel caso che Dio, figliuola mia, per la salute dell’anima vostra, volesse sottomettervi a tal prova...
— Dio è giusto; non castiga a torto...
— Ecco, voi chiamate gastigo ciò che invece sarebbe una prova! Rassegnatevi. Un’anticipata rassegnazione potrebbe indurre la misericordia celeste a risparmiarvela affatto.
— Oh!... Non ho questa forza!
— Chiedendola, vi sarà data.
E la chiese, giorno e notte, per una settimana, felice di quel suo gesto. Marietta, pur avendola accompagnata in chiesa all’insaputa della signora, non sospettava di nulla; e approvava che la sua padroncina, come continuava a chiamarla, si fosse rivolta alla Madonna:
— La Madonna le avrebbe fatta la grazia!... L’avrebbe consolata!
No, non la consolava, non le faceva la grazia!
Il suo cuore di donna si rivoltava alla possibilità di quell’insulto; si rivoltava anzi peggio, dopo che non riusciva a comprendere in che modo Dio, che doveva essere giusto, potesse vederla sottomettere a quella terribile prova.
Il confessore le aveva detto:
— Tornate appena vi sentirete più forte.
Ed era tornata, quantunque non si sentisse più forte. In quella chiesa piccola e buia, aspettando ginocchioni che il prete entrasse nel confessionario, provava la sensazione indefinita di un agghiacciamento, più che del corpo, dell’anima, di un mutismo scoraggiante, di una repulsione che le pioveva sul cuore dalle pareti, dalle colonne, dagli altari delle cappelle dove guizzava la fiammella di una lampada sul punto di spegnersi... Così agonizzava la sua speranza!
— E la rassegnazione è venuta? — le domandò il prete.
— No padre!
— Chiedetela con più insistenza, con maggior fede. Quando meno ve l’aspettate, verrà.
Questa volta il confessore parlò a lungo, senza domandarle altro. E intanto che con voce tremula ragionava delle ineffabili consolazioni del Cristo in tutte le condizioni della vita, per le anime afflitte e sincere; intanto che le metteva sotto gli occhi, perchè non le ignorasse, tutte le difficoltà della vita religiosa per chi non vi era chiamato da irresistibile vocazione, una cupa irritazione gonfiava il cuore di Giacinta.
— Come?... Era tutto?... — Invece di incoraggiarla, di sollevarla, le ragionava di difficoltà da vincere, di ostacoli da superare?... Dio dunque la respingeva?... Dio dunque la rigettava nell’abisso quand’ella, aggrappata all’orlo, gridava disperatamente: soccorso?...
La sua ragione si smarriva!
In quei due terribili giorni, i più desolati della sua vita, un crollo di tutto il suo essere, qualcosa di orrendo, era avvenuto dentro di lei. Ella stessa non sapeva spiegarsi in che maniera quella idea, da cui si sentiva presa e dominata come da una fatalità, le fosse entrata nella mente:
— Amante sì, a ogni costo; marito no, mai!
E n’era atterrita e orgogliosa nel tempo stesso.
— Ho sognato colla mia sorte uno di quei patti mostruosi che si sottoscrivono col sangue — disse ad Andrea, presso il camino, stendendo i piedi contro la brace.
— Qual patto?
Andrea aveva preso le molle, per rassettare la legna e ravvivare la fiamma.
— Lo saprà, forse, un giorno — rispose. — Ma stia fermo con quelle molle, fa peggio.
— Dice bene. Destar fiamme non è il mio forte.
Pure continuava ad armeggiare, con un ginocchio piegato sul tappeto, rimettendo i tizzi uno sopra l’altro per poi soffiarvi col mantice.
Giacinta diè una rapida occhiata attorno.
Sua madre, il Commendatore, il Porati, il Mochi e l’ingegner Villa, che pareva un gigante in mezzo ad essi, ragionavano a bassa voce in un canto, preoccupati; e certamente non della neve che cadeva fuori sin dal mattino e aveva spopolato il salotto.
Giacinta sporse il capo quasi fino all’orecchio di Andrea.
— M’ama davvero? — gli disse.
A quella interrogazione a voce repressa, così risoluta e così inattesa, Andrea si voltò per guardarla in viso.
— M’ama davvero? — ripetè Giacinta.
Allora, per risposta, egli le prese una mano e gliela strinse forte.
— T’amo, Andrea! — ella soggiunse, visibilmente commossa.
Andrea la ringraziò con un lungo bacio sulla mano tenuta stretta fra le sue.
Giacinta diè un’altra occhiata, egualmente rapida, verso il posto dove gli altri pendevano tutti dalle labbra del Commendatore che parlava accalorato; e ripresa la sua posizione, intanto che Andrea faceva le viste di attizzare la legna:
— Hai tu fiducia in me? — gli disse.
— Illimitata!... Sono il tuo schiavo.
— Sei tu capace di tener segreto questo nostro amore finchè non ci sarà più bisogno di nessun riguardo?
— Un amore noto a tutti è una gioia sciupata!
— E non ti adombrerai di nulla?
— Di nulla, ora che tu mi hai detto di amarmi!
— E sarai paziente, senza lagnarti mai?
— Sì! Sì!
— Andrea, il mio cuore è tuo, per tutta la vita!
La fiamma del camino si ridestò crepitante in quel punto.
— È un buon augurio! — egli disse levandosi.
Giacinta gli sorrideva tutta illuminata da quei bagliori.