< Giacinta < Parte terza
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VII
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VII.

Il rosso di quella macchia di sangue gli era rimasto così nella mente, che nel salotto della contessa lo vedeva rifiorire sulle labbra di lei e della signora Villa, sul tappeto, sui mobili, su le pareti, sui cristalli, su le doppie tende, bianche e grigie, che moderavano il luminoso sorriso di quella giornata primaverile; e, disteso sulla poltrona, le mani nelle tasche dei calzoni e le gambe accavalciate, socchiudeva gli occhi per evitarne l’opprimente persecuzione.

Intanto la signora Villa, nel vano della finestra, continuava sotto voce le sue confidenze a Giacinta. E si accendeva, e gesticolava, e le si chinava quasi sull’orecchio per dare più efficacia a certe parole: poi rizzava il capo e la guardava fissa, interrogandola anche con lo sguardo:

— Ho forse torto? Ho forse torto?

Quei dissapori tra l’Ernesta e il suo amante interessavano poco Giacinta; ma, per convenienza, mostrava d’ascoltarli attentamente, dando ragione all’amica con lievi accenni del capo, voltandosi di tanto in tanto per osservare Andrea che pareva assorto a contemplare gli stucchi dorati della vôlta.

— Ne riparleremo — conchiuse la signora Villa. — Cara mia, sono stufa!

Andrea s’era alzato per salutarla al passaggio.

— Gerace — ella gli disse — che trista cera avete oggi!

— Ho dormito poco, ed ho una tale accapacciatura!

Però queste scuse, pronunziate con visibile impaccio, non persuasero Giacinta. Il suo cuore di donna già presentiva un pericolo.

— Che ti è accaduto? — gli domandò, appena la signora Villa fu andata via.

— Nulla! Nulla!

L’insolita vivacità della risposta la colpì.

— Hai dei segreti per me?

— Vorresti farmi una colpa anche del mal di capo?

Per alcuni minuti stettero zitti. Andrea picchiava con la punta della mazzettina sul tappeto; Giacinta, di faccia, con la fronte corrugata, si mordeva le labbra, sfilacciando nervosamente la frangia della cravatta di seta che le scendeva sul petto.

— Hai perduto la parola?

— Senti — disse Andrea, rizzandosi bruscamente sulla vita. — Da qualche tempo, sei diventata assai strana. Mi rimproveri senza motivo; mi tratti come un amante venuto in uggia, quasi cercassi un pretesto, una scusa per romperla. Questa vita di diffidenza, di sospetti, di rancori nascosti, oh! è insopportabile! Tu pretendi l’assurdo. Non si può essere, tutti gli anni, tutti i mesi, tutti i giorni, dello stesso umore. I nervi, la stagione... che so io? Ogni anno che passa ci lascia cambiati. Si diventa più seri; si guarda la vita da un altro punto di vista; si ama quanto prima, forse più...

— O si finisce d’amare!

Andrea restò confuso al tono freddo e vibrato della risposta.

— A chi alludi?

— Non a me, certamente. Io mi striscio ai tuoi piedi, come un verme; io, che ti ho dato spontaneamente e generosamente tutta me stessa, ora mi rassegno a chiederti, quasi in carità, quel ricambio d’affetto che avrei diritto d’esigere; io... io che ho abbassato il mio orgoglio di donna fino a implorare una terribile dichiarazione, che potrebbe uccidermi sul colpo!... E tu intanto? Non sai parlarmi schietto; t’avvolgi in una nebbia di mezze negazioni che complicano i nostri equivoci e ne creano dei nuovi. Fai di più: inverti le parti. Ah! Son io che ti tratto da amante venuto in uggia? Sono io? Mia madre aveva ragione: "Povera illusa, tu che credi all’amore di un uomo; povera illusa!". Sì, mia madre aveva ragione!

— E colui che crede a quello di una donna?

— Che intendi dire?

Andrea s’alzò dalla poltrona, masticando una risposta.

— Parla, parla! — insisteva Giacinta.

— Parlerò; non voglio più fingere!

Ella rimase a guardarlo, ansante, sollevando lentamente la persona, tesa verso di lui come per aiutarlo nello sforzo.

— Sono geloso!... Quel tuo dottore... — balbettò Andrea.

— ... È geloso?

Giacinta se lo ripetè, non osando credere ai suoi orecchi; poi, con uno scatto di gioia, gli si gettò al collo:

— È geloso!... Fanciullo!... Sei geloso? Davvero?

Mai non aveva sentito da lui più dolce parola d’amore! E lo abbracciava, lo baciava, gli palpava i capelli con le mani smarrite: e rideva, con una specie di singhiozzo, pel fremito che l’agitava da capo a piedi:

— Fanciullo!... E hai potuto sospettare?...

Andrea, che non s’attendeva questo scoppio, non osava di resistere.

— E hai potuto sospettare!... Oh!

— Non negarlo — egli rispose, tentando debolmente di svincolarsi. — C’è stato un giorno...

— Sì, perchè negartelo? C’è stato un giorno in cui per disperazione, desiderai di poterti non più amare. Credetti non mi restasse altro che rimpiangere la mia felicità morta per sempre, il tuo affetto svanito! Ma... come non amarti più? È mai possibile?

E si stringeva a lui con un gesto di paurosa, quasi ci fosse lì qualcuno che volesse rubarglielo. Andrea sorrideva, stentatamente, sentendo già allacciarsi da una nuova e irresistibile malia. Quelle mani tremanti di commozione che gli brancicavano i capelli e la fronte; quella voce stranamente melodiosa, che gli carezzava gli orecchi e gli ricercava il cuore con un deliziosissimo serpeggiamento; quelle pupille accese dai crescenti bagliori d’una felicità non sperata, gli producevano il solito effetto di rammollirgli le ossa, d’intorpidirne la volontà, di stroncarlo, com’egli diceva.

Giacinta, presolo per le mani, dondolando lentamente la persona, continuava a parlare con quella voce stranamente efficace, simile a un mormorio:

— Che sciocchi siamo stati!... Ma non ricominceremo; abbiamo sofferto troppo. Capisci? Col tacere si fa peggio; le ombre prendono corpo; un fuscellino sembra un trave... Geloso? Ma non lo ripetere!... Vuoi che il dottore non venga più qui? Sarà fatto subito... No?... Che vorresti dunque? Son pronta a tutto... Ah!... Un’idea. Se tu venissi ad abitare il quartierino del secondo piano?

— Ti pare? La mia condizione è abbastanza difficile. La gente...

— La gente? — lo interruppe Giacinta. — Ne ho mai tenuto conto?

— No, no, sarebbe un capriccio soverchio...

E intanto che svincolatosi da lei si lasciava cadere sul canapè accosto, Giacinta con un rapido movimento gli si sedeva sulle ginocchia, avvolgendogli di nuovo le braccia al collo:

— Mi vuoi bene?

— Sì.

— Mi vorrai sempre bene, sempre?

— Sempre!

— Oh, se un’altra Adelina, venisse a legarci ancora più forte!

— Ma!...

— Come ti voglio bene!

Andrea, vinto, la faceva saltare leggermente sulle ginocchia baciandole e ribaciandole una mano.

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