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LE PROVE
Mia Signora,
Ed eccoci ritornati al punto donde partimmo!
Ella batte le mani perchè, avendo io cominciato coll’ironia, ho finito con la commozione. La feci arrabbiare sostenendo che le creature umane non si possono intendere, e ho addotto da ultimo un esempio di questa comprensione!
Ora m’accorgo — ella dirà che guasto tutto! — come gli esempii non provino nulla, perchè tanti se ne possono addurre a sostegno della tesi quanti a sostegno dell’antitesi. Varrà più l’una o l’altra? Ogni opinione è legittima; l’accordo dei concetti nel disaccordo delle espressioni mi pare che sia molto bene provato da queste due sentenze di due grandi scrittrici: Mademoiselle de Lafayette ha detto: «On pardonne les infidelités, mais on ne les oublie pas.» — «On oublie les infidelités, mais on ne les pardonne pas», ha detto Madame de Sevigné...
Bene: siamo d’accordo: sarà possibilissimo comprendere l’anima altrui; ma, se ciò è possibile, non è già facile. L’Inquisizione aveva del bu ono. Quando un uomo vuole leggere nel cuore d’un suo simile, ma proprio nitidamente leggervi tutto ciò che sta scritto fino nelle ultime pagine, nei margini più ripiegati, qualche buon tratto di corda o meglio ancora qualcuno di quei più persuasivi congegni dei quali l’imaginazione dei Torquemada era fertile, rende comprensibile tutto. Mancando questo secolo di tanaglie e di cavalletti, come si potranno scoprire i pensieri e i sentimenti degli altri? E, veramente, non facciamo noi l’elogio dei Torquemada quando, per strappare a qualcuno la verità, lo afferriamo per le braccia, gli stringiamo le mani come dentro una morsa, gl’infiggiamo nello sguardo il nostro sguardo rovente?... Questi mezzi d’indagine sogliono essere adoperati dalle persone di natura violenta; le miti nature preferiscono di restare nell’ignoranza e nell’inganno, preferiscono anche patire piuttosto che far patire. E del resto che valore hanno le prove strappate per forza, specialmente quando si riferiscono ai casi della coscienza o agli stati dell’animo?
Se è impossibile vedere con gli occhi i moti dell’anima amante, quali prove sicure noi potremo avere dell’amore? Chi ci confessa, ci attesta e ci giura l’amor suo, come potrà dimostrarcelo? Non potremo noi, non dovremo anzi dubitare delle sue parole? Come sapere se le parole sono vere, se sono tutte vere? Chi asserisce d’amare soltanto o soprammodo con l’anima, non può nascondere, non nasconde troppo spesso sotto questa dichiarazione una brama meno degna? Chi ci afferma di ripagarci d’un amore in tutto eguale al nostro, in qual modo, per qual via potrà farci leggere nel suo cuore così chiaramente come noi leggiamo nel nostro?
Nell’anima altrui non si legge; ma le prove d’amore, le prove indiscutibili, luminose, lampanti, non mancano.
— Soit, dit-elle, je cède et me voici clémente. Mais pour y croire, à votre amour, si je m’y rends, J’en veux un gage sûr et que rien ne démente.
Potrebbe essere accusata di soverchia esigenza costei? Non sono le donne quelle che hanno ragione di sospettare che l’amore degli uomini si riduca al desiderio torbido? Questo dubbio non esiste negli uomini, perchè i desiderii delle loro compagne sono moderati e spesso mancano; ma, per ciò stesso, tutto l’amore femminile è tanto calmo e composto, che la maggior prova d’amore che le donne sappiano dare consiste nel lasciarsi amare... Dunque non basterà che questo amante confessi l’amor suo, bisogna ancora che lo dimostri!
— Las! fit-il, où trouver des serments assez grands?
E come è umano questo sentimento d’impotenza! Non solo l’amata dubita, ma lo stesso amante sa e sente che ella deve dubitare, perchè i giuramenti, le parole, gli effimeri suoni non potranno mai esser prova valevole, espressione adeguata della meravigliosa efflorescenza che invade ogni piega dell’anima sua.
— Las! les plus solennels n’ont plus rien qui m’émeuve, Répondit-elle. Alors lui, soudain; «Je comprends! La preuve qu’il vous faut je l’ai superbe et neuve.
O toi que j’aime, tu vas voir si je t’aimais!» Et comme en souriant elle attendait la preuve, Sans retourner la tête il s’enfuit pour jamais.
Se il senso è tutto egoistico, come dimostrar meglio che questo amore non era sensuale? Se lo stesso sentimento, d’ordinario, è fatto più di amor proprio che d’amore, e se pertanto le ragioni della persona amata sono posposte alle proprie, come dimostrare più luminosamente che questa volta l’amore non era amor di sè stesso? Infine, se amare qualcuno importa quasi sempre più che odiarlo, giacchè chi odia può anche astenersi dal far male, mentre chi ama infligge sempre dolori e tormenti, la migliore, la vera prova d’amore sarà appunto questa: rinunziare all’amore...
Che ne siano capaci molti, non è da credere. E poi, quand’anche molti ne fossero capaci, essa potrebbe parere un’ironia. Non sarebbe press’a poco come ucciderci per provare che viviamo? Allora noi dovremo cercarne un’altra, meno paradossale; una prova non dell’amore represso ma dell’amore operante ed attuale.
— Io la conosco, — mi confidò una donna con la quale ragionavo un giorno di queste cose.
Abbassato il capo e chiusi gli occhi, ella si raccolse un istante; e la sua faccia, non più illuminata dall’ardore degli sguardi, apparve qual era realmente: consunta dal tempo, ròsa dalle passioni, simile ad una maschera vecchia sulla quale tutti coloro che la portarono abbiano lasciato un’impronta. Quanti uomini avevano logorato a furia di baci quelle guance appassite, quelle labbra sbiancate, quelle rugose palpebre? Quante febbri avevano macerata quella carne flaccida e gialla? Quali spasimi avevano contorto gli angoli di quella bocca amara? Quali pensieri molesti, quali assidue cure avevano scavato i solchi di quella fronte? In quali notti di veglia s’erano brizzolati quei rari capelli che ella adesso stirava con una mano bianca e smagrita?... Bella non era mai stata, neppure ai giorni tanto lontani della prima giovinezza; ma qualcosa del fascino strano e irresistibile che aveva fatto di lei una creatura di turbamento rifulse ancora su quel tragico volto quand’ella si scosse, guardò fiso lontano e riprese a parlare.
— Chi di voi ha dunque affermato che solo il primo amore è l’amor vero? Non aveva ancora vissuto, costui; non sapeva i giuochi imprevisti dell’esistenza, l’avvicendarsi delle fortune, le rivoluzioni che s’operano da un giorno all’altro nel mondo e nell’anima! Dicono impossibile un secondo amore perchè con la morte del primo la fede nella forza e nella durata della passione andò necessariamente dispersa; ma non si ricomincia piuttosto ad amare appunto perchè questa fede è immortale e perchè si riconobbe d’averla riposta in chi la tradì?..... Sì, l’amor vero può essere il primo, ma può anche essere l’ultimo — se per amor vero intendete quello che altri vi porta come voi lo portate, quello che vi promisero i sogni e che mai vi consolate d’avere perduto. Poichè molte volte potete amare con tutte le forze dell’anima, molte volte essere amati sopra ogni cosa; ma non c’è amore integro se non nell’incontro, nell’accordo, nello scambio delle due passioni; e ciò è tanto raro che la turba infinita dei diseredati lo nega..... Orbene: ascoltate. Per un uomo io abbandonai la mia casa, distrussi la mia famiglia, avvelenai la vita di chi mi mise al mondo — feci, delle creature che misi al mondo io stessa, altrettanti orfani. Dovevo amarlo per far queste cose, è vero? A giudizio del mondo egli mi costava sacrifizii non lievi — dite, è vero?... Ma se io li giudicavo insufficienti! Se non credevo d’avergli dimostrato abbastanza che mi teneva luogo di tutto, che era tutto il mio bene sulla terra, l’unico giudice del quale temessi le condanne! Che cosa non avrei fatto per dargli questa dimostrazione? Come lo scongiuravo, in ginocchio, con le mani giunte, di dirmi che cosa voleva da me per credere all’amor mio! Come sarei stata felice se fossi morta di sua mano! Egli m’uccise — altrimenti. Egli non credeva all’amor mio perchè non credeva a nulla. Vi sono di questi esseri fatali su cui sembra pesare la maledizione divina: belli come l’arcangelo caduto, come lui aridi e falsi. Un sorriso che sembra beato ed è schernitore illumina i loro occhi, parole che voi credete mistiche e sono bugiarde escono dalle loro labbra. Se per vostra sciagura v’imbattete in qualcuno di essi, siete dannati. Alla loro seduzione non si resiste. Secondati dalle ingannatrici apparenze, voi non metterete più un freno alle vostre aspettazioni, educherete le più folli lusinghe e precipiterete tanto più basso quanto più ardito sarà stato lo slancio. Voi crederete di trovare nella loro anima le rigogliose fioriture della vostra; crederete di fare un sol cuore e una sola vita; e quando v’accorgerete che ciò non è, accuserete voi stessi! Come sospettare la loro colpa se tutto ciò che in essi è parvenza brilla ed incanta? E vi torturate, vi rimproverate torti imaginarii, procurate di riscattare i difetti dei quali vi sentite pieni, sognate di conquistare tutte le virtù che vi mancano. E tutto ciò è invano; e voi pensate ancora: «La colpa è mia! Io non l’amo abbastanza, non so fargli vedere il suo pensiero all’origine d’ogni pensiero mio proprio, non riesco ad ottenere da lui la stessa fede ardente che io gli porto...» Infatti egli vi sfugge, e questa fede altri avrà forse saputo ispirargliela! Allora non vi rimproverate più nell’intimo della vostra coscienza, ma v’umiliate apertamente dinanzi a lui, lo scongiurate d’avere almeno pietà: almeno questo sentimento allignerà nel suo cuore! Improvvisamente, un atto, una parola, ve ne dimostra l’orribile vuoto: allora un crollo tremendo avviene dentro di voi; ma siete guarito — radicalmente.
Ella fece col braccio disteso, con le dita adunche, il gesto di svellere qualcosa. Tacque un poco battendo rapidamente le ciglia, poi continuò:
— Questo fu il mio primo amore. Mi costava tutto, quell’uomo; ma io gli avrei tutto perdonato se non m’avesse tolto ciò che mi rimaneva di unicamente caro: il conforto d’esser stata compresa, almeno un giorno, almeno un’ora; la fiducia di non essermi perduta per niente — per niente! Gli avevo perdonato tante vergogne, tanti abbandoni, tanti tradimenti! Ero stata sorda agli stessi dileggi, agli stessi sospetti, agli stessi affronti! Credevo sempre in lui, suo malgrado. Volevo trovare qualcosa di buono in fondo al suo cuore; stimavo sempre che ne avesse. Mi accorgevo che l’amore boccheggiava in lui, che era già morto; ma pensavo almeno che fosse stato vivo, una volta! Con una parola infame egli mi tolse quest’ultima lusinga, calpestò la stessa illusione; quando volli ricordargli questo amore, le parole che m’avevano esaltata, i giuramenti che m’avevano ubbriacata, egli mi disse: «E tu li hai creduti?...» E con la stessa bocca che li aveva proferiti disse ancora: «Ma sono la moneta con la quale si pagano quelle che non son da comprare!...» Allora, vedete, l’unico mio scopo, l’unico mio bisogno, ardente, imperioso, vorace, fu di diventar co me queste.....
La sua voce, che s’era fatta rauca tanto da costringerla a tossire replicatamente, si schiarì ad un tratto.
— Non lo accuso più. Compresi, tardi, che la colpa non era stata neppur sua, che egli non poteva esercitare virtù che non aveva. Non crede chi vuole. Forse, chi sa, anch’egli soffrì.
Ed alzò le spalle e scosse un poco la testa con l’espressione indulgente di chi ha visto molte miserie.
— Comprendete bene dunque, — riprese, — la condizione mia all’apparire dell’Altro. Intatta, insaziata, esasperata, io portavo con me la mia fede — e non ero più degna d’esser creduta. L’Altro mi credette. Per lui era il primo amore. Nessuna donna aveva ancora sospettato il tesoro di sentimenti che egli portava in cuore; e questo tesoro tanto grande che non v’era purezza capace di pagarlo, io, l’ultima delle creature, l’ebbi, tutto. No, il povero linguaggio umano non potrà dir mai che cosa fu questo amore, l’esultanza divina di due esuli ciascuno dei quali ritrova nell’altro tutta la terra, tutto il cielo della patria lontana. Il linguaggio umano può dire soltanto le umane miserie, i dubbii, gl’inganni, i tormenti, — e chi sa la vita comprenderà quelli che fatalmente ci aspettavano. Per un uomo che m’aveva avvilita, profanata, perduta, io avevo dato tanto, che nulla più mi restava da dare a quest’altro — per cui avrei voluto versare il mio sangue fino all’ultima stilla. Io avevo imparato a costo della salute dell’anima che non basta sentirsi giurare un affetto, che bisogna anche ottenerne la prova. Ed io non potevo dargli altro che le mie parole, e sapevo che le parole possono mentire, e sentivo che in bocca mia la menzogna doveva esser giudicata facile e pronta. Allora il dubbio che egli non mi credesse più cominciò a insinuarsi in me. Era dubbio e divenne certezza. Se quell’uomo avesse potuto leggere nel mio cuore come vi legge Dio, sarebbe stato sicuro che tutti i palpiti del mio cuore erano suoi. Ma questo potere egli non lo aveva. Egli doveva paragonare, invece, sè stesso al mio primo amante, il bene infinito che mi faceva al male spaventevole che il primo m’aveva inflitto; ed avvertire che mentre il male era stato da me ricompensato come il massimo dei beni, a lui non potevo ora dare più nulla. E badate: non era già l’orgoglio suo che lo persuadeva a stimarsi di tanto superiore al suo predecessore, a pretendere che io facessi per lui molto più che per costui: io stessa glie lo dicevo, glie lo ripetevo, glie l’attestavo. Ma come più gli parlavo dell’influsso maligno esercitato da costui sulla mia vita — per esecrarlo — più egli pensava ad esso — per temerlo. Egli che sapeva le sciagurate contraddizioni del nostro cuore temeva che fossi ancora attaccata a quell’uomo in ragione degli stessi dolori che mi costava. Come dunque, come provargli il suo inganno, la dispersione assoluta d’ogni memoria di quel passato, la fine della stessa esecrazione — poichè tutto l’orrore nel quale ero affondata non m’impediva la nuova felicità? E vedete di quali reazioni continue è fatto il nostro pensiero: mentre il conseguimento di questa felicità attutiva il sentimento dell’indegnità mia, questo sentimento si ridestava da un’altra parte, più acuto, più torturante — poichè la mia indegnità mi toglieva di dare a quest’uomo la luminosa dimostrazione che egli era in diritto di esigere! Allora qualcosa di più strano — di più umano — accadde in me. Quando io avevo portato nell’amore un cuor nuovo, un’anima vergine, tutto ciò che questa vita può dare di meno indegno, io m’ero accusata di non meritare abbastanza il ricambio dell’amor mio; ora che non lo meritavo davvero, sentivo la ribellione prepararsi sordamente dentro di me. Dinanzi all’ideale Giustizia io era nel torto per avere criminosamente sperperato quei beni che andavano invece serbati con cura gelosa in attesa di offerirli a chi solo avrebbero dovuto appartenere; dinanzi a quest’uomo io ero in debito — e noi siamo così fatti da non tollerare il rimprovero dei nostri torti.... E se ancora quest’uomo m’avesse apertamente rimproverato la mia miseria, se m’avesse buttato in faccia la mia abiezione, se m’avesse torturata ogni giorno, forse sarei stata meglio difesa contro le folli aberrazioni dell’egoismo; ma egli non fece questo, mai! Una tristezza senza fine velava talvolta i suoi sguardi, ma il suo linguaggio era sempre quello della dolcezza, della devozione, dell’umiltà. Allora io pensavo che egli parlasse così per compassione, che intendesse farmi un’elemosina, che non contento ancora dei suoi tanti vantaggi volesse finire di schiacciarmi con la sua generosità — e la sorda ribellione diveniva più minacciosa. Avrei dovuto stargli in ginocchio dinanzi, e mi sentivo distaccare a poco a poco da lui... Il nostro cuore è così miserabile che non sopporta la gioia assoluta: una dose d’amaro è necessaria al suo nutrimento. Quell’uomo aveva una gran colpa, non mi faceva soffrire. E come io lo disconoscevo, anch’egli disconosceva me. Perchè la vita m’aveva contaminata, pensava che non fossi più capace d’apprezzarlo, che altre avrebbero saputo amarlo meglio di me. Presumeva ch’io dovessi portargli una gratitudine eterna per avermi sollevato fino a lui, che il pensiero di cercare altrove un altro amore — il pensiero che egli stesso accarezzava! — non dovesse neppure affacciarsi alla mente mia. E troppo sicuro d’essere amato, rispondeva meno all’amor mio, non pensando che questo fosse un torto, o pensando che fosse un torto minore e più tollerabile di quelli che altri m’aveva fatti. Ma le azioni umane non hanno tutte un valore relativo a chi le commette, alle circostanze nelle quali sono commesse, allo stato di colui che le apprende? E la freddezza d’un uomo come lui m’era più grave, dopo ciò che avevo patito, di tutti i tradimenti dell’altro amante... Così, giorno per giorno, il dissidio cresceva. L’ingrato destino ci era stato largo d’un bene incredibile; noi ce lo lasciammo sfuggire. L’amor nostro fu il vero, il grande, il solo amore; non sapemmo riconoscerlo. Come potevo riconoscerlo, io? Non m’ero ingannata altre volte? Non dovevo inevitabilmente sospettare di ingannarmi anche ora? A qual segno poteva riconoscerlo, egli che non aveva termini di confronto? Così il nostro inganno procedeva da opposte ragioni. Mancava ad entrambi la prova. L’avemmo.
Ella ripetè:
— Fu questa.
E passatasi una mano sulla fronte, lentamente, da una tempia all’altra, disse, come in sogno:
— Io lo tradii.
Dopo una pausa riprese:
— Imaginate voi che cosa dev’essere un pazzo che abbia perduto, insieme con l’intelletto, la vista? Soltanto un pazzo cieco avrebbe potuto fare quel ch’io feci — ragionatamente, deliberatamente. Pensai che egli non mi amava più, che non m’aveva amata mai. Credetti alle parole d’un altro, di quelli che ci troviamo attorno nelle agonie del sentimento, corvi che hanno fiutato il cadavere. No, non lo credetti! Non credevo più nulla. Ma questo scetticismo, la certezza che non c’era nulla, la persuasione d’esser discesa tanto basso da non poter cadere più giù mi buttò incontro ad un altro. Egli s’era accorto di quest’altro e non aveva trovata una sola parola per salvarmi. Io pensai: «Vuol dunque gettarmi via come una cosa inutile e vile!» E volli io stessa lasciarlo. Quando glie lo dissi...
Ella s’interruppe, esitante; e ad occhi chiusi, rovesciando un poco la testa, irrigidita come per catalessi, con voce lenta e gelata soggiunse:
— Dopo che sarò morta, dopo che m’avranno chiusa dentro una bara, dopo che la terra mi avrà ricoperta, io udrò ancora quell’urlo.
Rimase quasi assorta qualche momento, poi ricominciò:
— Saremmo stati ancora a tempo. Ma la benda non era ancora tutta caduta dagli occhi nostri. Io credevo d’averlo ferito nell’orgoglio soltanto, trionfavo provandogli che valevo ancora per gli altri, ottenevo la rivincita! Egli vide confermato il suo giudizio sulla mia infamia. Un intimo senso di sollievo, quella calma ingannatrice che precede lo scatenamento delle tempeste, ci pervase entrambi. Egli scomparve ed io ricaddi. Allora, allora soltanto, quando un altro prese il suo posto, quando io mi sentii nelle braccia d’un altro, quando questa miserabile carne fu preda d’un altro, un gemito sordo e lungo, il gemito d’una disperazione mortale uscì dal mio petto.
E un sorriso indefinibile, d’ironia, di pietà, di sprezzo, rischiarò quel viso.
— Io sapevo, per averla tanto provata, la nausea del risvegliarsi accanto a qualcuno che fino alla vigilia è stato un estraneo e che dopo l’ultima intimità sarà più estraneo di prima. Io avevo curata questa nausea col procurarmene un’altra maggiore, e poi un’altra ancora maggiore. Ora non ne provavo alcuna. L’insensato stupore, il tremendo e senza fine sterile rimorso m’agghiacciavano troppo. No, io non credevo alla realtà; mi sentivo come sotto l’impero d’uno di quei sogni mostruosi durante i quali sappiamo però di sognare. Ed un pianto sconsolato, inesauribile, grondava dai miei occhi; uno di quei pianti che sembrano stemperare l’anima stessa, che nei sogni ci destano. Ma il mio risveglio era più tetro del sogno. E come in sogno io pensavo che qualche misteriosa potenza aveva certamente cambiato le fattezze, gli sguardi, la voce dell’uomo che fino a qualche giorno innanzi era stato mio, e come in sogno io cercavo di rivederlo attraverso quest’altro. Io figgevo il mio sguardo nel suo, lungamente, intensamente, fino ad abbacinarmi, per discoprire nel suo sguardo i lampi del Perduto; poi chiudevo gli occhi ostinatamente, inflessibilmente, imponendogli di tacere, per illudermi, per credermi ancora insieme col Perduto. Ed accadde questo: che i miei avidi tentativi, i miei funebri ardori, la mia lunga pazzia accesero l’animo non del tutto volgare del mio nuovo amante; egli credè ch’io facessi tutto ciò per lui — per lui! — e al soffio della grande passione quel fuoco divampò alto e gagliardo, ed egli trovò inaspettatamente una parola, l’accento dell’Altro... Illusione terribile!... Io m’afferravo a lui, gli prendevo il capo fra le mani, gli dettavo le parole che ancora, che sempre mi risonavano all’orecchio, e gl’ingiungevo di ripeterle, ed egli le ripeteva, pensando che l’amore le suggerisse. E per un attimo io Lo ritrovavo! No, la nausea d’un tempo non mi soffocava più; no, io non potevo scacciare quest’uomo quando l’orrore invadeva l’animo mio, giacchè per suo mezzo recuperavo in qualche modo colui che avevo disconosciuto; giacchè la nausea, l’orrore, il pianto lungo e cocente mi rivelavano ciò ch’io avevo negato: la forza d’una passione che era la mia stessa vita! Non potevo scacciarlo; potevo soltanto e dovevo disingannarlo, dirgli a che mi serviva, perchè facevo tutte queste cose — e glie lo dissi! Gli dissi che mai, mai avevo avuto un palpito, un solo pensiero per lui; lo costrinsi ad ascoltare la confessione dell’amor mio per un altro, gli dissi che cercavo quest’altro in lui; che invece di farmi obliare egli dava nuova forza alla passione mia; che ora, la prima volta, grazie a lui, grazie al mio tradimento, acquistavo la prova luminosa, sfolgorante, irrecusabile di quell’amore. E nella risurrezione della fede il mio spirito acquistava una sovrannaturale chiaroveggenza, un intuito fatidico: io sentivo che una rivelazione eguale alla mia doveva essersi fatta nell’anima del Perduto; che, lontano da me, attraverso nuove esperienze ed impreviste vicende, egli doveva piangere com’io piangevo perchè sapeva che lo piangevo... Un giorno lo rividi. Corsi da lui.
Ella quasi gridò:
— Chi avrebbe potuto arrestarmi?
Riprese con voce più sorda:
— Gli dissi: «Sputami in viso, ma ascolta. Tu non mi credesti quando ti giuravo d’amarti. Dell’amor mio non seppi, non potei darti nessuna prova perchè io stessa ne dubitai. Questa prova ora la posseggo. Pensai dimenticarti, e la tua memoria mi ha schiacciata. Ti abbandonai, e t’ho ritrovato da per tutto. Ti porto con me. Nessuno ti strappa più da questo cuore. Metti i tuoi piedi sulla mia faccia, ma lasciati dire, ora, che t’amo...» Egli... egli...
Giunse le mani, girò intorno lo sguardo come smarrita, e a poco a poco l’espressione dell’estasi si dipinse sulla sua faccia smorta.
— Egli mi si fece vicino, mi guardò tacitamente. Tremava. Mi disse, così piano ch’io compresi piuttosto dal moto delle pallide labbra: «Sei tu?» Io potevo ancora parlare. Gli domandai: «Non m’abborrisci?» Ei rispose: «Ti piango...» Vedete voi queste mani? Qui caddero le sue lacrime, ed erano calde come gocce di sangue. Io non piangevo, sentivo il cuore battermi in gola. Tra le lacrime egli diceva: «Sei dunque tu? Non ho dunque sognato?... Quando io ti sospiravo, l’anima tua se ne veniva incontro a me?... Tu sai ora veramente quanto mi amavi?... Nessuno di noi lo seppe, mai!... Povere creature umane, quali inganni sono i nostri!... Come fummo ciechi e sordi e ostinati nell’errore!... Ora la luce s’è fatta...» A quelle parole, alla certezza che egli mi dava, il cuore avrebbe dovuto allargarmisi dalla gioia, la fascia che mi cingeva la fronte cadere, tutto l’essere mio esultare... e invece un’ambascia muta, un terrore infinito mi piegavano, un gran freddo mi faceva rabbrividire... Egli diceva ancora: «Bisogna che l’aria ci manchi, per riconoscere che ne viviamo!... Neanch’io potei darti la prova d’un amore nel quale non avevo fede... Credetti di poterne trovare altrove uno migliore... Che stolto!... No, non accusarti: io fui colpevole al pari di te. Come te, ora soltanto sono sicuro e posso dire di amarti. Non pensar mai con rimpianto a tutto ciò ch’io ti dissi e che feci per te nei primi giorni della nostra fortuna; non rimpianger mai i giuramenti che l’ebbrezza dettava: nessuna prova d’amore vale questa che oggi ti do...» E il mio terrore cresceva, lo sguardo mi s’appannava, le vene mi si vuotavano: perchè se egli avesse detto che tutto era finito tra noi, io non avrei avuto di questa fine una certezza tanto disperata come udendo quelle parole. Nondimeno, dissi: «Allora, se tu mi ami ancora...» Un sorriso più triste di tutte le sue lacrime, il sorriso di chi muore mentre sente promettersi la salute e i beni della vita, passò nel suo sguardo. Egli prese le mie mani e rispose: «Noi non ci vedremo più.» Mai la sua voce fu così dolce. Egli baciò queste mani e questa fronte — soltanto!...
E due lacrime, grosse e roventi come quelle da lei versate quel giorno, solcarono lentamente le sue guance. Quando la sua ambascia si calmò, ella ripetè:
— Fu questa la prova dell’amor nostro, ed è questa la grande prova dell’amore operante e attuale. Ma, come una legge spaventevole vuole che tutto si sconti, anch’essa s’acquista quando l’amore è perduto.
DIBATTIMENTO