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(Noterelle di un catanese)
Nella diffusissima e ormai celebre raccolta di canti popolari siciliani, I canti della terra del mare di Sicilia, trascritti da Alberto Favara, si nota che soltanto le due Provincie occidentali dell'Isola, Palermo e Trapani, sono largamente rappresentate.
Le Provincie di Messina e di Caltanissetta vi figurano con tre canti per una, quelle di Agrigento e di Siracusa con un solo canto per provincia.
Catania sembra completamente ignorata.
Non intendo, con ciò, muovere un appunto all'opera diligente e appassionata né alla buona volontà dell'illustre trascrittore, ma suppongo soltanto che le sue ricerche non si siano potute spingere fino alle Provincie della costiera Jonica, oppure ch'egli abbia pensato che le due raccolte del genere, apparse prima che pubblicasse la sua, avessero esaurito il suo compito.
Infatti, Francesco Paolo Frontini aveva pubblicato sin dal 1883, per la Casa Ricordi, il suo volume di canti popolari siciliani Eco della Sicilia (la cui seconda edizione apparve nel 1890 edita dal Forlivesi) e nel 1894 un volumetto, Il Natale Siciliano, edito dal Demarchi.
In queste pubblicazioni, l'illustre musicista catanese, raccolse canti, canzoni e musiche della sua città e dei paesi Etnei.
La raccolta del Favara comparve molto tempo dopo e fu guidata da altri criteri.
Nella raccolta frontiniana Eco della Sicilia sono contenuti 50 canti popolari dei quali la parte più cospicua è costituita da canzoni catanesi, arie d'amore o canzonette burlesche, che, sebbene conservino intatti i caratteri etnofonici della melodia siciliana, lasciano trapelare; dalla forma e dalla sostanza melodica, un'origine prettamente cittadina e un'epoca ben determinata della loro genesi.
Le forme dell'arietta settecentesca o dell'aria teatrale del primo ottocento costituiscono la base della loro struttura e il carattere del canto ; possiamo anche aggiungere che un paio di esse è probabile non siano state del tutto sconosciute a Vincenzo Bellini.
Delle autentiche cantilene del popolo e della gente di campagna solo pochi preziosissimi esemplari, sei o sette in tutto, si riscontrano nel volume.
E se il Favara raccolse esclusivamente le cantilene melodiose dedicando tutta la sua passione e tutta la sua sapienza a restaurarle e ad ingemmarle di preziosismi armonistici, se egli, col suo paziente lavoro, mirò soltanto a conservare il canto limpido e puro del popolo, si accorse che il carattere della raccolta frontiniana era un poco diverso da quello che egli volle dare alla sua? Non sappiamo.
Ma una disamina, anche la più sommaria, stabilisce senz'altro la differenza che esiste fra le due raccolte.
Differenza che circoscriviamo soltanto al carattere delle musiche o alla forma di esse, e non alla maniera con la quale i canti sono stati rielaborati dai due raccoglitori.
In ogni canto siciliano non solo è riflessa l'anima del cantore, ma i caratteri della razza e l'afflato della terra a cui esso appartiene vi imprimono il loro segno indelebile.
Anche senza sapere da quali Provincie dell'Isola i canti provengano non è difficile stabilire la località, se non addirittura il tempo, in cui essi nascono.
Ogni canto è sempre legato ad una tradizione, ad un linguaggio melodico, ad accenti particolari, discorsivi, drammatici o espressivi, che rivelano i modi musicali delle antiche razze che si sono avvicendate in ogni luogo della Sicilia lasciando la loro impronta nei dialetti, negli usi, nei costumi, nelle musiche.
I canti popolari sono dunque, più che il patrimonio di un intero popolo, l'eredità esclusiva di ogni razza, e variano di località in località a seconda dei segni particolari o del carattere che essa vi ha impresso.
E se un canto nato in una terra, compisse pellegrinaggi attraverso altri paesi o altre Provincie, anche se altra gente lo adottasse trasformandolo o variandolo, i caratteri della sua terra d'origine vi rimarrebbero inalterati.
Questa è in sintesi la ragione della differenza tra i canti delle Provincie occidentali siciliane raccolti dal Favara e i canti della provincia di Catania raccolti dal Frontini, una differenza che va dallo spirito della melodia alla profondità della espressione, dal substrato modale alla ossatura ritmica.
Esistono poi altre differenze d'ordine scientifico e pratico: il metodo e lo scopo della ricerca.
Il Favara intuì il problema sul quale si basa lo studio della etnofonia; egli volle darci dei saggi sul carattere poetico-musicale del popolo siciliano, carattere che viene rivelato interamente dalla gente che vive nella campagna, ove si conservano costantemente gli usi più antichi e vi si osserva, col massimo rigore, la legge ereditaria delle tradizioni tramandate attraverso i secoli da generazione a generazione, senza che una qualsiasi infiltrazione di usi e di abitudini cittadine possa farle deviare.
Il Frontini, spirito più complesso e più aristocratico, volle affrontare il problema per intero e volle mostrare completamente tutta la natura musicale della gente etnea, attraverso le raffinate melodie cittadine e le spontanee cantilene campagnole.
Ma nessuno dei due raccoglitori ha voluto, con procedimento progressivo e razionale, mostrarci l'intera gamma del canto popolare siciliano che spazia ampiamente dai gridi dei venditori ambulanti alle cantilene melodiose dei contadini e dei carrettieri.
Ed in questa gamma c'è tutto un mondo, spirituale che vive e che si agita, un immenso mondo da esaminare e da studiare.
E tutta una successione di stati d'animo, determinati da ogni aspetto della vita quotidiana del popolano, che si estrinsecano in canto.
Il quale si manifesta nelle forme più varie che vanno da quella della salmodia infinita all'altra della melodia chiusa.
Sono canti che fondono mirabilmente la fantasia col sentimento, la poesia con la musica, che ci trasportano coi loro procedimenti tonali attraverso ogni epoca, dalla più lontana alla presente, che vengono realizzati nella maniera più primitiva o in quella più recente; sono canti che variano di luogo in luogo e hanno atteggiamenti espressivi che differiscono da uomo a uomo, da stagione a stagione.
Perchè sinora nessuno ha pensato di raccoglierli? Trascuratezza? Non credo. Indifferenza, forse, o, più probabilmente, mancanza di metodo nella ricerca.
Comunque i canti popolari siciliani trascritti e pubblicati dal Frontini e dal Favara hanno posto una solida base all'etnofonia della Sicilia e chiudono un primo ciclo di ricerche.
Ma è necessario, al giorno d'oggi, colmare tutte le lacune ed aumentare il materiale raccolto avvalendosi dei nuovi metodi e delle antiche esperienze.
Prima d'ogni altra esplorazione in altre provincie siciliane mi sono imposto ii dovere di completare la raccolta dei canti popolari della provincia di Catania, raccolta iniziata e proseguita dal Frontini e continuata sin'oggi, dal venerato musicista catenese, con la sua recentissima pubblicazione apparsa nel luglio scorso (Antiche canzoni di Sicilia, Ed. Carisch, S. A.) il cui procedimento è conforme alle raccolte che la precedono.
Per grazia di Dio, le campagne Etnee sono tuttora dei codici immensi dai quali il ricercatore diligente può ricavare tutto quel materiale sinora sconosciuto ai più e può mostrare di quali preziose gemme è sempre ricco il cuore del popolo catanese.
Durante le mie molteplici e lunghe soste in campagna, ho avuto la fortuna di raccogliere di sulla bocca dei contadini un copiosissimo materiale etnofonico.
Materiale assolutamente inedito che, se ben distribuito e progressivamente studiato, può dare una visione esatta, se non completa, di quali secolari tradizioni musicali è ricca'la mia Catania.
Non starò qui a ripetere da quali fonti provengano questi canti, né quale classica linfa li ha nutriti, né quali elementi etnici conferiscano ad essi quelle peculiari doti di originalità e di espressività che li fanno distinguere ed innalzare al di sopra di tutti gli altri canti popolari della Sicilia.
La brevità dello spazio concessami non consentirebbe esemplificare se non con molta parsimonia.
Uno studio di maggiore ampiezza e più accuratamente sviluppato potrebbe far scorgere, attraverso la impronta melodica e la struttura modale, le millenarie origini di questi canti.
Ho raccolto anche la maggior parte dei gridi dei venditori ambulanti, che sono anch'essi degli autentici canti, e che, uniti alle cantilene tristi degli stanchi lavoratori della terra e agli appassionati canti dei carrettieri, fanno scorgere tante maniere, dalla greca all'araba, fanno incontrare tanti generi modali, dal diatonico ai cromatico all'enarmonico.
I venditori ambulanti esprimono con la melodia dei loro gridi, il genere della merce che vendono; parole e musiche risentono direttamente dell'epoca e dell'ora in cui viene venduta la merce.
Un tipico esempio. Ecco un grido invernale, è quello del caliàru (venditore di calia, ceci abbrustoliti). Di giorno il suo grido è baldanzoso, mentre a sera tarda, nelle lunghe e gelide sere d'inverno, s'ode la sua voce squillante e lontana cantilenare con tristezza .
Gli stessi elementi modali si riscontrano in quasi tutti i canti della trebbiatura. Nella pianura assolata il contadino incita, col suo canto squillante e monotono, i cavalli che si inseguono in cerchio sull'aia, calpestando sotto le zampe ferrate i covoni di grano.
Il grido mozzo sottolinea il colpo della frusta.
Come si può osservare, la maniera di melodizzare è identica a quella dei canti precedenti, ma una maggiore ampiezza si sprigiona da questa cantilena, pare che un tormento la animi (sarà forse il duro lavoro sotto il sole implacabile?) e la renda più drammatica di quella del caliàru, che è satura di lirismo.
Tutti gli elementi modali e psicologici delle melodie sopra esposte si fondono e si sviluppano nella cantilena tipica del carrettiere.
La melodia reca l'impronta della primitività dei gridi, ma acquista ormai una sua robusta costruzione periodale, un maggiore senso discorsivo, e la definitiva liricizzazione d'uno stato d'animo che ha la sua fase iniziale e quella conclusiva.
E infine la stessa maniera melodica può raffinarsi, può anche arricchirsi di melismi capricciosi, fioriti dallo stesso nucleo emotivo del canto, non estranei ma partecipanti ad esso perchè generati dal pathos comune .
L'andamento più svelto del canto e le sue fioriture saranno certamente stati dati dalle parole.
Il cantore qui si rivolge alla donna amata e le dice : quanto mi sembri bella quando ridi! Il cuore mi fai tutto ricreare... E le fioriture sulle due cadenze stanno a realizzare la maliosa risata della bella e la gioia del cuore del suo innamorato.
In questo canto la malinconia nativa dell'isolano si veste di rosa.
Due parole ancora, non per concludere (poiché un simile argomento potrà esaurirsi solo con la fine del mondo), ma per dire che anche una modesta e brevissima rassegna di canti, come quella che ho fatto, lascia supporre che da una esposizione comparata e razionale di gridi, cantilene e canti popolari verrebbe fuori uno studio interessante e definitivo sul patrimonio spirituale d'uno dei popoli più musicali d'Italia qual'è il catanese.
Il vecchio motto Verdiano: « Torniamo all'antico... », applicato alla ricerca dei canti popolari, potrebbe anche significare un ritorno alle pure fonti della natura alle quali l'arte musicale d'oggi ha bisogno di attingere per essere definitivamente sé stessa.