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SALMO I | ► |
AVVERTENZA
DI
GIOVANNI PALEARIO
“I Salmi di Davide, sian molti o pochi gli scritti realmente da lui, furono più largo fonte di consolazione e d’insegnamento che qualsivoglia altra parte delle scritture ebree. Vi splendono qualità di mente e percezioni religiose non espresse prima nei sacri libri, ma squisitamente caratteristiche di Davide: l’amore della natura, il sentimento del peccato, la sincera ardente fede e comunione in Dio. Nessun’altra parte del Vecchio Testamento s’aggiusta tanto al Nuovo. I Salmi sono le uniche effusioni di pietà ricevute nell’universa chiesa cristiana; fra Abissini, Greci, Latini, Puritani, Anglicani.„
Queste parole d’un collaboratore del Dizionario Biblico di Guglielmo Smith si potrebbero cementare con altre di Herder, di Alfredo Maury e di altri critici moderni. Si potrebbe cercare quali Salmi siano più manifestamente di David, o più probabilmente d’altra mano; e rifare la storia di quel re con le sue poesie. Tutto il suo regno v’è dentro, ha detto Herder, anzi noi diremmo tutta la sua vita ed anima, o meglio l’anima del popolo ebreo, dalla cui religione altamente morale procede, secondo il Maury, il senso di contrizione del peccato, il dolore d’avere offeso l’Onnipossente che ne’ Salmi sono sì vivamente impressi. Egli li raffronta agl’Inni del Rig-Veda, creduti da lui di pari antichità, nei quali quel dolore del peccato è assente, ma sfolgorano in compenso imagini più poetiche e più ardite dell’Essere supremo.
Il raffrontare i salmi co’ canti vedici, seguendo il Maury, sarebbe più grato ed utile che l’analizzarli secondo i precetti d’una lirica artifiziale, tratta, secondo dice Herder, dagli esempj d’Orazio. Ma non è del nostro compito lo studiare storicamente, poeticamente o religiosamente i salmi, sibbene presentarli al lettore insieme al loro traduttore Giovanni Diodati.
La riforma di Lutero aveva attecchito in Italia. Sebbene la superstizione romana avesse, nel nostro ingegnoso popolo, fatto più strazio della fede che della ragione, si trovarono pur tra noi molte menti sincere che accettarono avidamente le nuove idee religiose. A Lucca, tra l’altre città, la parola di Dio fece gran frutto; e dove mise radice, non fu facilmente svelta. Molte famiglie posposero la patria alla fede, ed esulando in terre libere, vi diffusero l’onore degli studj e del nome italiano. Fra queste famiglie, fu quella del nostro scrittore. Un illustre professore del suo nome morì a Ginevra ai dì nostri.
Giovanni Diodati nacque a Ginevra il 6 giugno 1576. A vent’anni ebbe la lettura di lingua ebraica; nel 1608 fu annumerato ai pastori, e nell’anno seguente nominato lettore di teologia, nel qual ufficio continuò fino al 1645. Fu amico di fra Paolo Sarpi, ch’egli visitò a Venezia e da lui ebbe aiuto ad una sua versione francese della Relazione dello stato della Religione in Occidente di Edwin Sandys inglese. I primi dieci capitoli sono ricchi di aggiunte avute dal Sarpi, il quale veramente era intrinseco di parecchi protestanti, ma crediamo che egli più desiderasse di veder rinascere Venezia alla pura fede antica che mai gli venisse, siccome dicono, il pensiero di suscitarvela, e per prudenza lasciasse. Imperocchè, sebbene Venezia, per lo spirito d’indipendenza, naturale ai governi laici, ed asserita più francamente ch’ella non fece, da re piissimi ed anche superstiziosi, combattesse contro le usurpazioni romanesche, era troppo sepolta nella superstizione, e troppo stretta dal cerchio di fuoco del risorto fanatismo italiano, da sperare di ribattezzarla in Gesù Cristo. Se non che il Diodati si studiò di diffondere i principj della riforma in modo assai più efficace, che con le mene segrete, e fu il tradurre ch’ei fece la Bibbia in volgare. La sua versione, confessa il Tiraboschi, esser quanto allo stile colta ed elegante; a Riccardo Simon, il gran precursore della critica biblica, parve troppo parafrastica, e le note onde la allagò più da teologo che da critico. Come che sia è lavoro che non ha ancor pari in Italia, esclusa fin qui dal verbo divino, e tenutane lontana dalla spada de’ preti di Roma, che volevano adulterarlo a lor posta e guadagno.
Meno felici che la prosa parvero al Tiraboschi le rime onde il Diodati vestì i salmi di Davide. Se non che, concedendo ch’egli non riuscì troppo nella testura del verso, ed aggiungendo ch’egli è più parafraste che traduttore, a un di presso come fu il Cesari per le odi d’Orazio, si può giustamente asserire ch’egli ha una semplicità, una naturalezza, una proprietà che incantano, e se il sublime lirico di Giuda assume troppo spesso il fare e il colore di una laude, ritiene però tutta la verità del sentimento morale che l’informava. Il Diodati tradusse i salmi anche in rime francesi, e non fu curato da coloro che avevano la traduzione di Marot; ma noi non abbiamo finora che traduttori anelanti ad un falso lirismo oraziano e pindarico, senza alcun vivo sentimento dello spirito intimo de’ Canti di David; centoni classici senza punto oro, ma con tutto l’orpello della superstizione romana.
Abbiamo fatto in passato un’edizione de’ Salmi, e nella serva Italia fu tutta esaurita. Ora nella libertà, sorrisa e fomentata da un ridestamento della sincera fede di Cristo, siamo sicuri che la nostra nuova edizione avrà ancora più largo spaccio, e che i Salmi del Diodati diverranno il libro delle famiglie. Questa diffusione della divina parola non solo gioverà allo spirito, ma all’ingegno, che non fu mai più fecondo e mirabile in Italia che quando di lei s’ispirò, come ne è testimonio il possente verso di Dante, e talora l’alato verso del Manzoni, l’uno e l’altro poeti sublimi quando furono semplicemente cristiani e non cattolici.
Per tornare al Diodati egli fu in grande stima presso i riformati. Deputato dalla Chiesa di Ginevra al sinodo di Dodrecht nel 1608, ebbe sebbene straniero il carico di stenderne gli atti. Egli aveva stampato la Bibbia volgare a Ginevra nel 1607. Nel 1641 la ristampò con l’aggiunta de’ Salmi che noi riproduciamo. Egli morì nel 1649. Ora il suo nome rivive e la sua opera fruttifica in Italia ed anche in questa città, donde Aonio Paleario fu, per la purità della sua fede, tratto nelle forze papali, per esser poi condotto a Roma a soffrirvi il martirio.
Di Milano, il 9 Febbraio 1864.